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Efficacia e tollerabilità di un nuovo nutraceutico nel trattamento della spalla dolorosa semplice
EFFICACIA E TOLLERABILITA’ DI UN NUOVO NUTRACEUTICO NEL TRATTAMENTO DELLA SPALLA DOLOROSA SEMPLICE E. BATTISTI°, M.FERRIERO#, A. ALBANESE°. °DSFTA Università di Siena Italia # Dipartimento di Fisiatria ASL Na2 NORD Italia INTRODUZIONE Con il termine di periartrite della spalla vengono indicate alcune affezioni a patogenesi mista, degenerativo-infiammatoria e ad eziologia prevalentemente microtraumatica, che interessano le strutture tendinee ad inserzione periarticolare (cuffia dei rotatori e capo lungo del bicipite) e la borsa sub-acromiale. A seconda delle caratteristiche anatomo-patologiche e le localizzazioni anatomiche delle lesioni, si possono avere quadri clinici diversi, tutti comunque caratterizzati dalla localizzazione monolaterale della sintomatologia, dominata dal dolore e dalla limitazione funzionale. Tra i vari quadri di periartrite della spalla, la spalla dolorosa semplice (SDs) è l’espressione di una lesione tendinea esigua che interessa la cuffia dei rotatori e che è caratterizzata dall prevalenza della componente algica sulla limitazione della motilità articolare. Scopo dello studio è valutare l’efficacia e la tollerabilità di un nuovo nutraceutico IALORAL FORTE (composto da BioCell Collagen, Cynatine, Endophyllene, Ginerol e Bromelina) nel trattamento della spalla dolorosa semplice. MATERIALI E METODI. Sono stati ammessi 40 pazienti, 24 donne e 16 uomini con età compresa tra i 27 e i 56 anni, in cui la SDs era diagnosticata tramite esame ecografico. Venivano divisi in due gruppi di 20, il gruppo A trattato con IALORAL FORTE 2 cp/die per 10 giorni e poi 1 cp/die per 10 giorni e il gruppo B trattato con DICLOFENAC 50 mg 2cp/die per 10 giorni e poi 1 cp/die per 10 giorni Controllo al tempo 0, dopo 10 giorni e dopo 20 giorni. Tutti hanno eseguito ecografia della spalla prima e dopo. Valutazione del dolore e della funzionalità con la Scala VAS e il SIMPLE SHOULDER TEST (SST) Vengono esclusi pazienti con malattie autoimmunittarie (Artrite Reumatoide, Artropatia Psoriasica ecc). RISULTATI Tutti i pazienti dei gruppi A e B hanno completato il ciclo terapeutico. Al primo controllo 10 pazienti del gruppo A mostravano una riduzione significativa della sintomatologia dolorosa e un miglioramento della funzionalità articolare analogamente a 12 pazienti del gruppo B, in cui 3 pazienti necessitavano di protezione gastrica. Al controllo finale in 18 pazienti del gruppo A la sintomatologia dolorosa era scomparsa con totale recupero della funzionalità, gli altri 2 non lamentavano dolore ma avevano ancora una lieve limitazione funzionale. Nel gruppo B al controllo finale 17 pazienti avevano una risoluzione totale della patologia mentre in 3 persisteva un lieve dolore e relativa limitazione funzionale. In questo gruppo 6 persone avevano dovuto utilizzare gastroprotettori per terminare la terapia. CONCLUSIONI In questo studio abbiamo valutato un nuovo nutraceutico IALORAL FORTE a base di BioCell Collagen, Cynatine, Endophyllene, Ginerol e Bromelina nel trattamento della spalla dolorosa semplice, confrontandone l’efficacia con un FANS riconosciuto da tempo. L’esperienza clinica da noi condotta ha dimostrato che lo IALORAL FORTE risulta efficace in una ampia percentuale di casi sul dolore e sulla funzionalità articolare in maniera paragonabile al Diclofenac, ma che la sua tollerabilità e assenza di effetti collaterali lo rendono, dopo ulteriori studi con casistica più ampia che confermino le qualità, utilizzabile in molte patologie algiche. Bibliografia Alqunaee, M., Galvin, R., & Fahey, T. Diagnostic accuracy of clinical tests for subacromial impingement syndrome: a systematic review and meta-analysis. Archives of Physical Medicine and Rehabilitation, 2012, 93(2): 229-36 Kean WF, Buchanan WW. The use of NSAIDs in rheumatic disorders : a global perspective. Inflammopharmacology 2005, 13:343-70.
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La realizzazione di una palestra robotica: l’esperienza del Montecatone Rehabilitation Institute
La realizzazione di una palestra robotica: l’esperienza del Montecatone Rehabilitation Institute. I.Baroncini, S.Zardi, V.Colombo Introduzione Nel corso degli ultimi anni, l’utilizzo delle tecnologie robotiche in ambito riabilitativo, specialmente nel campo delle patologie disabilitanti di origine neurologica, ha avuto un incremento costante e ha consentito di applicare nuovi e più efficaci sistemi di trattamento. Le applicazioni robotiche permettono di ottenere numerosi vantaggi: aumentare l’intensità dei trattamenti, proporre scenari più stimolanti e motivanti per il paziente, consentire di realizzare protocolli personalizzati. Questo incide positivamente anche a livello psicologico e aumenta la compliance del paziente alla terapia riabilitativa. L’approccio tecnologico permette infine una maggior accuratezza diagnostica e di misurazione della performance in quanto i sistemi sono anche in grado di misurare in maniera oggettiva, fornendo dati confrontabili nel tempo ed utilizzabili anche a scopo di ricerca. Materiali e Metodi Obiettivo: realizzazione di una palestra robotica all’interno del Montecatone Rehabilitation Institute (MRI), ospedale di riabilitazione che eroga prestazioni di alta specializzazione clinico-riabilitativa a favore di pazienti affetti da lesione midollare e grave cerebrolesione acquisita, al fine di allinearsi allo standard riabilitativo dei centri di eccellenza. È stato così creato un gruppo di lavoro multiprofessionale composto da medici fisiatri, fisioterapisti, terapista occupazionale che ha curato il progetto, identificando le tecnologie, le risorse umane nonché le modalità organizzative necessarie e partecipando alla fase di progettazione degli spazi e della parte tecnica/strutturale. Risultati Le fasi di progettazione hanno preso avvio nei primi mesi del 2021. • Revisione della letteratura scientifica ed identificazione dei dispositivi robotici ritenuti più idonei (obiettivo di utilizzo, stima della percentuale di pazienti candidabili, costo). • Attività di benchmarking con alcuni dei centri dotati dei dispositivi identificati (attraverso confronti con i professionisti e visite alle strutture) • Individuazione di dispositivi per il trattamento degli arti superiori e del tronco (avendo già in uso dal 2015 il sistema EKSO GT). • Definizione dell’acquisto di: – dispositivi Diego e Pablo per il trattamento dell’arto superiore – sistema Hunova per il trattamento del tronco – Tymo per il controllo posturale – Erigo PRO per la verticalizzazione in fase molto precoce. • A Maggio 2021 inizio della ristrutturazione muraria e della progettazione dell’ambiente; confermata la scelta di dedicare parte della palestra al laboratorio di gait analysis (EMG dinamica di superficie, sensori inerziali, sistema di telecamere e piattaforme per la rilevazione delle forze cinetiche). • Esecuzione da parte di tutti gli operatori dedicati di formazione adeguata per ogni dispositivo in dotazione. • Stesura di una procedura aziendale per la valutazione e la successiva presa in carico del paziente presso la palestra robotica. Dal 13 Giugno 2022 hanno avuto inizio le attività nella palestra robotica. Conclusioni L’avvio delle attività della palestra robotica ha permesso alla struttura di garantire il massimo vantaggio al percorso riabilitativo di ogni singolo paziente a seconda dell’obiettivo terapeutico da raggiungere. I dati raccolti fino ad oggi confermano l’utilità dell’utilizzo di sistemi robotici e giustificano il sempre maggiore interesse che nella comunità scientifica si va diffondendo verso questa pratica purchè essa resti sempre integrata al trattamento convenzionale effettuato nelle varie unità operative. Possiamo affermare quindi che la nostra esperienza si sta dimostrando molto positiva in termini di efficacia ed efficienza ma anche di soddisfazione da parte dei pazienti che evidenziano sempre un miglioramento delle performance. La nostra breve esperienza però non è ancora tale da poterci consentire l’elaborazione di protocolli definitivi in quanto a timing, dose, frequenza e durata di trattamento. Appare, pertanto, necessario proseguire nella attività intrapresa valutando la possibilità di eseguire degli studi di tipo prospettico che consentano di identificare in maniera obiettiva e funzionale, sia in termini di outcome riabilitativo che di risorse, le modalità di utilizzo delle tecnologie robotiche. Bibliografia • Calabró R  et al “Robotic-assisted gait rehabilitation following stroke: a systematic review of current guidelines and practical clinical recommendations “CICERONE” Italian Consensus Conference on Robotic in Neurorehabilitation” Eur J Phys Rehabil Med 2021 May 5. • Morone, G et al “Systematic review of guidelines to identify recommendations for upper limb robotic rehabilitation after stroke” Eur J Phys Rehabil Med ; 57(2): 238-245, 2021 Apr.
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Artrosi e sport – lo sport: fattore di rischio o fattore protettivo?
51° Congresso Nazionale SIMFER LA RIABILITAZIONE TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO ARTROSI E SPORT –  LO SPORT: FATTORE DI RISCHIO O FATTORE PROTETTIVO? Pulpito S., Minei A., Farì G., Serpentino F., Megna M., Ranieri M. INTRODUZIONE: L’osteoartrosi (OA) è la più comune patologia articolare (1). Interessa circa il 16,4% della popolazione in Italia e presenta nette differenze di genere, interessando più frequentemente le donne. La sua prevalenza è destinata ad aumentare a causa dell’incremento dell’età media della popolazione generale e della frequenza dei fattori di rischio associati. L’OA ha un’eziologia multifattoriale e può essere considerata il prodotto dell’interazione tra fattori sistemici e locali. L’età avanzata, il sesso femminile, il sovrappeso e l’obesità, le lesioni articolari, le sollecitazioni delle articolazioni, la densità ossea, la debolezza muscolare e la lassità articolare influiscono nello sviluppo dell’artrosi. La modifica di uno di questi fattori può ridurre il rischio di artrosi e prevenire il successivo dolore e disabilità (2). Scopo di questo lavoro è indagare se lo sport sia un fattore di rischio o protettivo per l’insorgenza dell’artrosi. MATERIALI E METODI: È stata eseguita una ricerca bibliografica degli articoli pubblicati su PubMed tra il 1996 e il 2022, utilizzando come parole chiave “cartilage disease”, ”osteoarthritis”, “osteoarthritis and sport”. Sono stati esaminati articoli riguardanti l’artrosi nel soggetto sportivo, l’artrosi nei vari sport e la riabilitazione post trauma come prevenzione nello sviluppo di artrosi, al fine di poter creare un data group da cui estrarre informazioni che mettessero in correlazione la tipologia di attività motoria e la dinamica di insorgenza della forma artrosica. RISULTATI: Da questa overview descrittiva della letteratura è emerso che sono numerosi i soggetti di mezza età che praticano regolarmente attività fisica e gli sportivi di élite che si rivolgono al medico per sapere se la pratica sportiva possa rappresentare un rischio per lo sviluppo dell’artrosi o se possa peggiorare un’iniziale degenerazione della cartilagine articolare. La predisposizione a sviluppare artrosi varia da soggetto a soggetto ed è legata al tipo di sport praticato, alla stabilità articolare, alla massa muscolare, all’indice di massa corporea, alla composizione e al metabolismo della cartilagine stessa che, stabiliti geneticamente, variano da individuo a individuo. Negli studi viene evidenziato come l’OA si verifichi frequentemente nelle persone che hanno subito una lesione articolare significativa. Le lesioni della cartilagine articolare possono derivare sia da singoli traumi, che comportano un improvviso ed eccessivo carico a livello delle superfici articolare, che da microtraumi ripetuti nel tempo. Infatti, dalla letteratura emerge che il danno articolare acuto che si verifica al momento di una lesione avvia una sequenza di eventi che possono portare a un danno progressivo della superficie articolare (3). Inoltre, l’instabilità articolare, conseguente a lesioni legamentose e lesioni meniscali, è in grado di alterare la meccanica articolare. Questo fattore più di altri favorisce lo sviluppo della degenerazione artrosica. CONCLUSIONI: Dalla ricerca condotta si può affermare che l’insorgenza di artrosi può essere più facilmente riscontrabile nei soggetti soliti praticare sport a elevato rischio traumatico e nei soggetti che praticano sport che comportano elevate sollecitazioni a livello articolare. L’esercizio moderato invece non aumenta il rischio di sviluppare artrosi, bensì rappresenta un fattore protettivo nei confronti di quest’ultima. Si ritiene possa essere utile nei prossimi studi indagare se vi siano programmi di esercizio e/o target anatomici specifici che, migliorando la forza muscolare e la mobilità articolare, possano dare conferma dell’efficacia dell’attività sportiva come fattore protettivo nell’insorgenza di artrosi. BIBLIOGRAFIA • Petersson IF, Jacobsson LT. Osteoarthritis of the peripheral joints. Best Pract Res Clin Rheumatol. 2002 Dec;16(5):741-60. doi: 10.1053/berh.2002.0266. PMID: 12473271. • Zhang Y, Jordan JM. Epidemiology of osteoarthritis. Clin Geriatr Med. 2010 Aug;26(3):355-69. doi: 10.1016/j.cger.2010.03.001. Erratum in: Clin Geriatr Med. 2013 May;29(2):ix. PMID: 20699159; PMCID: PMC2920533. • Lieberthal J, Sambamurthy N, Scanzello CR. Inflammation in joint injury and post-traumatic osteoarthritis. Osteoarthritis Cartilage. 2015 Nov;23(11):1825-34. doi: 10.1016/j.joca.2015.08.015. PMID: 26521728; PMCID: PMC4630675.
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Stiff person syndrome: prognosi di genere
STIFF PERSON SYNDROME: PROGNOSI DI GENERE Stiff person syndrome is an autoimmune neurological disease characterized by rigidity of the trunk and proximal limb muscles, intermittent superimposed spasms, and increased sensitivity to external stimuli. Clinical variants of the syndrome include stiff limb syndrome and progressive encephalomyelitis with rigidity and myoclonia (PERM), in which rigidity and myoclonic jerks are associated with focal neurological signs. Many patients affected by SMS, SLS or PERM present insulin-dependent diabetes mellitus (30%), autoimmune thyroiditis (10%), atrophic gastritis associated with pernicious anemia (5%); some patients have breast, lung, or colon cancer. Classic stiff person syndrome (SPS) presents with stiffness, anti-glutamic decarboxylase (anti-GAD) antibodies, and other findings. Thus, cases of SPS appear to fall within a clinical spectrum that includes conditions such as progressive encephalomyelitis with rigidity and myoclonus (PERM), which presents features of the brainstem and autonomo. METHODS:We studied SPS spectrum cases reported since 2010 and separated them based on probable disease mechanism (autoimmune, paraneoplastic, or cryptogenic) for analysis. The phrases stiff person syndrome, PERM, anti-GAD antibody syndrome, and glycine receptor antibody neurological disorders were searched in PubMed. Results were narrowed to 72 citations after excluding non-English reports and duplicate citations. Clinical descriptions, laboratory data, management, and outcomes were classified, tabulated, and analyzed. RESULTS: Sixty-nine cases of autoimmune SPS spectrum were identified, 19 paraneoplastic and 13 cryptogenic. SPS was the predominant diagnosis among the groups. Approximately two-thirds of autoimmune and paraneoplastic cases were women. Anti-GAD antibodies were identified most frequently¹, followed by anti-amphiphysin among paraneoplastic cases and anti-glycine receptor antibodies among autoimmune cases. The prognosis seemed better for cryptogenic cases, predominantly men; the malignancy worsened that of female paraneoplastic cases. CONCLUSIONS:Grouping SPS cases by pathophysiology provided insights into processing, treatment, and prognosis. There are large phenotypic and serological variations within the categories.
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Nuovi orizzonti nella riabilitazione delle lesioni midollari: un case report sugli effetti della guida di Go-Kart sulla spasticità in un paziente affetto da lesione midollare
Introduzione La lesione del midollo spinale è un danno neurologico che può avere varie gravi conseguenze, tra cui spasticità e disabilità motorie [1,2]. L’ipertonia spastica, in particolare, è un esito frequente e invalidante di queste lesioni [3]. La guida dei Go-kart per i pazienti con lesione midollare rappresenta uno sport adattato sempre più popolare i cui benefici, però, sono ancora sconosciuti, soprattutto in relazione alla spasticità muscolare. Lo scopo di questo studio è quello di evidenziare gli effetti della guida di Go-Kart su un paziente con spasticità causata da una lesione midollare, approfondendo i meccanismi che potrebbero determinarli. Materiali e Metodi Il paziente è un uomo di 50 anni con paraplegia spastica dovuta a una lesione traumatica del midollo spinale che guida regolarmente i Go-Kart riferendo, in seguito, una transitoria riduzione della spasticità. È stato valutato prima (T0), subito dopo (T1), dopo 2 settimane (T2) e dopo 4 settimane (T3) da una sessione di 2 ore di guida di Go-Kart. Utilizzando la scala Ashworth Modificata (MAS) è stata valutata la spasticità, bilateralmente, dei muscoli adduttore lungo, bicipite femorale e gastrocnemio laterale e mediale; il tono e la rigidità dei medesimi muscoli sono stati valutati utilizzando MyotonPRO. Risultati Dalle valutazioni si evince che una sessione di guida di Go-Kart riduce transitoriamente la spasticità, il tono e la rigidità muscolare; al T1 sono stati registrati dei miglioramenti che si sono ridotti al T2; al T3 i valori sono tornati sovrapponibili a quelli al T0. Conclusioni Il Go-Kart potrebbe rappresentare una nuova opportunità riabilitativa per i pazienti con lesione midollare, offrendo loro la possibilità di praticare uno sport, con i benefici psico-fisici che questo comporta, e di contrastare contestualmente la spasticità muscolare. Bibliografia [1] Jazayeri SB, Beygi S, Shokraneh F, Hagen EM, Rahimi-Movaghar V. Incidence of traumatic spinal cord injury worldwide: a systematic review. Eur Spine J. 2015; 24(5): 905–918. [2] Eckert MJ, Martin MJ. Trauma: Spinal Cord Injury. Surg Clin North Am. 2017; 97(5): 1031-1045. [3] Mohammed RS, Boateng EA, Amponsah AK, Kyei-Dompim J, Laari TT. Experiences of family caregivers of people with spinal cord injury at the neurosurgical units of the Komfo Anokye Teaching Hospital, Ghana. PLoS One. 2023; 18(4): e0284436
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Riabilitazione neuromotoria nelle sindromi parkinsoniane: esiti e disabilità dopo frattura prossimale di femore
RIABILITAZIONE NEUROMOTORIA NELLE SINDROMI PARKINSONIANE: ESITI E DISABILITA’ DOPO FRATTURA PROSSIMALE DI FEMORE Pietro Giuseppe Scamarcia, Ferdinando Ambrosi, Alessandra Demontis, Marco Guglielmi, Emanuela Monica Huci, Luca Sanavia, Laura Vulpio, Gianluca Concardi. KOS Group, Dipartimento di Riabilitazione Specialistica e Generale Geriatrica – Polo Geriatrico Riabilitativo, Cinisello Balsamo (MI) Introduzione I pazienti parkinsoniani hanno maggior rischio di frattura prossimale di femore rispetto ai pazienti non-parkinsoniani, sebbene l’impatto sulla prognosi sia controverso. L’obiettivo dello studio è valutare l’esito della riabilitazione neuromotoria dopo frattura prossimale di femore in pazienti con parkinsonismo clinicamente diagnosticato. Materiali e metodi I dati demografici, anamnestici, clinici e funzionali sono stati raccolti in maniera retrospettiva. L’indice di Barthel modificato (MBI) e la scala Rankin modificata (mRS) sono stati utilizzati come misure di disabilità. Le variabili demografiche e cliniche sono state confrontate tra i gruppi utilizzando il test t di Student, il test di Mann-Whitney e il test chi quadrato di Pearson quando appropriato. Sono stati utilizzati modelli lineari a effetti misti per studiare l’associazione tra esito, variabili cliniche e demografiche. Le analisi statistiche sono state utilizzate per confrontare i dati tra i due gruppi principali (parkinsonismo vs gruppi non parkinsonismo) e tra i pazienti parkinsoniani (pazienti con malattia di Parkinson vs quelli con parkinsonismo atipico). Risultati I valori di MIB si sono rivelati significativamente inferiori e i valori di mRS significativamente superiori nel gruppo di soggetti parkinsoniani sia all’arrivo che alla dimissione dal reparto se comparati con il gruppo con sola frattura ( 0 001 I valori di MIB e mRS alla dimissione si sono rivelati significativamente associati al gruppo di appartenenza corretti per età e genere Tra i pazienti parkinsoniani la MIB all’ingresso ( 0 02 e alla dimissione ( 0 04 si sono dimostrate inferiori nei pazienti con parkinsonismo atipico rispetto ai pazienti con malattia di Parkinson La disabilità definita dai punteggi di MIB e mRS si è dimostrata associata alla presenza di parkinsonismo atipico ( 0 001 demenza ( 0 001 disfagia ( 0 01 e instabilità posturale (0 001 correggendo per età genere e durata di malattia. Conclusioni I pazienti parkinsoniani in particolare con parkinsonismo atipico hanno mostrato un esito peggiore dopo la riabilitazione per frattura prossimale di femore rispetto ai pazienti senza parkinsonismo Tra I pazienti parkinsoniani quelli con parkinsonismo atipico decadimento cognitivo disfagia o instabilità posturale hanno dimostrato un peggiore outcome funzionale sottolineando le importanti implicazioni di tali fattori sul percorso riabilitativo. Bibliografia -Wielinski CL, Erickson Davis C, Wichmann R, Walde Douglas M, Parashos SA Falls and injuries resulting from falls among patients with Parkinson’s disease and other parkinsonian syndromes Mov Disord 2005 Apr 20 4 410 415 doi 10 1002 /mds 20347 PMID 15580552 -Huyke Hernández FA, Parashos SA, Schroder LK, Switzer JA Hip Fracture Care in Parkinson Disease A Retrospective Analysis of 1 239 Patients Geriatr Orthop Surg Rehabil 2022 Aug 8 13 21514593221118225 doi 10 1177 21514593221118225 PMID 35967748 PMCID PMC 9364183 -Nam JS, Kim YW, Shin J, Chang JS, Yoon SY Hip Fracture in Patients with Parkinson’s Disease and Related Mortality A Population Based Study in Korea Gerontology 2021 67 5 544 553 doi 10 1159 000513730 Epub 2021 Mar 18 PMID 33735882
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Case-report: Trattamento Combinato della sclerosi multipla con tDCS-tsDCS
Case-report: Trattamento combinato della Sclerosi Multipla con tDCS-tsDCS Posa Daniela; Amico Angelo Paolo; Orlando Roberta Barbara; La Cara Adriano; Megna Marisa; Ranieri Maurizio. Dipartimento di Biomedicina Traslazionale e Neuroscienze (DiBraiN) – Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” INTRODUZIONE La sclerosi multipla (SM) è una malattia neurodegenerativa autoimmune, ad esordio giovanile, che spesso causa una progressiva disabilità (1). Si riconoscono cinque forme di SM: • Sindrome clinicamente isolata • SM recidivante remittente • SM secondariamente progressiva • SM primariamente progressiva • Sindrome radiologicamente isolata Si presenta con disturbi cognitivi e motori, tra cui ipertono spastico, deficit stenico e disturbo della deambulazione, che possono manifestarsi singolarmente o in associazione e differire per intensità e durata. E’ stato recentemente suggerito che tali sintomi possano essere causati da cambi strutturali e funzionali in multiple reti nervose (2). Sono stati proposti metodi di stimolazione cerebrale non invasiva per migliorare la connettività neuronale, tra cui la stimolazione transcranica e transpinale a corrente continua (tDCS e tsDCS) (2-3). Queste, attraverso deboli correnti elettriche, modulano il potenziale di membrana neuronale, stimolando la neuroplasticità dell’area cerebrale trattata. In questo case report illustriamo l’effetto sull’ipertono spastico, sul deficit stenico e sul disturbo della deambulazione di un trattamento combinato di tDCS e tsDCS con rieducazione motoria degli arti inferiori in un paziente affetto da SM secondariamente progressiva con multiple lesioni encefaliche, troncoencefaliche e midollari. MATERIALI E METODI Il paziente, di anni 42, ha effettuato due cicli settimanali di 5 sedute giornaliere consecutive di tDCS da 20 minuti a 2 mA, con anodo sull’area motoria primaria sin dell’arto inferiore e catodo in sede sovraorbitaria dx. Dopo un intervallo di due mesi ha effettuato due cicli settimanali di sedute quotidiane di tsDCS da 20 minuti a 2 mA, con anodo su apofisi spinosa di C3 e catodo su deltoide sinistro. Prima e dopo ciascun trattamento (T0-T1 e T2-T3) sono state somministrate scale di valutazione in termini di: ipertono spastico (scala di Ashworth) e forza segmentale (MRC) nei muscoli ischiocrurali, quadricipite e tibiale anteriore, e livello di mobilità (Timed up and Go – TUG). RISULTATI Per quanto riguarda la valutazione dell’ipertono spastico, al termine del trattamento tDCS, si è riscontrato un miglioramento dei muscoli flessori e degli estensori del ginocchio bilateralmente più evidente a carico dei primi (Ashworth ischiocrurali 3 in T0 e 1+ in T1; Ashworth quadricipite dx 3 in T0 e T1, sin 3 in T0, e 2 in T1) . A seguito del trattamento tsDCS, si è rilevato un peggioramento dei muscoli flessori ed estensori del ginocchio bilateralmente più evidente a carico dei primi (Ashworth ischiocrurali di dx 1+ in T2 e 4 in T3, a sin 1+ in T2 e 3 in t3; Ashworth quadricipite dx 3 in T2 e 4 in T3, sin 2 in T2, e 3 in T3). Alla valutazione della deambulazione, al termine del trattamento tDCS, si è riscontrato un lieve miglioramento nel TUG test (a T0 di 2 min e 17sec e a T1 di 2 min e 7 sec, con necessità di appoggi in entrambi) e della forza nella dorsiflessione del piede (MRC del muscolo tibiale anteriore di dx 0/5 in T0 ed 1/5 in T1, a sin 4/5 in T0 ed in T1). Al termine del trattamento tsDCS, durante il TUG test si è riscontrato un peggioramento del tempo di esecuzione (a T2 di 2 minuti e 45 sec con doppio appoggio e a T3 di 3 min e 57 sec senza necessità di appoggio). Si è rilevato un lieve miglioramento nella forza del quadricipite (MRC 4/5 bilat in T2; 4/5 a dx e 5/5 a sin in T3) e inoltre un incremento della forza nella dorsiflessione del piede (MRC del muscolo tibiale anteriore dx 1/5 in T2 ed 2/5 in T3, a sin 3/5 in T2 e 4/5 in T3). CONCLUSIONI In conclusione, nel paziente esaminato, la tDCS si conferma uno strumento utile, in associazione all’esercizio terapeutico, nel rallentare il deterioramento delle funzioni motorie residue in termini di tono, forza e performance del cammino. Il trattamento combinato tsDCS ed esercizio terapeutico, nonostante la presenza dell’ipertono spastico abbia aumentato il tempo di esecuzione del test del cammino, ha determinato un miglioramento del pattern motorio con deambulazione autonoma senza appoggio. Inoltre tale trattamento ha apportato un incremento della forza segmentale nell’estensione del ginocchio e nella dorsiflessione del piede. I risultati riscontrati in questo case report benché limitati, potrebbero rappresentare un punto di partenza per studi su campioni più ampi. BIBLIOGRAFIA 1. Multiple sclerosis.Thompson AJ, Baranzini SE, Geurts J, Hemmer B, Ciccarelli O. Lancet. 2018 Apr 21;391(10130):1622-1636 2. Efficacy of transcranial direct current stimulation in people with multiple sclerosis: a review. Hiew S, Nguemeni C, Zeller D. Eur J Neurol. 2022 Feb;29(2):648-664 3. The Effects of Transcutaneous Spinal Direct Current Stimulation on Neuropathic Pain in Multiple Sclerosis: Clinical and Neurophysiological Assessment Front. Hum. Neurosci., 12 February 2019 Sec. Brain Imaging and Stimulation Volume 13 – 2019
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Valutazione strumentale stabilometrica delle inferenze posturali delle manipolazioni vertebrali manu medica secondo Maigne in pazienti affetti da DDIM: Case Report
Valutazione strumentale stabilometrica delle inferenze posturali delle manipolazioni vertebrali manu medica secondo Maigne in pazienti affetti da DDIM: Case Report

Dott. G. Falcone – Dirigente Medico Fisiatra, SOD Riabilitazione CTO, 
Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze. Introduzione La Medicina Manuale ed in particolar modo le manipolazioni vertebrali manu medica secondo la tecnica di Robert Maigne rappresentano storicamente parte integrante del patrimonio culturale e del bagaglio terapeutico del medico specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa. A fronte di un impatto clinico ormai consolidato nella pratica clinica quotidiana del fisiatra [1] si rileva tutt’oggi una relativa carenza di dati quantitativi che possano oggettivare gli effetti di tali procedure terapeutiche sulle strutture target e più in generale – in un’ottica olistica peculiare della nostra branca – sul sistema corporeo del paziente che giunge alla nostra attenzione. Negli ultimi anni gli sviluppi tecnologici ci hanno messo a disposizioni apparecchiature in grado di consentire una valutazione quantitativa oltre che qualitativa sempre più accurata della postura e del sistema tonico-posturale, come nel caso delle pedane stabilometriche di ultima generazione [2]. Partendo da un quesito di base, ovverosia se, come e quanto le manipolazioni vertebrali siano in grado di influenzare l’assetto posturale del paziente e di produrre modificazioni in senso terapeutico nel sistema tonico-posturale, siamo andati a valutare mediante stabilometria eventuali potenziali effetti a livello posturale di un trattamento mediante manipolazioni vertebrali manu medica secondo R. Maigne. Materiali e Metodi L’analisi posturale strumentale stabilometrica fornisce vari dati quantitativi inerenti il controllo posturale ortostatico, tra i quali l’analisi armonica delle oscillazioni posturali elaborata mediante la trasformata di Fourier nelle 2 prove ad occhi chiusi ed occhi aperti (durate 30 secondi ciascuna); tale analisi, sulla base di recenti evidenze pubblicate in letteratura scientifica [3], risulta in grado di fornire informazioni indirette in merito alla sede dell’eventuale disfunzione posturale, con la frequenza delle oscillazioni prevalenti (compresa nel range 0,02 Hz e 1 Hz) che si presentano inversamente proporzionali rispetto all’altezza della localizzazione della sede delle “spine irritative” posturali (anche in esiti di traumi apparentemente ben compensati) o di eventuali foci muscolo-scheletrici di interferenza posturale. Ci siamo dunque posti i seguenti obiettivi: 1) andare a valutare l’eventuale correlazione tra la sede del DDIM (disturbo doloroso intervertebrale minore) identificata clinicamente in paziente giunti a visita ambulatoriale fisiatrica e la sede dei foci muscolo-scheletrici di interferenza posturale valutati tramite valutazione stabilometrica come suddescritto; 2) valutare le eventuali variazioni dell’assetto posturale e dello sway delle oscillazioni posturali all’analisi armonica pre e post-trattamento manipolativo. Risultati Caso clinico1) Paziente F.P., donna di anni 55, giunta a visita fisiatrica per cervicalgia persistente su base biomeccanico-posturale associata a cefalea cervicogenica con riscontro clinico di DDIM (disturbo doloroso intervertebrale minore) a livello di C3-C4 e C4-C5 a destra e sindrome della zona di transizione cervico-dorsale. Eseguito ciclo di trattamento con manipolazioni vertebrali manu medica secondo la tecnica di R. Maigne, 3 sedute a cadenza settimanale. Dal confronto dell’analisi stabilometrica prima dell’inizio del trattamento ed al termine del medesimo è emersa una netta riduzione della densità dello sway posturale associata ad una normalizzazione del range di frequenza delle oscillazioni nel range 0,5-0,8 Hz (i relativi report della prova posturometrica ed in particolar modo dell’analisi armonica delle oscillazioni posturali prima dell’inizio del trattamento manipolativo ed al termine del medesimo saranno presentati in sede congressuale). Tali dati si sono associati ad una remissione della sintomatologia dolorosa della paziente, alla quale è stato poi prescritto uno specifico programma di esercizio terapeutico. Caso clinico 2) paziente B.S., uomo di 60 anni, giunto a visita fisiatrica per lombalgia riacutizzata discogenica (protrusioni discali multiple del rachide lombare) e con rilievo clinico alla visita di sindrome cellulo-teno-mialgica al passaggio dorso-lombare. Eseguito ciclo di trattamento con manipolazioni vertebrali manu medica secondo la tecnica di R. Maigne, 3 sedute a cadenza settimanale, parziale regressione della sintomatologia già alla prima seduta di manipolazioni vertebrali. Dal confronto valutazione strumentale posturometrica prima e dopo la prima seduta di trattamento manipolativo si evince una precoce e netta riduzione dello sway di oscillazioni, in particolar modo nel range di frequenza inizialmente prevalente, compreso tra 0,12 e 0,20 Hz – compatibile con il quadro clinico evidenziato. Conclusioni  I dati preliminari ottenuti paiono confermare l’ipotesi dell’esistenza di una relazione tra sede del disturbo doloroso intervertebrale minore individuata clinicamente e frequenza di oscillazione prevalente all’analisi armonica delle oscillazioni posturale alla valutazione strumentale stabilometrica. Inoltre nei due casi clinici esaminati l’effetto clinico delle manipolazioni vertebrali si associa a variazioni di carattere posturale evidenziabili dallo studio dello sway posturale stabilometrico. Questi dati, seppur promettenti, necessitano di essere confermati con studi su popolazioni di pazienti ampie ed omogenee. Bibliografia [1] “Aspects of manual medicine in the treatment of patients with low back pain: our clinical experience” G. Falcone et al. Pubblicazione in Edizioni Minerva Medica – Proceedings of the 46th National Congress of the Italian Society of Physical and Rehabilitation Medicine – gennaio 2019 [2] Clinical stabilometry standardization: basic definitions–acquisition interval–sampling frequency F. Scoppa et al. Gait Posture. 2013 Feb;37(2):290-2. doi: 10.1016/j.gaitpost.2012.07.009. Epub 2012 Aug 11 [3] Sway Spectral Analysis in the Instrumented Romberg Test: Is there a Correlation between the Most Evident Harmonics of Closed Eyes Sway and Musculoskeletal Dysfunction Foci? A Medical Hypothesis Based on Clinical Experience. M. Gallamini et al. Int J Geriatr Gerontol 6: 157. www.doi.org/10.29011/2577-0748.100057
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Valutazione del timing dell’effetto terapeutico di due differenti preparati di tossina botulinica
Valutazione del timing dell’effetto terapeutico di due differenti preparati di tossina botulinica E. D’Alesio, R. Marvulli, I. Caramia, B. Modugno, B. Coretti, M. Riccardi, S. Pinna, M. Megna, M. Ranieri Introduzione In questo studio è stata comparata la funzione di due differenti preparati di BTX/A (onabotulinumtoxinA ed incobotulinumtoxinA) nel trattamento della spasticità dell’arto superiore, con l’obiettivo di dimostrarne l’efficacia valutandola in tre tempi, ovvero a 7, 15 e 30 giorni dalla data dell’iniezione ed avvalendoci di diversi strumenti di valutazione tra cui l’elettromiografia per determinare l’ampiezza del cMAP. Materiali e Metodi In questo studio abbiamo arruolato 45 pazienti affetti da spasticità muscolare dell’arto superiore a seguito di ictus ischemico o emorragico per valutare l’efficacia di due diversi preparati di BTX/A (onabotulinumtoxinA ed incobotulinumtoxinA) nel trattamento della spasticità dell’arto superiore. Le valutazioni sono state eseguite al momento dell’inoculazione e successivamente a 7, 15 e 30 giorni dopo l’inoculazione. I criteri di inclusione consistevano in: spasticità del muscolo Bicipite Brachiale (BB) e Flessore Superficiale delle Dita (FSD), assenza di fibrosi muscolare e/o retrazione tendinea e/o di un blocco articolare al gomito e alla mano, no trattamento concomitante con altri miorilassanti. I criteri di esclusione consistevano in: un’anamnesi positiva per demenza e per allergie al farmaco in studio e l’epilessia al momento del reclutamento, presenza di retrazione tendinea e/o di un blocco articolare al gomito, il trattamento concomitante con altri miorilassanti, età superiore agli 80 anni, presenza di marcata fibrosi muscolare nel muscolo BB e FSD (valutata mediante ecografia muscolare), la presenza di miopatie, neuropatie periferiche o di pacemaker cardiaco. Alla luce di tali criteri sono stati inclusi 40 pazienti. Durante lo studio i pazienti sono stati sottoposti ad una riabilitazione periodica consistente in stretching dei muscoli iniettati, mobilizzazione attiva e passiva dell’arto superiore, esercizi di rieducazione motoria funzionale dell’arto superiore e rinforzo muscolare globale giornaliero per i primi 30 giorni dopo l’iniezione e successivamente tre volte a settimana. Valutazioni Sono state eseguite valutazioni funzionali dell’arto superiore spastico attraverso la scala Ashworth modificata (MAS) per esaminare clinicamente il tono muscolare durante l’estensione del gomito e l’estensione delle dita e la goniometria articolare per misurare il range del movimento (ROM) del gomito e delle dita. E’ stata inoltre effettuata una valutazione strumentale attraverso l’elettromiografia per determinare l’ampiezza del cMAP del nervo muscolocutaneo e mediano. Risultati La valutazione del tono muscolare attraverso la scala Ashworth modificata e del ROM articolare tramite goniometro hanno evidenziato una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi dopo 7 giorni dalla data dell’iniezione (angolo medio di 170° nei pazienti trattati con incobotulinumtoxinA e di 135° nell’altro gruppo). I valori basali del cMAP si sono dimostrati comparabili tra i due gruppi ma è stata rilevata una differenza nella riduzione del potenziale d’azione a 7 giorni dall’iniezione, che è risultato essere di -7,4 mV (BB) e -8,2 mV (FSD) per i pazienti trattati con incobotulinumtoxinA e di -4,5 mV (BB) e 6,4 mV (FSD) nei pazienti trattati con onabotulinumtoxinA. Non ci sono state differenze significative tra i due gruppi dopo 15 e 30 giorni dal trattamento. Considerazioni conclusive L’efficacia dei due preparati BTX/A si è rivelata essere comparabile a 15 e 30 giorni dalla data dell’iniezione, tuttavia l’azione terapeutica è sorta più rapidamente nel gruppo dei pazienti trattati con incobotulinumtoxinA. Questa evidenza potrebbe essere correlata alle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di incobotulinumtoxinA, ed in particolar modo all’assenza di proteine complessanti, il cui tempo di dissociazione impatterebbe sulla velocità di insorgenza dell’azione terapeutica. La possibilità di poter utilizzare un farmaco che contrasta rapidamente la spasticità come l’incobotulinumtoxinA consente di avere un notevole impatto sul recupero funzionale del paziente poiché permette di agire precocemente sui meccanismi fisiopatologici che portano alla degenerazione delle fibre muscolari. Bibliografia • M.E. Chung, D.H. Song, J.H. Park. “Comparative study of biological activity of four botulinum toxin type A preparations in mice”. Dermal Surg. 2013; 39:155-64. • Neural Regen Res. 2017 Sep;12(9):1451-1457. Doi: 10.4103/1673-5374.215257. “Therapeutic efficacy and safety of various botulinum toxin A doses and concentrations in spastic foot after stroke: a randomized controlled trial.” • Jiang Li,Ru Zhan,Bo-Li Cui,Yong-Xiang Zhang,Guang-Tao Bai,Si-Shan Gao,Wen-Jian Li 2022 Jul;269(7):3706-3712. doi: 10.1007/s00415-022-10995-2. Epub 2022 Feb 3. “Time to onset and duration of botulinum toxin efficacy in movement disorders.”Claudia Ledda, Carlo Alberto Artusi, Antonella Tribolo,Domiziana Rinaldi,Gabriele Imbalzano,Leonardo Lopiano,Maurizio Zibetti
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Studio pilota di analisi della cinematica dell’arto superiore durante il Box and Blocks test: dati normativi e da soggetti post-ictus
TESTO POSTER 31 INTRODUZIONE Circa il 60-90% dei pazienti con ernia del disco lombare può essere trattato con strategie conservative. L’intervento chirurgico di discectomia lombare (DL) è indicato per chi evidenzia una sciatica con deficit neurologici gravi o progressivi e/o non risponde positivamente al trattamento conservativo. a due settimane dalla DL i pazienti sono poco attivi e invece di utilizzare i segnali propriocettivi lombosacrali mostrano un’elevata dipendenza da quelli provenienti dalla caviglia per mantenere l’equilibrio. È probabile che il trattamento post-operatorio basato su esercizi di percezione della postura e attivazione del Core possa avere un impatto positivo sui risultati. Tuttavia, non c’è chiarezza nè sui tempi di inizio nè sui protocolli di esercizio e l’approccio riabilitativo più efficace è sconosciuto. Valutare gli effetti in acuto di un programma di esercizi di percezione e attivazione del Core, sull’equilibrio e l’allineamento vertebrale di un gruppo di persone sottoposte a DL. MATERIALI E METODI Presso il reparto di Chirurgia Vertebrale dell’Istituto di Cura Città di Pavia (Pavia), nel periodo tra il 20/06 e il 30/09/2022 sono stati reclutati 19 pazienti, candidati a DL e allocati, tramite randomizzazione in uno dei due gruppi in studio, a cui sono stati somministrati due interventi riabilitativi di uguale durata, 10 minuti, svolti davanti a uno specchio quadrettato. GE: esercizi supervisonati, attivazione/percezione glutei e core. GC: correzione posturale autonoma. Durante il ricovero, usando lo Spine 3D (Sensormedica, Guidonia, Roma) e una pedana stabilometrica (FreeMed, Sensormedica), sono state fatte tre valutazioni: prima della DL (PRE) e in terza giornata post DL, prima (P1) e dopo l’intervento riabilitativo (P2). In PRE e P1 è stato chiesto ai partecipanti di assumere la posizione più comoda. In P2 è stato chiesto di assumere la postura che percepivano come la più corretta possibile, usando le informazioni apprese con l’intervento riabilitativo. RISULTATI In P1, rispetto a PRE, tutti i parametri indagati peggiorano, non significativamente, in entrambi i gruppi. In P2, rispetto a P1, tutti i parametri dell’equilibrio peggiorano in entrambi i gruppi; esclusa l’eccentricità dell’ellisse (Ee), peggiorano significativamente meno nel GE rispetto a GC. CONCLUSIONI Il peggioramento dei parametri dell’equilibrio è in accordo con la letteratura e riferibile agli esiti in acuto della DL. Confrontando i due gruppi, il lieve miglioramento di RMS e il peggioramento significativamente minore dell’equilibrio evidenziato da GE parrebbero confermare l’ipotesi che, in fase acuta, un intervento basato su esercizi di percezione e attivazione del Core possa mitigare le sequele posturali evidenziate a seguito di DL. • Hebert, J. J., Fritz, J. M., Thackeray, A., Koppenhaver, S. L., & Teyhen, D. (2015). Early multimodal rehabilitation following lumbar disc surgery: a randomised clinical trial comparing the effects of two exercise programmes on clinical outcome and lumbar multifidus muscle function. British journal of sports medicine, 49(2), 100–106. • Gilmore, S. J., Hahne, A. J., Davidson, M., & McClelland, J. A. (2020). Physical activity patterns of patients immediately after lumbar surgery. Disability and rehabilitation, 42(26), 3793–3799. • Janssens, L., Brumagne, S., Claeys, K., Pijnenburg, M., Goossens, N., Rummens, S., & Depreitere, B. (2016). Proprioceptive use and sit-to-stand-to-sit after lumbar microdiscectomy: The effect of surgical approach and early physiotherapy. Clinical biomechanics (Bristol, Avon), 32, 40–48.
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4 anni di attività ludica guidata, con utilizzo del tablet, per bambini afferenti ad un ambulatorio di neuropediatria ospedaliera
4 ANNI DI ATTIVITÀ LUDICA GUIDATA, CON UTILIZZO DEL TABLET, PER BAMBINI AFFERENTI AD UN AMBULATORIO DI NEUROPEDIATRIA OSPEDALIERA Laura Incasa1, Elisabetta Spezia2, Patrizia Bergonzini2, Lorenzo Iughetti3 • Terapista Occupazionale Borsista, Struttura Complessa di Pediatria, Policlinico – AOU di Modena; • Dirigente Medico, Pediatria Neurologica, Struttura Complessa di Pediatria, Policlinico – AOU Modena; • Direttore Struttura Complessa di Pediatria e Dipartimento Materno Infantile, Policlinico – AOU Modena; Introduzione La qualità della vita e l’equilibrio funzionale del bambino, durante la sua presa in carico ambulatoriale, hanno costituito i riferimenti per l’attuazione di una Attività ludica guidata di Terapia Occupazionale rivolta a bambini afferenti all’Ambulatorio di Neuropediatria del Policlinico di Modena, dall’anno 2019 ad oggi. L’Attività, in continuità con il follow-up neuropediatrico e proposta a cicli rinnovabili, ha avuto l’obbiettivo di sostenere il bambino, con le sue strategie adattive e di compenso, nella Partecipazione e in gradi di Autonomia possibili, nel gioco e in altre azioni di vita quotidiana: prima, durante e dopo il periodo pandemico da Covid-19 (Incasa, 2023). Materiali e Metodi L’Attività guidata di gioco con l’uso del tablet è stata rivolta a 34 bambini di età 4-12 anni, con diagnosi di epilessia o in monitoraggio elettroencefalografico per anomalie riscontrate; con difficoltà attentive, di relazione o di organizzazione dell’azione; in condizioni di stabilità clinica. Per lo svolgimento del percorso ludico si è ricorso ad un approccio che considerasse le funzioni transmodali di attenzione condivisa, iniziativa motoria, comune azione e motivazione – correlabili alla categoria di Partecipazione – e gli aspetti di Reciprocità, secondo una prospettiva Embodied Cognition (Mente-Corpo-Ambiente) (Edelman, 2006). Inoltre, per l’attuazione dell’Attività, si è considerata la definizione di “Esperienza Significativa Guidata” (Ferrari, 2005) e il concetto di “giusta sfida” secondo Ayres, pensandoli rispetto ad un percorso di Terapia Occupazionale per il bambino in rapporto ai tre riferimenti occupazionali di Persona, Attività e Ambiente. Il tablet ha costituito un elemento caratteristico dell’Attività: a completamento dell’esperienza reale, è stato collocato come “stimolo attivante” e come arricchimento ambientale – sensoriale, a sostegno della propositività del bambino. Il tablet ha contribuito anche alla personalizzazione dell’esperienza ludica per il bambino, sulla base delle informazioni raccolte ad avvio percorso, relative ai suoi interessi di gioco e alla sua storia clinica. Rispetto alle funzioni considerate, sono stati scelti degli indicatori (presenza/assenza; mantenimento nel tempo del percorso; bilanciamento delle funzioni considerate; assenza di comportamenti problematici) per il rilevamento di un mantenimento, o di un cambiamento graduale in positivo, delle stesse funzioni nel bambino, correlabili a competenze di Partecipazione e di Autonomia possibile. Per la valutazione degli outcome si è ricorso, inoltre, ad una scala a 5 punti di autopercezione del livello di soddisfazione del bambino all’attività proposta e al feedback del caregiver sulla partecipazione del proprio bambino e sulla traslabilità a casa dell’autonomia indagata, attraverso un’intervista conclusiva inerente i parametri di realizzabilità, soddisfazione ed utilità. Risultati Dei 34 bambini seguiti, più della metà ha mostrato un’iniziativa motoria coerente alle proposte, oltre che disponibilità verso un’azione guidata cooperativa. Meno della metà dei bambini ha fatto fatica a mantenere un’attenzione sostenuta per il tempo complessivo delle proposte di gioco (45 minuti). Tutti i bambini, invece, hanno saputo rinnovare l’attenzione condivisa durante ogni seduta, spontaneamente o con minimo aiuto, come orientamento interessato verso l’Attività. Ad eccezione di un bambino, non si sono rilevati comportamenti problematici durante l’Attività, tali da dover richiedere l’interruzione o l’adattamento della proposta ludica in corso. La quasi totalità dei bambini, infatti, ha saputo rientrare nel tempo della seduta, con minimo aiuto, da situazioni di temporanea difficoltà attuativa, quando presente. Più della metà dei bambini ha espresso un punteggio di soddisfazione all’Attività di 4 o 5, corrispondenti ai valori più alti di positività dell’esperienza. Quasi tutti i genitori hanno riconosciuto, infine, l’utilità del percorso di gioco per il proprio bambino rispetto alla partecipazione. Riguardo all’autonomia indagata, la maggior parte dei genitori ne ha convenuto l’utilità ma alcuni hanno riferito la loro difficoltà nella riproducibilità a casa con il bambino per motivi di natura organizzativa. Conclusioni I risultati riscontrati sono da attribuirsi ad una modalità di sintonizzazione, sincronizzazione e sinergizzazione della figura terapeutica con il bambino: con la sua “storia naturale” (Ferrari, 2005), i suoi vincoli e le sue strategie adattive, in situazione di gioco condiviso; e del bambino, aiutato, con la figura guida. Questa Attività ludica guidata, rinnovabile nel percorso di cura del bambino, vuole porsi coerentemente al percorso clinico e di sviluppo per “storia naturale” di ciascun bambino, considerando il tablet come strumento arricchente l’interazione ludica abilitativa, definita primariamente, nella sua significatività, dalla relazione bambino- terapista e dalla loro azione condivisa e situata (Edelman, 2006). Bibliografia Ferrari A., Cioni G. (2005) – Le forme spastiche della paralisi cerebrale infantile, Springer, Milano; Edelman G. M. (2006) – The Embodiment of Mind, Daedalus, Vol. 135, No. 3, On Body in Mind, pp. 23-32; Incasa L. et al. (2023) – “4 anni di Attività ludica guidata Family Centered Care: tenuta nel tempo e sviluppo nello spazio”, 48° Congresso Nazionale ANMDO “Quale Ospedale per il futuro dell’Ospedale: da sempre fulcro dell’Innovazione”, Napoli, 17-19 Maggio 2023.
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Afasia post-stroke: non è mai troppo tardi per riabilitare?
Afasia post-stroke: non è mai troppo tardi per riabilitare? Lucia SPINA 1, Sara SCHIAVETTO 2, Bruno CONTI 3, Franco COSIGNANI3 1 Fisiatra presso UO Riabilitazione specialistica, Presidio Ospedaliero di Limbiate del Gruppo Multimedica 2 Logopedista presso UO Riabilitazione specialistica, Presidio Ospedaliero di Limbiate del Gruppo Multimedica 3Direttore Interaziendale del Dipartimento di Riabilitazione Specialistica e Neurologica del Gruppo Multimedica Autore di riferimento: Lucia SPINA,lucia.spina@multimedica.it Introduzione I trattamenti riabilitativi intensivi sono solitamente previsti solo nei primi mesi successivi ad uno stroke, mentre la loro appropriatezza nella fase cronica è ancora incerta. Secondo evidenze presenti in letteratura, interventi fisioterapici effettuati a distanza di tempo dall’evento ictale possono produrre ulteriori miglioramenti funzionali, soprattutto per quanto riguarda il recupero dell’autonomia nella deambulazione 1. Anche per quanto riguarda il recupero del disturbo afasico, spesso trascurato nella fase cronica per la carente offerta di adeguati servizi territoriali, recenti studi randomizzati e controllati hanno evidenziato l’efficacia di trattamenti riabilitativi intensivi applicati tardivamente, ovvero oltre i 6 mesi dall’accidente cerebro-vascolare 2. Questo report descrive il caso clinico di un paziente affetto da una severa afasia non fluente, conseguente ad un ictus ischemico, e sottoposto dopo più di 3 anni dall’evento, ad un trattamento riabilitativo intensivo per il recupero del linguaggio. Materiali e metodi ZG, un uomo di 68 anni, era stato colpito nel 2019 da un ictus ischemico nel territorio dell’arteria cerebrale media sinistra, con una conseguente afasia non fluente di grado severo, tale da non permettere la somministrazione di batterie standardizzate. Dopo circa due mesi di ricovero in una Riabilitazione Specialistica si osservava un minimo miglioramento delle capacità comunicative di ZG, che consentiva lo svolgimento di alcune prove dell’AAT (Aachener Aphasie Test), quantificando come di media entità il deficit nella ripetizione e come grave il deficit nella denominazione, nel linguaggio scritto e nella comprensione. Dopo la dimissione, per più di 3 anni (40 mesi), anche a causa delle limitazioni e interruzioni nei servizi riabilitativi legate allo stato di emergenza per la pandemia da Covid-19, ZG non effettuava alcun trattamento specifico per il recupero del disturbo del linguaggio. Alla rivalutazione fisiatrica ambulatoriale nel febbraio 2023 si osservava un parziale recupero spontaneo dell’eloquio, che risultava caratterizzato dall’utilizzo di singole parole o frasi molto brevi, prive di struttura grammaticale ed in particolare con un ridotto utilizzo dei verbi rispetto ai sostantivi ed una costante omissione dei funtori; l’accesso lessicale risultava deficitario con frequenti anomie e parafasie fonemiche e alcuni neologismi. Emergevano, inoltre, episodi di perseverazione verbale, di cui ZG era consapevole, ma che non era in grado di inibire. La comprensione contestuale appariva buona, mentre si osservavano difficoltà nella comprensione orale e, soprattutto, scritta di parole e frasi. Sottoposto a rivalutazione testistica mediante AAT e BADA (Batteria per l’Analisi dei Deficit Afasici), il deficit nella lettura e comprensione del linguaggio scritto risultava lieve, mentre i deficit nella ripetizione, nella denominazione e nella comprensione erano di media entità. Considerato il quadro di afasia, riscontrato alla valutazione qualitativa e testistica, ZG è stato sottoposto ad un trattamento riabilitativo con sedute bisettimanali con i seguenti obiettivi: • migliorare la capacità di programmazione fonologica, tramite esercizi di ripetizione e lettura ad alta voce di parole e non parole; • potenziare l’accesso al lessico, sia mediante esercizi di denominazione con cue fonemico e grafemico sia mediante le tecniche SFA (Semantic Feature Analysis) e PCA (Phonological Components Analysis); • recuperare la strutturazione morfosintattica, riducendo l’agrammatismo, attraverso esercizi di descrizione di figure semplici e complesse; • migliorare la comprensione, tramite esercizi di lettura e comprensione del testo; • migliorare le abilità di conversazione, anche attraverso l’utilizzo di circonlocuzioni efficaci e l’applicazione di strategie per l’inibizione delle perseverazioni verbali. Risultati Dopo 3 mesi di trattamento riabilitativo intensivo, alla rivalutazione delle abilità comunicativo-linguistiche di ZG emergeva un eloquio maggiormente fluente, sebbene ancora inficiato da anomie, parafasie fonemiche e semantiche e agrammatismo. Risultavano ridotti gli automatismi e gli episodi di perseverazione. La comprensione morfosintattica appariva buona, anche per argomenti complessi. Infatti, alla valutazione testistica mediante AAT il deficit nella comprensione risultava di minima entità; globalmente migliorati anche i punteggi nelle prove di ripetizione e di denominazione e nel linguaggio scritto, con deficit di lieve entità. In particolare, la percentuale di recupero, raggiunto nei 3 mesi di trattamento riabilitativo intensivo, nel dominio “ripetizione” dell’AAT era complessivamente superiore a quella ottenuta spontaneamente nei 40 mesi di non trattamento; analogamente il recupero percentuale medio mensile nei domini “denominazione” e “comprensione” era circa 10 volte superiore nel periodo di trattamento riabilitativo intensivo rispetto al periodo di non trattamento. Alla rivalutazione tramite BADA risultavano, inoltre, migliorate sia la ripetizione di non parole sia la denominazione di nomi e verbi. Conclusioni Dal caso presentato scaturiscono interessanti riflessioni sulle possibilità di efficacia di un trattamento riabilitativo intensivo nella fase cronica dello stroke, soprattutto in caso di mancato e completo sfruttamento del potenziale margine di recupero nella fase subacuta, inducendo ad ipotizzare che meccanismi di plasticità neuronale siano riattivabili anche a distanza di tempo dall’evento acuto 3. Bibliografia • Wade D T, Collen F M, Robb G F, Warlow C P. Physiotherapy intervention late after stroke and mobility. BMJ. 1992 Mar 7;304(6827):609-13. doi: 10.1136/bmj.304.6827.609. • Breitenstein C et al. Intensive speech and language therapy in patients with chronic aphasia after stroke: a randomised, open-label, blinded-endpoint, controlled trial in a health-care setting. Lancet 2017 Apr 15;389(10078):1528-1538. doi: 10.1016/S0140-6736(17)30067-3. Epub 2017 Mar 1. • Korner-Bitensky N. When does stroke rehabilitation end? Int J Stroke. 2013 Jan;8(1):8-10. doi: 10.1111/j.1747-4949.2012.00963.x.
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Utilizzo di corsetto in grafene in pazienti con disturbi posturali cronici: studio pilota
UTILIZZO DI CORSETTO IN GRAFENE IN PAZIENTI CON DISTURBI POSTURALI
CRONICI: STUDIO PILOTA
Daniele Mazzoleni1, Luca Lutti2, Elena Cozzi 1 Asst-BergamoOvest; FOR.ME centro medico
2 Tecnico Ortopedico presso Medical Farma 3 Specialist Obiettivi
Il presente lavoro ha lo scopo di valutare l’efficacia dell’utilizzo di un corsetto in grafene con spallaccio con spinta antero-posteriore in pazienti con disturbi posturali esitanti in dorsolombalgia cronica già trattata in passato con terapie farmacologiche, massoterapia e rieducazione posturale senza beneficio.
Gli autori hanno voluto analizzare se uno strumento passivo, utile al controllo della postura, potesse aiutare il paziente a migliorarla e conseguentemente a ridurre il dolore e a migliorare la qualità di vita. Materiali e Metodi
Lo studio ha preso in esame 10 pazienti (6M/4F), età (36.8 ± 9.27), peso (66.7 ± 8.99), altezza (172 ± 6.00) analizzati nell’arco di 3 mesi. Ogni paziente è stato indagato con il questionario Qualeffo-41, con la scala TRACE (Trunk Aesthetic Clinical Evaluation) e con una valutazione su pedana stabilometrica della durata di 57 secondi con e senza corsetto a T0, T1 (a distanza di un mese), T2 (a distanza di tre mesi).
Ad ogni paziente è stato richiesto di utilizzare il corsetto per almeno 8 ore al giorno durante tutta la durata del progetto.
Le variabili raccolte durante la conduzione dello studio sono state riassunte come media e deviazione standard, oppure come mediana e range interquartile, come appropriato in base alla distribuzione risultante.
La probabilità statisticamente significativa per tali confronti è stata fissata a p<0.05. I confronti delle variabili nei vari istanti di tempo (T0, T1 e T2) sono stati effettuati mediante ANOVA a una via non parametrico per misure ripetute (Friedman’s test). I confronti tra gruppi sono stati effettuati con il metodo di Durbin-Conover. Le analisi sono state condotte con software Jamovi ver. 2.3.21.0. Risultati
Le analisi dei dati raccolti durante il protocollo di studio hanno portato a risultati incoraggianti. Il gomitolo e l’area di posizionamento sulla pedana stabilometrica si sono ridotte nei partecipanti allo studio già al tempo T1; tali riduzioni si mantengono statisticamente inferiori al basale T0 anche al tempo T2.
Tali risultati sono validi sia se il paziente indossa il corsetto sia in sua assenza durante le prove strumentali a T0, T1, T2.

Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla qualità di vita dei pazienti, i pazienti che hanno partecipato allo studio hanno ridotto in modo statisticamente significativo il dolore, la difficoltà a condurre attività quotidiane e la difficoltà a muoversi già al tempo T1; tale riduzione è poi continuata ulteriormente, in maniera statisticamente significativa, anche nella valutazione a T2.

Il corsetto ha inoltre migliorato in modo statisticamente significativo la percezione di salute sia a T1 che a T2. La percezione di miglioramento delle attività svolte in casa è aumentata in modo statisticamente significativa già a T1; tale miglioramento è poi continuato anche a T2, sebbene in modo non statisticamente significativo.

I pazienti che hanno partecipato allo studi hanno migliorato inoltre in modo statisticamente significativo la loro funzione mentale e le attività sociali. Tale miglioramento è diventato statisticamente significativo rispetto a T0 solo al tempo T2. Conclusioni
L’utilizzo del corsetto è risultato essere associato a un miglioramento sia posturale, funzionale che della qualità di vita dei pazienti arruolati, supportandone quindi l’efficacia clinica.
Studi futuri a più elevato livello di evidenza e con un più alto numero di pazienti potranno confermare ulteriormente i risultati preliminari ottenuti in questo primo studio pilota. Bibliografia
Joseph V. Pergolizzi Jr, Jo Ann LeQuang; Rehabilitation for Low Back Pain: A Narrative Review for Managing Pain and Improving Function in Acute and Chronic Conditions; Pain Ther (2020) 9:83–96 https://doi.org/10.1007/s40122-020-00149-5
Mireille N. M. van Poppel;An update of a systematic review of controlled clinical trials on the primary prevention of back pain at the workplace;Occupational Medicine 2004;54:345–352 doi:10.1093/occmed/kqh065
Shawn F. Phillips, MD, MSPT. Low back pain in youth: Recognizing red flags; J Fam Pract. 2020; October;69(8):E1-E8 | 10.12788/jfp.0076
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Effetti del protocollo “Home Covid Rehab” (HCR) sul quadro clinico di pazienti Covid post ospedalizzazione: uno studio longitudinale retrospettivo
Effetti del protocollo Home Covid Rehab sul quadro clinico di pazienti Covid post ospedalizzazione: studio longitudinale retrospettivo D. Cacitti, G. Pastorin, I. Barcellesi, G. Granzotto, S. Dal Bo, G. Bonivento ULSS 2 Marca Trevigiana – U.O.C. Riabilitazione e Recupero Funzionale Vittorio Veneto – Conegliano Introduzione Sequele motorio-funzionali del paziente con esiti da covid-19 • ridotta capacità fisica • riduzione della forza • ridotta capacità cardio-polmonare • dispnea da sforzo • peggioramento qualità di vita Home Covid Rehab In una situazione dove è stato d’obbligo ridurre al minimo le fonti di contagio, la tecnologia ci è venuta incontro. La tele-riabilitazione o assistenza virtuale a distanza ci ha permesso infatti di erogare servizi riabilitativi – a livello ospedaliero tramite il Sistema Sanitario Nazionale, in totale sicurezza e raggiungere gli obiettivi terapeutici prefissati. Viene protocollato in Azienda ULSS 2 – Marca Trevigiana (Regione Veneto), Distretto di Pieve di Soligo, U.O. R.R.F di Vittorio Veneto e di Conegliano il programma “Home Covid Rehab” (HCR). • Programma di monitoraggio personalizzato di 4 settimane con follow-up settimanale • Brochure e Canale YouTube dedicati Realizzato in collaborazione con gli studenti 3° anno CdL in Fisioterapia A.A. 2019-2020 – Università degli Studi di Padova, sede di Conegliano (TV). Riconosciuto dall’Osservatorio Nazionale del Governo nelle Buone pratiche per la sicurezza in sanità Intervento Il programma di esercizi prescritto, chiamato HCR, è stato presentato al paziente mediante brochure, consegnata alla dimissione. La prima chiamata in video-call è stata eseguita entro 48h dalla dimissione. Il programma consiste in 30’ di esercizi, suddivisi in diversi livelli di difficoltà (base, intermedio e avanzato: livello di allenamento del paziente individuato tramite AST), ripetuti 2 volte al giorno (mattina e pomeriggio) per 4 settimane consecutive. Nel compendio consegnato ad ogni paziente, vi sono scritti: il programma degli esercizi con relativo link ad un canale YouTube ad hoc, con dei video esplicativi e le modalità di automonitoraggio dei sintomi e dei criteri di interruzione dell’allenamento. Il disegno dello studio è osservazionale longitudinale retrospettivo monocentrico, no-profit. Periodo raccolta dati da inizio Aprile 2020 a fine Agosto 2022 Outcome: • AST: test alzate dalla sedia in 30” (livello di performance) • BDI: Barthel Dyspnea Index (dispnea respiratoria e fatica muscolare) Popolazione Nel corso dello studio sono stati individuati 293 pazienti, di cui solamente 215 rispettavano i criteri di eleggibilità. Durante il percorso terapeutico ci sono stati 15 drop out, o per motivi medici o perché i pazienti richiedevano una gestione ambulatoriale, pertanto sono stati esclusi dall’analisi dei dati dello studio. Risultati Alla dimissione, la media di alzate dalla sedia in 30 secondi è stata di 10.55 (+/-3,49). Con l’inizio dei follow up e degli incontri telematici, le misurazioni sono passate dal T1: 11.71 (+/-3,68) al T5: 15.04 (+/- 4,48), con p-value al t test appaiato <0.001. La media dei punteggi alla Barthel Dyspnea Index sono passate dal T0: 81,61 (+/-9,8) al T5: 95,48 (+/- 5,83), con p-value al t test appaiato <0.001. • Correlazione positiva tra età e durata del ricovero nel campione non ricoverato in TI • Correlazione positiva tra outcome AST(T0) e BDI (T0) nel campione non ricoverato in TI • Correlazione negativa tra età e outcome nel campione non ricoverato in TI Conclusioni Sebbene sia limitato dall’assenza di un gruppo di controllo, questo studio dimostra che pazienti adulti con sintomi post-covid, trattati con il protocollo HCR per 4 settimane, migliorano il proprio quadro clinico in termini di dispnea durante le attività di vita quotidiana e di capacità fisica. La popolazione generale presenta a T5 un miglioramento medio del 42,56% al test delle alzate e del 17% alla Barthel Dyspnea Index, raggiungendo punteggi simili ad una popolazione sana. Inoltre si determinano delle correlazioni positive significative statisticamente tra età e durata del ricovero, tra gli outcomes e delle correlazioni negative tra età e outcomes per il gruppo di non ricoverati in TI. Sono necessari ulteriori futuri studi, che comprendano anche un gruppo di controllo, per confermare l'efficacia e la sicurezza del protocollo riabilitativo Home Covid Rehab somministrato attraverso la modalità tele riabilitativa. La telemedicina si è dimostrata un utile strumento in grado di rispondere alle esigenze pandemiche permettendo importanti risultati. Emerge tuttavia come questa possa essere coadiuvante nel percorso diagnostico, terapeutico o riabilitativo. Seppur applicata con successo riteniamo fondamentale la necessità di ritagliare un ruolo ben definito di questo strumento nel panorama medico e riabilitativo.
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Infiltrazione intra-articolare e peritendinea, ecoguidata o ecoassistita, tramite l’utilizzo di PRP omologo da donatore
Infiltrazione intrarticolare e peritendinea, ecoguidata o ecoassistita, tramite l’utilizzo di PRP omologo da donatore Scopo della ricerca è dimostrare l’efficacia clinica del trattamento infiltrativo intrarticolare e peritendineo con PRP (Platelet-Rich Plasma) eseguito in regime ambulatoriale presso l’Ospedale Centrale di Bolzano. Si riporterà l’esperienza in collaborazione con la Medicina Trasfusionale di Bolzano ed i risultati clinici ottenuti su 43 pazienti con patologie del sistema locomotore, per un totale di 50 distretti infiltrati, nel periodo giugno 2022- settembre 2023. MATERIALI E METODI   Per attivare l’impiego del PRP quale “freccia” da aggiungere alla faretra del Fisiatra Interventista, era indispensabile anzitutto ricevere le dovute autorizzazioni dal Reparto di Medicina Trasfusionale ed imbastire una procedura interna in cui si specificassero attori, tempi, luoghi e responsabilità. A tale procedura si allegavano un consenso ed una informativa creati ad hoc, oltre al modello per la segnalazione delle reazioni avverse.  Si avviava quindi il reclutamento dei pazienti, sia dalle prime Visite Fisiatriche che dalla segnalazione di Colleghi e Fisioterapisti. Veniva proposto un protocollo di trattamento infiltrativo locale, ecoguidato od ecoassistito, con 3 sedute eseguite a distanza di almeno 2 settimane l’una dall’altra.  Tutti i pazienti ricevevano PRP omologo (da donatore), ad alta concentrazione (contenuto minimo in piastrine 1 x 109/ml +/-20%), fornito in sacche decongelate da circa 10 ml (non obbligatoriamente utilizzate nella loro interezza). In alcuni casi si concordava di eseguire il trattamento su due distretti corporei. Per alcuni pazienti si associava un trattamento fisioterapico, comprendente 2 sedute di kinesiterapia a distanza di 1 settimana da ciascuna infiltrazione, per un totale di 6 sedute. RISULTATI Il 76% del campione eseguiva infiltrazioni intrarticolari, il 24% peritendinee. 
Gli AASS venivano coinvolti nel 54%, gli AAII nel 46%. Le sedi infiltrate erano in ordine di frequenza:  – spalla (38%); – ginocchio (30%); – tendine achilleo (16%); –  gomito (8%); –  anca (8%).  Per una valutazione più fine dei dati raccolti, si istituiva un database all’interno del quale i 2 gruppi principali, AAII e AASS, venivano ulteriormente suddivisi per distretti, analizzando rispettivamente spalla, gomito, anca, ginocchio e tendine achilleo, e poi distinti a loro volta in gruppo “con FKT” e “senza FKT”. I pazienti con patologie a carico degli AAII venivano sottoposti al 6MWT e alla valutazione del punteggio NRS prima della prima (T0) e della terza seduta (T1).   I pazienti con patologie a carico degli AASS compilavano il questionario DASH e la valutazione del punteggio NRS prima della prima (T0) e della terza seduta (T1).  Per ulteriore follow-up, si eseguiva un controllo clinico a 3 mesi (T2) ed a 6 mesi (T3), per rivalutare il punteggio NRS, la distanza percorsa al 6MWT o il questionario DASH ed esprimere un giudizio quantitativo in scala numerica da 0 a 10 sul gradimento del trattamento svolto da parte del paziente. Il 76 % del campione veniva sottoposto al F/U a 3 mesi e il 52 % al F/U a 6 mesi. I dati raccolti venivano analizzati tramite applicazione di medie, percentuali, test T di Student e Coefficiente di correlazione di Pearson. – elevata significatività statistica (p<0,01) nella differenza dei valori NRS medi e dei valori DASH medi per il gruppo spalla “con FKT” fra T0 e T1 e fra T0 e T2; I pz sottoposti a infiltrazione ecoassistita intrarticolare di spalla con accesso posteriore (in seguito a tendinopatie inserzionali o pre-inserzionali della cuffia dei rotatori, lesioni parziali tendinee o tendinopatie calcifiche, talvolta associate a quadri di impingement e/o borsite SAD) che svolgevano trattamento fisioterapico, mostravano un significativo miglioramento in termini funzionali e di riduzione antalgica, rispetto ai pz non trattati con FKT, non solo alla conclusione del trattamento infiltrativo, ma anche al F/U a 3 mesi.
- moderata significatività statistica (p<0,05) nella differenza dei valori DASH medi ed elevata significatività statistica (p<0,01) nella differenza dei valori NRS medi per il gruppo gomito “senza FKT” fra T0 e T1 e fra T0 e T2 ; I pz sottoposti ad infiltrazione ecoassistita peritendinea a livello dell’epicondilo laterale del gomito per patologie inserzionali a carico del tendine degli estensori dell'avambraccio, mostravano un significativo miglioramento in termini di riduzione antalgica e in misura minore in termini funzionali, nonostante l’assenza di un trattamento riabilitativo specifico. - elevata significatività statistica (p<0,01) nella differenza dei valori NRS medi per il gruppo anca con FKT a T0 e T1; I pz sottoposti ad infiltrazione ecoguidata dell’articolazione coxo-femorale per artrosi di grado lieve o moderato, mostravano una riduzione in termini antalgici che però, non si manteneva fino al F/U a 3 mesi. 
- elevata significatività statistica (p<0.01) nella differenza dei valori di distanza media percorsa al 6MWT per il gruppo ginocchio “senza FKT” fra T0 e T1, T0 e T2, T0 e T3; I pz sottoposti ad infiltrazione ecoassistita a livello intra-articolare di ginocchio (nel 67% dei casi per artrosi di grado lieve o moderato, nei restanti a seguito di lesione meniscali e/o lesioni di LCA) che non avevano svolto FKT mostravano, al contrario delle aspettative, un maggior beneficio funzionale sia al termine delle sedute infiltrative che al F/U a 3 mesi. Solo chi aveva svolto FKT, mostrava invece una discreta riduzione della sintomatologia dolorosa. - nessuna significatività statistica nella differenza dei valori NRS medi e nella distanza media percorsa al 6MWT per il gruppo tendine achilleo fra T0 e T1, T2 e T3. I pz sottoposti a trattamento ecoguidato peritendineo per patologie inserzionali o pre-inserzionali a carico del tendine achilleo non ricevevano alcun beneficio né in termini funzionali né di riduzione antalgica.  CONCLUSIONI L’esperienza vissuta testimonia ancora una volta l’approccio vincente della multidisciplinarietà e l’importanza del Team nel trattamento del paziente riabilitativo.  I dati analizzati evidenziano una buona efficacia e sicurezza del trattamento infiltrativo ecoguidato con PRP sul controllo del dolore e nel recupero funzionale nelle patologie articolari e muscolo-tendinee. Ulteriori studi saranno necessari per comparare l’efficacia della terapia peritendinea e intratendinea con PRP a livello delle tendinopatie inserzionali o pre-inserzionali del tendine achilleo, distretto ove, al momento, la tecnica infiltrativa peritendinea sembra non essersi dimostrata efficace. BIBLIOGRAFIA • Giovannetti de Sanctis E, Franceschetti E, De Dona F, Palumbo A, Paciotti M, Franceschi F. The Efficacy of Injections for Partial Rotator Cuff Tears: A Systematic Review. J Clin Med. 2020 Dec 25;10(1):51. doi: 10.3390/jcm10010051. • Hohmann E, Tetsworth K, Glatt V. Is platelet-rich plasma effective for the treatment of knee osteoarthritis? A systematic review and meta-analysis of level 1 and 2 randomized controlled trials. Eur J Orthop Surg Traumatol. 2020 Aug;30(6):955-967. doi: 10.1007/s00590-020-02623-4. • Indicazioni terapeutiche sull’utilizzo appropriato degli emocomponenti per uso non trasfusionale – II edizione Giugno 2021
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Tendinosi calcifica:una nuova opportunità terapeutica infiltrativa a base di collagene suino
TENDINOSI CALCIFICA: una nuova opportunità terapeutica infiltrativa a base di collagene suino. Mirko Mutti .Medicina Fisica e Riabilitazione Centro Polispecialistico Pacini Introduzione La tendinosi calcifica è la sofferenza cronica a carico di un tendine, caratterizzata da una degenerazione della normale struttura tendinea. I depositi di calcio riducono l’elasticità e la mobilità dei tendini coinvolti i quali, diventando più rigidi, sono maggiormente inclini ad infiammarsi quando sollecitati. L’obiettivo di questo case Report è la risoluzione del danno tissutale a carico della spalla, tramite una terapia infiltrativa a base di collagene suino di tipo I, alternativamente ad altre terapie conservative come il PRP (più indaginoso e costoso) o non conservative come la chirurgia. Il collagene di tipo I è la proteina più abbondante presente nel tessuto connettivo che avvolge e protegge il comparto peri-articolare, come tendini e legamenti. La sua supplementazione esogena, tramite infiltrazione, va a rafforzare e riparare le strutture danneggiate, conferendo una maggiore elasticità e resistenza. Materiali e Metodi E’ stato trattato 1 paziente di 58 anni affetto da tendinosi calcifica alla spalla destra (sovraspinato e capo lungo del bicipite – CLB) con limitazione funzionale e rigidità cronica sui piani di movimento indagati. E’ stata eseguita ecografia muscolotendinea pre e post trattamento infiltrativo. Prima di iniziare il ciclo infiltrativo con collagene il paziente è stato trattato con ciclo di onde d’urto (OU) focali. E’ stato eseguito un ciclo da 5 infiltrazioni di MD-TISSUE (1 infiltrazione a settimana per 5 settimane), utilizzando ago 26G da 25 mm in sede peri-lesionale. E’ stato valutato il dolore tramite scala VAS, valore inziale (T0) 8 e finale (T1) 1-2. Durante il trattamento si è osservato un progressivo miglioramento soggettivo/clinico della sintomatologia dolorosa e della mobilità della spalla destra associato a ciclo di Fisiochinesiterapia (FKT) con stretching. MD-TISSUE è un dispositivo medico di classe III che svolge un effetto di scaffold meccanico ed un ruolo antiossidante, grazie alla presenza degli eccipienti (vitamina C/B1, B2, B6 e gluconato di magnesio). Il follow up è stato eseguito a 3 mesi con riferito dolore stabile VAS 1-2 ed in assenza riferita di assunzione di antinfiammatori. Il fup a 6 mesi ha confermato l’assenza della sintomatologia dolorosa. Risultati MD-TISSUE ha permesso un miglioramento della qualità delle fibre tendinee ed un miglioramento della mobilità tendinea nello scorrimento, una riduzione importante del dolore ed un miglioramento della mobilità articolare associato a FKT. L’efficacia del collagene suino di tipo I ha permesso di non fare ricorso all’infiltrazione con cortisonici. Il beneficio di questi ultimi, infatti, va soppesato con il rischio di un possibile ritardo nel processo di guarigione ed ha utilità solo in caso di dolore acuto e non cronico, come è stato per questo paziente. Conclusioni Il trattamento infiltrativo con collagene suino di tipo I ha favorito l’omeostasi, il rimodellamento e la riparazione tissutale, agendo come scaffold attivo a livello della membrana extracellulare. E’stato in grado di riparare il danno, migliorando la funzionalità delle strutture compromesse. MD-TISSUE GUNA risulta essere un trattamento terapeutico rigenerativo, riparativo, utile, sicuro, di facile utilizzo, senza effetti collaterali e costo efficace rispetto ad altre terapie infiltrative. Può risultare un trattamento associabile ad un ciclo di cure strumentali con OU focali. Queste ultime in grado di ridurre la calcificazione, il collagene invece in grado di migliorare e ripristinare l’integrità tissutale ed il riallineamento delle fibre. Bibliografia • De Carli, A., Pulcinelli, F., Rose, G. D., Pitino, D., & Ferretti, A. (2014). Calcific tendinitis of the shoulder. Joints, 2(3), 130–136. https://doi.org/10.11138/jts/2014.2.3.130 • Randelli F, Menon A, Giai Via A, et al, Effect of a Collagen-Based Compound on Morpho-Functional Properties of Cultured Human Tenocytes. Cells. 2018 Dec 6;7(12):246. • Randelli F, Sartori P, Carlomagno C, Bedoni M, Menon A, Vezzoli E, et al. The Collagen-Based Medical Device MD-Tissue Acts as a Mechanical Scaffold Influencing Morpho-Functional Properties of Cultured Human Tenocytes. Cells. 2020 Dec 8;9(12):2641. 
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Efficacia dell’agopuntura nella terapia per la vescica neurogena
EFFICACIA DELL’AGOPUNTURA NELLA TERAPIA PER LA VESCICA NEUROGENA Emanuela Casanova *, Valentina Stigliano*, Valerio Vagnoni**, Elisabetta Magni* * IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, UOC Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione ** Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna IRCCS Policlinico S. Orsola, Bologna Introduzione La terapia per la vescica neurogena (neurogenic bladder dysfunction-NBD) conseguente ad una lesione midollare prevede l’utilizzo di farmaci e/o interventi chirurgici che possono determinare frequentemente molti effetti collaterali. Abbiamo quindi valutato la possibilità di utilizzare l’agopuntura per il trattamento dell’incontinenza urinaria causata dall’iperreflessia detrusoriale nei pazienti con lesioni midollari croniche. Materiali e Metodi Un paziente maschio di 45 anni affetto da incontinenza urinaria causata da lesione midollare, già in terapia con ossibutinina, è stato trattato con agopuntura, utilizzando aghi monouso applicati a livello del punto BL-33 (Zhongliao) bilateralmente, localizzato a livello del terzo posteriore del foramine sacrale. Sono stati condotti studi urodinamici all’inizio e alla fine del trattamento, durato 4 settimane, con la frequenza di 1 volta alla settimana. Un diario minzionale ha inoltre registrato l’entità dell’incontinenza. Risultati Durante il trattamento non si sono riscontrati effetti collaterali. Si è assistito ad una riduzione del 50% dell’incontinenza e ad un aumento della capacità cistometrica della vescica (da 76 a 148 ml). Conclusioni Nei pazienti con lesione midollare l’agopuntura potrebbe rappresentare una valida alternativa terapeutica per il trattamento dell’incontinenza urinaria causata dall’iperreflessia detrusoriale. Sono, tuttavia, necessarie sperimentazioni con un maggior numero di pazienti per validarne l’efficacia. Bibliografia • Lei et al, Different types of acupuncture and moxibustion therapy for neurogenic bladder after spinal cord injury. Medicine (2020) 99:1 • Chung IMKYSY. Effects of acupuncture on abdominal leak point pressure and c-Fos expression in the brain of rats with stress urinary incontinence. Neurosci Lett 2008;439:18–23. • Kitakoji H, Terasaki T, Honjo H, et al. Effect of acupuncture on the overactive bladder. Nihon Hinyokika Gakkai Zasshi 1995;86:1514–9.
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Terapia infiltrativa a base di collagene nel percorso riabilitativo della rizoartrosi bilaterale
Introduzione La rizoartrosi è una patologia artrosica che interessa l’articolazione alla base del pollice, tra l’osso trapezio del carpo e il primo metacarpo e che permette di effettuare, con il primo dito della mano, i movimenti di flessione, estensione e opposizione alle altre dita. Colpisce il 20% della popolazione adulta e rappresenta circa il 10% delle localizzazioni artrosiche; è più frequente nelle donne che negli uomini (rapporto 4:1). Nelle donne esordisce frequentemente in coincidenza della menopausa, mentre negli uomini è maggiormente correlata a fenomeni di overuse. Le cause possono essere dovute a uno stress ripetitivo sull’articolazione e una lassità dei legamenti. Il trattamento è inizialmente di tipo conservativo con l’applicazione di tutori di immobilizzazione e la contemporanea assunzione di condroprotettori. Se questo trattamento non ha buon esito, prima di passare all’approccio chirurgico si può intervenire con la terapia infiltrativa a base di cortisone, acido ialuronico e collagene. Obiettivo dello studio è valutare l’efficacia delle infiltrazioni peri-articolari con collagene MD-SMALL JOINTS GUNA in una paziente affetta da rizoartrosi bilaterale, in termini di riduzione del dolore e miglioramento della mobilità. Materiali e Metodi E’ stata trattata una paziente di sesso femminile di 70 anni con diagnosi radiografica di rizoartrosi bilaterale alla quale è stata effettuata una terapia con 5 infiltrazioni di MD-SMALL JOINTS una volta alla settimana per tre settimane consecutive e successivamente altre due sedute con cadenza mensile con due fiale per seduta. E’ stata eseguita la via di somministrazione peri-articolare alla base del pollice bilateralmente, usando un ago 26G da 13mm. Non sono stati aggiunti farmaci e/o dispositivi medici infiltrativi, né effettuata terapia fisioterapica o immobilizzazione con tutore. MD-SMALL JOINTS è un dispositivo medico di classe III a base di collagene suino di tipo I e viola odorata che svolge un effetto di bio scaffold meccanico, protegge da usura, riduce il dolore e migliora la mobilità delle piccole articolazioni. Risultati Riduzione dell’infiammazione, del gonfiore e del dolore riferito dalla paziente del 50% dopo le prime tre infiltrazioni, dell’80% dopo la quarta e del 100% dopo la quinta secondo la NRS (Numerical Rating Scale of pain). Contestualmente miglioramento della mobilità articolare che ha permesso al paziente di poter svolgere le sue normali gestualità quotidiane. Il collagene usato per via intra-articolare e peri-articolare è efficace nel controllo della sintomatologia dolorosa, miglioramento della funzionalità e nella riduzione dell’instabilità articolare. Conclusioni Valutata la scelta di effettuare unicamente questa terapia e di non utilizzare il tutore notturno, si è riscontrato un risultato molto soddisfacente sia per la durabilità dell’effetto terapeutico, sia per l’ottenuta compliance del paziente. Inoltre va sottolineata l’elevata sicurezza di impiego del medical device da parte del medico. Bibliografia • Brunato F. La Med Biol 2021; 3: 3-12 • Randelli F, Menon A, Giai Via A, et al, Effect of a Collagen-Based Compound on Morpho-Functional Properties of Cultured Human Tenocytes. Cells. 2018 Dec 6;7(12):246. • Randelli F, Sartori P, Carlomagno C, Bedoni M, Menon A, Vezzoli E, et al. The Collagen-Based Medical Device MD-Tissue Acts as a Mechanical Scaffold Influencing Morpho-Functional Properties of Cultured Human Tenocytes. Cells. 2020 Dec 8;9(12):2641
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CASE REPORT: Tendinite del muscolo bicipite femorale trattata con mesoterapia a base di collagene di tipo I
51° Congresso Nazionale SIMFER LA RIABILITAZIONE TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO CHI ERAVAMO, CHI SIAMO E CHI VORREMMO ESSERE Bologna 12-15 ottobre 2023 TENDINITE DEL MUSCOLO BICIPITE FEMORALE TRATTATA CON MESOTERAPIA A BASE DI COLLAGENE DI TIPO I Laura Laiosca, Brambilla Rossana, Valeria Rivolta, Carlo Domenico Ausenda, Laura Perucca -U.O.C. Riabilitazione Specialistica, Ospedale San Carlo Borromeo – ASST Santi Paolo Carlo, Milano, Italia -IRCCS Istituto Auxologico italiano, Dipartimento di Scienza Biomediche per la Salute-Università degli Studi di Milano, Milano, Italia Introduzione: Il tendine è una terminazione fibrosa con cui un muscolo si inserisce su un osso, esso è costituito principalmente da fibre di collagene che gli conferiscono alta resistenza e, in percentuale minore, da fibre di elastina che gli conferiscono una minima elasticità. La tendinite è una infiammazione del tendine che causa dolore e tumefazione locale, se tale condizione non viene trattata può danneggiare le fibre che compongono il tendine. Tra gli approcci terapeutici troviamo: • corticosteroidi infiltrativi, FANS per OS e topici • terapie fisiche (Laser, Tecar, Ultrasuoni) L’obiettivo dello studio è condividere, tramite la gestione di un caso clinico, l’eziologia, i criteri diagnostici ed interventi terapeutici innovativi a base di collagene infiltrativo come opzione agli approcci usuali. Materiali e Metodi: La paziente individuata per lo studio è una donna di 75 anni, sottoposta in data 12/06/2018 ad intervento chirurgico di impianto di protesi totale del ginocchio (PTG) destro, conseguente a gonartrosi. A distanza di alcuni anni dall’intervento la paziente ha iniziato a lamentare dolore a livello della porzione postero-laterale del ginocchio destro anche notturno. All’esame obiettivo presentava dolore presso-palpatorio a livello dell’inserzione distale del muscolo bicipite femorale e lungo il suo decorso per circa 4-5 cm in senso craniale. L’ecografia ha confermato un quadro di tendinite del muscolo bicipite femorale. La paziente è stata sottoposta a ciclo infiltrativo con collagene di tipo I MD-TISSUE, ciclo di 6 sedute a frequenza settimanale. Durante la procedura è stato utilizzato un ago 26G da 13 mm tramite inserzione a mano libera e ad una profondità di 2,5 mm. Il collagene di tipo I è la proteina più abbondante dell’organismo ed è il componente principale dei tessuti molli, tendini, legamenti e muscoli. L’utilizzo del collagene infiltrativo per via mesoterapica ha consentito, in questo case report, di supplementare il tendine del suo principale costituente, con un approccio non invasivo e di facile gestione a livello ambulatoriale. Risultati: La paziente ha riportato progressivo miglioramento del dolore sia soggettivo che obiettivo dopo il trattamento con collagene di tipo I. Il dolore è stato valutato con la scala VAS al T0 e al T1, ossia ad 1 settimana dopo l’ultima infiltrazione. Valutando tale scala del dolore si è potuto constatare un miglioramento della sintomatologia passando da una VAS a T0 di 7 ad una VAS a T1 di 2. Conclusioni: Il trattamento infiltrativo con MD-TISSUE, dispositivo medico di classe III a base di collagene suino di tipo I, è una soluzione riparativa e rigenerativa utile, sicura e facile da utilizzare. Il collagene, agendo come bio-scaffold a livello della membrana extracellulare, ha ridotto significativamente il dolore, migliorando l’attività anti-infiammatoria. Inoltre ha portato ad una riduzione dell’edema, promuovendo il riallineamento delle fibre, il rimodellamento del tessuto danneggiato e la riparazione dei tessuti. Bibliografia • Randelli F, Menon A, Giai Via A, et al, Effect of a Collagen-Based Compound on Morpho-Functional Properties of Cultured Human Tenocytes. Cells. 2018 Dec 6;7(12):246. • Randelli F, Sartori P, Carlomagno C, Bedoni M, Menon A, Vezzoli E, et al. The Collagen-Based Medical Device MD-Tissue Acts as a Mechanical Scaffold Influencing Morpho-Functional Properties of Cultured Human Tenocytes. Cells. 2020 Dec 8;9(12):2641. 
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L’efficacia della Terapia Decongestionante Completa sul linfedema, sulla qualità della vita e sulla funzionalità in una paziente con carcinoma della mammella metastatico
L’efficacia della Terapia Decongestionante Completa sul linfedema, sulla qualità della vita e sulla funzionalità in una paziente con carcinoma della mammella metastatico Vanzulli E, Brevi E, De Vivo A, Caraceni A. T, Perucca L. S.C. Cure Palliative, Terapia del Dolore e Riabilitazione, Istituto Nazionale dei Tumori, IRCCS, Milano Università degli Studi di Milano – Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa Introduzione La malattia maligna attiva è considerata una controindicazione al linfodrenaggio. Tuttavia, dalla letteratura si evince che l’unica attenzione andrebbe posta ai pazienti con malattia oncologica infiltrante i vasi linfatici loco-regionali (1). Inoltre l’ipossia legata al ristagno ematico e linfatico promuove la produzione di vascular endothelial grow factor, favorendo la diffusione tumorale (2). L’intento del nostro studio è quello di dimostrare il miglioramento del linfedema, della qualità della vita e della funzionalità dell’arto superiore dopo un ciclo di Terapia Decongestionante Completa (CDT) in una paziente con carcinoma della mammella metastatico all’osso. Materiali e Metodi Lo studio è stato effettuato partendo dal caso clinico di una paziente oncologica sottoposta nel 2015 a mastectomia destra e dissezione del cavo ascellare, con linfedema all’arto superiore destro di entità severa. Sono stati somministrati questionari di valutazione della qualità della vita e scale funzionali prima e in seguito alla CDT (EORTC-QLQC30, WEISS Scale, DASH Scale, Barthel Index). È stata eseguita una misurazione della circonferenza e del volume dell’arto, mediante la formula del tronco di cono, prima, a metà e a fine trattamento. Risultati In seguito al periodo di trattamento previsto si è osservato un significativo miglioramento del linfedema, la cui entità è variata da severa a moderata (∆ volume tra l’arto patologico e quello sano è passato dal 56% al 35% (1); ∆ volume dell’arto patologico tra l’inizio e la fine del trattamento è stato del 37%). Alla fine delle terapie è migliorata la consistenza dell’edema, che è passata da medio-dura a morbida e poco improntabile. La qualità di vita e la funzionalità dell’arto superiore sono risultate significativamente migliorate considerando la Minimal Clinical Important Difference (MCID). Conclusioni In virtù del Consensus Document e del miglioramento che la CDT apporta alla qualità della vita e all’outcome funzionale, questa tipologia di trattamento deve essere tenuta maggiormente in considerazione nei pazienti metastatici. Occorrono tuttavia ulteriori studi e un follow-up mirato per valutare i risultati nel tempo. Bibliografia • Document, Consensus. «THE DIAGNOSIS AND TREATMENT OF PERIPHERAL LYMPHEDEMA: 2020 CONSENSUS DOCUMENT OF THE INTERNATIONAL SOCIETY OF LYMPHOLOGY». Lymphology 53, fasc. 1 (2 giugno 2020). https://doi.org/10.2458/lymph.4649. • Hsiao, Pei-Chi, Jung-Tai Liu, Chien-Liang Lin, Willy Chou, e Shiang-Ru Lu. «Risk of Breast Cancer Recurrence in Patients Receiving Manual Lymphatic Drainage: A Hospital-Based Cohort Study». Therapeutics and Clinical Risk Management, febbraio 2015, 349. https://doi.org/10.2147/TCRM.S79118.
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Approccio multidimensionale robotico in paziente con esiti di Sindrome di Guillain-Barrè: un caso clinico
Approccio multidimensionale robotico in paziente con esiti di Sindrome di Guillame-Barrè: un caso clinico. B. Gnetti1, C. Tramonti1, S. Callegari1, P. Balbi1, M. Germanotta2, I. Aprile2. 1 Fondazione Don Carlo Gnocchi, La Spezia, Italy; 2IRCCS Fondazione Don Carlo Gnocchi, Firenze, Italy. Introduzione La Sindrome di Guillain-Barrè è la forma più comune di poliradicoloneuropatia infiammatoria demielinizzante acuta ad etiopatogenesi autoimmunitaria, caratterizzata da una progressiva paralisi dei quattro arti a carattere disto-prossimale [1]. Data l’importante disabilità acquisita ed il lungo processo di recupero, risulta dirimente un approccio riabilitativo multidimensionale ed una presa in carico globale al fine di ottenere il miglior outcome funzionale ed un reintegro sociale adeguato [2]. Lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni ha permesso di ottimizzare gli approcci riabilitativi con l’inserimento di strumenti robotici nel percorso di recupero funzionale, evidenziandone una buona efficacia nel trattamento dei disordini motori degli arti superiori [3]. Descriviamo, quindi, il caso di un paziente affetto da Sindrome di Guillain-Barrè, che ha intrapreso un trattamento riabilitativo convenzionale associato ad un training robotico multidimensionale, focalizzando l’intervento sui distretti prossimale e distale degli arti superiori e sul tronco. Materiali e Metodi Il paziente (M, 54 AA) ha eseguito un trattamento riabilitativo convenzionale associato ad un training robotico multidimensionale. Il trattamento riabilitativo robotico si è focalizzato sul training di specifici distretti muscolari degli arti superiori e del tronco, avendo una durata totale di un mese con sedute della durata di un’ora, con cadenza di 5 volte alla settimana. Sono stati utilizzati tre dispositivi robotici: Amadeo, Diego e Pablo (Tyromotion GmbH, Graz, Austria). Il programma di terapia robotica è stato progressivamente modulato sulla base dei deficit funzionali del paziente e dei progressivi miglioramenti acquisiti durante il percorso stesso. Pertanto, all’inizio il trattamento si è svolto su dispositivo robotico Amadeo, utilizzando la forza come parametro per l’esecuzione degli esercizi e la vibrazione per stimolare la sensibilità. Successivamente si è riusciti ad introdurre come parametro di esecuzione il movimento attivo a difficoltà crescente. Con il progressivo miglioramento del reclutamento motorio a livello del cingolo scapolare, sono stati inseriti esercizi sui dispositivi robotici Diego e Pablo. In particolare, con il primo device sono stati eseguiti esercizi attivo-assistiti ed attivi per i distretti muscolari prossimali degli arti superiori nello spazio tridimensionale, come ad esempio il nuotare e lo stendere i panni), mentre con Pablo sono stati inseriti esercizi con la multiboard e la multiball per migliorare il controllo del tronco. Sono state somministrate diverse scale clinico-funzionali pima (T0) ed al termine (T1) del trattamento riabilitativo: Motricity Index (MI) e Medical Research Council Scale, per la valutazione della forza segmentale agli arti (MRC scale), Trunk Control Test, per la valutazione del controllo del tronco e la scala NRS (Numeric Rating Scale), per la valutazione del dolore. 
 Risultati Considerando le scale funzionali, si è assistito ad un miglioramento del MI (T0: 9/100 per ASdx e 9/100 per ASsx vs T1: 39/100 per ASdx e 28/100 per ASsx) e della scala MRC per i distretti prossimali degli arti superiori (T0: MRC = 2 nell’innalzamento della spalla, bilateralmente, e MRC = 0 nei restanti distretti muscolari vs T1: MRC 3 nei movimenti di flesso-estensione della spalla, MRC 2 nella flesso-estensione del gomito, del polso e delle dita della mano, bilateralmente). Mentre, i risultati per il Trunk Control Test hanno evidenziato un miglioramento del controllo del tronco in particolare nell’equilibrio da seduto (T0: 12/100 vs T1: 25/100). I risultati della scala NRS hanno evidenziato una riduzione del dolore nei distretti prossimali degli arti superiori (T0: NRS = 6 vs T1: NRS = 0). Conclusioni Da questo studio è emersa la fattibilità del trattamento riabilitativo intensivo con approccio robotico multidimensionale associato al trattamento convenzionale in un paziente con Sindrome di Guillain-Barrè. Dai dati preliminari è emersa, inoltre, l’efficacia di questo tipo di approccio riabilitativo sull’entità del recupero motorio e sulla riduzione del dolore, sebbene sia necessario ampliare il campione di studio per rendere solidi i risultati ottenuti. Bibliografia [1] Nortina Shahrizaila, Helmar C Lehmann, Satoshi Kuwabara. Guillain-Barré syndrome. Lancet. 2021; 397 (10280): 1214-1228. [2] Fary Khan. Rehabilitation in Guillain-Barre syndrome. Aust Fam Physician. 2004; 33(12): 1013-7. [3] Iris Jako, Alexander Kollreider, Marco Germanotta, Filippo Benetti, Arianna Cruciani, Luca Padua, Irene Aprile. Robotic and Sensor Technology for Upper Limb Rehabilitation. PMR. 2018; 10(9 Suppl 2): S189-S197.
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Approccio riabilitativo in paziente politraumatizzato e ustionato: Case Report
Approccio riabilitativo in paziente politraumatizzato e ustionato: Case Report. E. Pisani1, R. Gilardi4, G. Panta2, L. Flocco1, C.D. Ausenda1, L. Perucca3. 1U.O Riabilitazione Intensiva ad Alta Complessità, Ospedale San Carlo Borromeo – ASST Santi Paolo e Carlo, Milano 2Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Milano 3Dipartimento di Scienze Biomediche della Salute, Università degli Studi di Milano 4U.O. Breast Unit – ASST Santi Paolo e Carlo, Milano Introduzione Le sequele delle ustioni degli arti inferiori pongono un problema funzionale critico. Tutte le tecniche chirurgiche (trapianti cutanei, plastiche locali, espansione cutanea e lembi) associate a un trattamento riabilitativo intensivo consentono di ottimizzare i risultati estetici e funzionali [1],[2]. Si descrive il caso clinico di una paziente di 19 anni ricoverata nel nostro reparto di Riabilitazione Intensiva ad Alta Complessità con diagnosi di disabilità motoria in postumi di politrauma della strada del 18/06/2022. In ingresso la paziente presentava il seguente bilancio lesionale: -frattura metafisaria distale del femore sinistro trattata con osteosintesi con chiodo endomidollare -estese ustioni di II e III grado in regione glutea bilaterale, coscia laterale sinistra e mediale gamba destra -frattura del soma vertebrale di D4, D5 e L4 -lussazione del gomito sinistro trattata con riduzione incruenta e posizionamento di stecca gessata -frattura composta della scapola destra -fratture costali multiple con pneumotorace basale destro. In particolare descriviamo come il trattamento riabilitativo pre e post intervento di ricostruzione cutanea abbia permesso un ottimale recupero articolare del ginocchio sinistro e una ripresa della deambulazione autonoma. Materiali e Metodi La paziente è stata ricoverata presso il nostro reparto in data 04/07/22, proveniente dal reparto di Ortopedia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Dal punto di vista motorio la paziente presentava alla valutazione iniziale un’importante limitazione articolare del ginocchio sinistro: aROM in flessione 70°, aROM in estensione -10°, pROM in flessione 80°, pROM in estensione -5° con conseguente limitazione funzionale. Il trattamento riabilitativo impostato all’ingresso è stato fortemente limitato dalla presenza delle ustioni di II e III grado soprattutto a livello del gluteo, della coscia e del ginocchio sinistro. Le ustioni condizionano infatti rigidità articolare per perdita dell’elasticità cutanea e dolore alla trazione dell’ipoderma. In seguito a valutazione multidisciplinare con il Chirurgo Plastico del nostro Ospedale, è stata posta indicazione a intervento di ricostruzione con lembi dermocutanei. Un primo intervento chirurgico è stato eseguito in data 04/08/22 a livello della gamba destra e della regione anteriore della coscia sinistra. Non è stato possibile innestare fin da subito la regione posteriore del gluteo e della coscia sinistra per controindicazione neurochirurgica a modificare il decubito della paziente durante l’intervento per le note fratture vertebrali. Rivalutata dallo specialista Neurochirurgo in data 10/08/22, in seguito a RMN di controllo, veniva concesso il nulla osta al posizionamento intraoperatorio in decubito laterale destro. In data 17/08/22 veniva quindi sottoposta a secondo intervento di toilette chirurgica della coscia e del gluteo sinistro con innesto dermoepidermico. Dopo due giorni dal secondo intervento la paziente ha potuto riprendere il trattamento riabilitativo senza complicazioni. Il programma riabilitativo comprendeva esercizi di mobilizzazione attivo-assistita del ginocchio sinistro, esercizi di rinforzo muscolare dapprima in isometria e training del passo con ausilio di due bastoni canadesi. Risultati Alla dimissione dal reparto, in data 06/09/22, a due mesi e mezzo dall’evento traumatico, la paziente presentava il seguente bilancio articolare a livello del ginocchio sinistro: aROM in flessione 100°, pROM in flessione 120°, estensione completa con deambulazione possibile in autonomia con schema del passo simmetrico. Conclusioni Questo case report descrive come il recupero funzionale della paziente sia stato condizionato inizialmente dalla presenza di ustioni in corrispondenza dell’articolazione interessata dalla frattura, in questo caso il ginocchio sinistro. Il trattamento riabilitativo intensivo associato ai due interventi di Chirurgia Plastica hanno permesso un soddisfacente risultato estetico con il ripristino della naturale elasticità cutanea, evitando la formazione di cheloidi e favorendo il recupero dell’autonomia deambulatoria fisiologica al momento della dimissione. Bibliografia [1] The role of exercise in the rehabilitation of patients with severe burns. C. Porter, J. Hardee, D. N Herndon, O. E Suman. Exerc Sport Sci Rev. 2015 January ; 43(1): 34–40. [2] Rehabilitation in the Acute vs Outpatient Setting. G. Hundeshagen et al. Clin Plast Surg. 2017 October ; 44(4): 729–
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Confronto tra il trattamento iniettivo intramuscolare combinato di ozonoterapia/collagene e il trattamento iniettivo intramuscolare di ozonoterapia della lombalgia cronica da discopatia
CONFRONTO TRA IL TRATTAMENTO INIETTIVO INTRAMUSCOLARE COMBINATO DI OZONOTERAPIA/COLLAGENE E IL TRATTAMENTO INIETTIVO INTRAMUSCOLARE DI OZONOTERAPIA DELLA LOMBALGIA CRONICA DA DISCOPATIA Liliana Sgarbi1, Manuela De Pascalis1, Susanna Mulas.1. 1 U.O.C. Riabilitazione Specialistica FBF, Dipartimento di Medicina ASST FBF – SACCO, Piazza Principessa Clotilde 3, Milano, Italia. Introduzione Qualsiasi struttura innervata della colonna può causare lombalgia: muscoli, legamenti, dura madre, radici nervose, articolazioni zigoapofisiarie, anulus fibroso e sistema fasciale. Il razionale dell’utilizzo dell’ozonoterapia nel trattamento della lombalgia cronica nelle discopatie, si basa sulla combinazione dell’azione antinfiammatoria e di accelerazione del processo di disidratazione del tessuto cartilagineo del disco. Anche il sistema fasciale, cioè l’insieme di tutti i tessuti a base collagenica, rappresentato da una rete tridimensionale che si estende in tutto il corpo, è coinvolto nell’eziologia del dolore. La fascia profonda toraco-addominale è coinvolta nella sintomatologia lombare cronica: vengono descritte alterazioni microstrutturali del collagene e alterazioni strutturali del tessuto connettivo. Il collagene di tipo I somministrato per via iniettiva intramuscolare locale, fornisce il substrato necessario ad un rimodellamento favorevole del tessuto connettivo costituente la fascia toraco-addominale. Obiettivo dello studio è evidenziare la complementarità delle due terapie per il controllo della sintomatologia dolorosa lombare nelle discopatie. Materiali e Metodi Sono stati arruolati 20 pazienti, donne e uomini con un’età compresa tra 38 e 79 anni, con una età media di 58 anni. Sono stati inclusi nello studio pazienti affetti da lombalgia da un tempo superiore ai sei mesi indagati con RMN del rachide lombo-sacrale ed evidenza di discopatia. Criteri di esclusione: segni radicolari acuti agli arti inferiori; patologie oncologiche in fase attiva e/o in corso di accertamenti, deterioramento cognitivo e pazienti restii a dare il consenso informato. Criteri di inclusione: RMN lombo-sacrale con evidenza di ernia discale o protrusioni discali multiple, lombalgia persistente da almeno sei mesi, terapia con FANS e antidolorifici interrotta da almeno due settimane, terapia cortisonica interrotta da almeno due mesi. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: gruppo A (solo OOT) e gruppo B (OOT+ collagene suino tipo I + Hamamelis). Tutti i pazienti (A+B) sono stati trattati con iniezioni paravertebrali intramuscolari di O2O3 con concentrazione di 10 ug. Il volume complessivo iniettato in ogni trattamento corrisponde a 20cc suddivisi in quattro punti di iniezione (5cc per punto). L’ago utilizzato: 23G 32 mm. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a trattamento 2 volte alla settimana per complessivamente 8 trattamenti infiltrativi consecutivi. I pazienti del gruppo B sono stati sottoposti, trascorsi 20 minuti dalla somministrazione IM lombare di O2O3, a somministrazione per via iniettiva intramuscolare di Collagene suino di tipo I + Hamamelis, 1 fiala da 2 ml suddivisa per 4 punti di iniezione. Ago utilizzato: 27G 19 mm. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: gruppo A (solo OOT) e gruppo B (OOT+ collagene suino tipo I + Hamamelis). Tutti i pazienti (A+B) sono stati trattati con iniezioni paravertebrali intramuscolari di O2O3 con concentrazione di 10 ug. Il volume complessivo iniettato in ogni trattamento corrisponde a 20cc suddivisi in quattro punti di iniezione (5cc per punto). L’ago utilizzato: 23G 32 mm. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a trattamento 2 volte alla settimana per complessivamente 8 trattamenti infiltrativi consecutivi. I pazienti del gruppo B sono stati sottoposti, trascorsi 20 minuti dalla somministrazione IM lombare di O2O3, a somministrazione per via iniettiva intramuscolare di Collagene suino di tipo I + Hamamelis, 1 fiala da 2 ml suddivisa per 4 punti di iniezione. Ago utilizzato: 27G 19 mm. 
 Risultati Si descrive nei pazienti del gruppo B un controllo della sintomatologia dolorosa (scala VAS) e un recupero articolare maggiore al termine del ciclo di trattamento e una maggiore stabilità dei risultati ottenuti nel controllo a un mese rispetto al gruppo A. Conclusioni La disorganizzazione del tessuto connettivo osservata ecograficamente e le alterazioni microstrutturali del tessuto collagenico possono essere trattate stimolando un rimodellamento favorevole del tessuto costituente la fascia toraco-addominale. La somministrazione per via infiltrativa di collagene suino di tipo I e Hamamelis Virginiana fornisce il substrato necessario al rimodellamento e agisce sinergicamente all’ozonoterapia con un miglioramento dei risultati attesi. Bibliografia • Meccanismi d’azione dell’ozono Valdenassi L. Università di Pavia – SIOOT 2012 • Randelli F, Menon A, Giai Via A, et al, Effect of a Collagen-Based Compound on Morpho-Functional Properties of Cultured Human Tenocytes. Cells. 2018 Dec 6;7(12):246. • Randelli F, Sartori P, Carlomagno C, Bedoni M, Menon A, Vezzoli E, et al. The Collagen-Based Medical Device MD-Tissue Acts as a Mechanical Scaffold Influencing Morpho-Functional Properties of Cultured Human Tenocytes. Cells. 2020 Dec 8;9(12):264
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Recupero funzionale dopo intervento chirurgico di impianto di protesi bilaterale di ginocchio simultanea
Introduzione L’intervento chirurgico di impianto di protesi bilaterale di ginocchio (BTKA) rappresenta il cardine del trattamento del quadro di osteoartrosi di ginocchia medio-grave. L’artroplastica totale del ginocchio può essere eseguita come unica procedura in cui entrambe le ginocchia sono operate contemporaneamente (BTKA simultanea), o come una procedura graduale in cui le due ginocchia sono operate separatamente con un minimo di tre mesi tra i due interventi (BTKA a stadi) [1]. La scelta tra la BTKA simultanea o a stadi è ancora oggetto di dibattito nella pratica Ortopedica, in quanto alcuni studi hanno riportato tassi più elevati di complicanze cardiopolmonari ed infettive [2]. Tuttavia, la BTKA simultanea sembra comunque rappresentare una scelta migliore in quanto comporta un unico regime di ricovero, un’unica anestesia, un minor utilizzo di farmaci antalgici, una minor durata cumulativa della degenza ospedaliera (circa 4/6 giorni), costi complessivi ridotti (del 18-50%) e un recupero riabilitativo post-operatorio più rapido. Inoltre, recenti studi hanno dimostrato un sovrapponibile outcome funzionale sia in termini di sicurezza che di complicanze tra i due tipi di procedure [1-2]. Pochi lavori in letteratura mostrano i metodi riabilitativi utilizzati nei primi giorni post-chirurgici negli interventi di BTKA simultanea. Pertanto l’obiettivo di questo studio osservazionale longitudinale è quello di valutare gli effetti a brevissimo termine di un protocollo di mobilizzazione articolare manuale, di immediata verticalizzazione (nel primo giorno post-chirurgico) e di avviamento alla deambulazione nei primi 8 giorni dall’intervento chirurgico. Materiali e Metodi Lo studio è stato condotto presso l’Azienda Ospedaliera-Universitaria Integrata di Verona. Sono stati inclusi 4 pazienti (3 maschi ed 1 femmina) sottoposti ad intervento chirurgico di BTKA simultanea in elezione, eseguiti presso UOC di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Borgo Trento. Sono stati arruolati pazienti di età compresa tra i 55 e i 70 anni, senza gravi comorbidità. Approccio riabilitativo: – Esercizi di mobilizzazione passiva ed attiva degli arti inferiori associati a massaggio funzionale compartimentale per il recupero dell’articolarità, forza e funzionalità concedendo già in prima giornata post-operatoria carico graduale progressivo protetto; – Miglioramento dell’autonomia nei trasferimenti e passaggi posturali; – Rieducazione alla stazione eretta con ripresa della deambulazione con ausili ed assistenza secondo le condizioni cliniche e la tolleranza del paziente. Ciascun paziente è stato sottoposto ad una mobilizzazione articolare passiva e attiva-assistita posturato seduto a bordo letto, senza superare la soglia del dolore, integrando con massaggio funzionale secondo Evjenth [3] (circa 10 minuti per ginocchio). Quest’ultima rappresenta una tecnica che permette di tendere in modo uniforme le strutture passive dell’articolazione, senza creare pressione sulla cartilagine articolare, e che permette inoltre di ridurre la tensione sulla cicatrice chirurgica. Il paziente veniva quindi avviato alla stazione eretta e deambulava per una durata media di 10 minuti con un deambulatore con appoggio antibrachiale regolato all’altezza del paziente, permettendo un carico protetto progressivo sugli arti inferiori. Risultati Tutti i pazienti hanno ripreso il cammino nella prima giornata post-operatoria con deambulatore antibrachiale raggiungendo progressivamente 70 gradi di flessione e presentavano un lieve deficit di estensione. Il dolore risultava discretamente controllato dalla terapia farmacologica impostata. Il nostro protocollo si è dimostrato sicuro e ben tollerato dai pazienti. Il tempo di trattamento per ciascun paziente è restato contenuto in 30 minuti (± 5 minuti) complessivi. Durante la degenza nel reparto di Ortopedia i pazienti hanno quindi presentato una progressione nella distanza di deambulazione percorsa ed un incrementale aumento dell’escursione articolare fino anche a 110 gradi di flessione bilaterale. Al termine della degenza 3 pazienti hanno proseguito il percorso riabilitativo in regime estensivo, mentre il restante paziente è stato dimesso presso il domicilio. Conclusioni In conclusione, una strategia riabilitativa caratterizzata da una precoce mobilizzazione del paziente ed avvio del training al cammino sembra svolgere un ruolo chiave nel pronto recupero della deambulazione nei pazienti operati di BTKA. Inoltre l’esecuzione di un massaggio funzionale secondo Evjenth associato alla mobilizzazione articolare in stazione seduta a bordo letto appare contribuire ad un incremento significativo del ROM fino a 110 gradi già durante la prima settimana. Sono pertanto necessari ulteriori studi con campioni di dimensioni maggiori per confermare l’efficacia di tale protocollo riabilitativo applicato a partire dalla prima giornata post-chirurgica. Bibliografia 1. I K Kundu 1 , A Z Chowdhury, A Faisal, K N Arefin, M N Rahman, M S Paul, M S Islam. Functional Outcome of Bilateral Total Knee Replacement in Advanced Osteoarthritis in Simultaneous Versus Staged Procedure. Mymensingh Med J 2022 Jan 2. Alghadir AH, Iqbal ZA, Anwer S, Anwar D. Comparison of simultaneous bilateral versus unilateral total knee replacement on pain levels and functional recovery. BMC Musculoskelet Disord. 2020 Apr 15 3. First meeting of the International Seminar of Orthopaedic Medicine / Manipulative Therapy (ISOMMT), 1973
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Percorso riabilitativo individuale e in gruppo per pazienti anziani ai tempi del Covid: l’esperienza di un centro ambulatoriale
PERCORSO RIABILITATIVO INDIVIDUALE E IN GRUPPO PER PAZIENTI ANZIANI AI TEMPI DEL COVID: L’ ESPERIENZA DI UN CENTRO AMBULATORIALE Giuditta Fellin (medico fisiatra, Centro Medico di Fisioterapia, Padova), Eliana Pettenello (terapista della riabilitazione, Centro Medico di Fisioterapia, Padova-Tencarola), Scarso Patrizia (psicologa psicoterapeuta, Centro Medico di Fisioterapia, Padova-Tencarola), ABSTRACT Le restrizioni imposte durante il periodo pandemico hanno, di fatto, limitato l’accesso ad alcuni servizi sanitari, compresi quelli riabilitativi, esponendo molti pazienti, in particolare quelli anziani, al rischio di un deterioramento funzionale ed un aggravamento del loro stato di cronicità. Il trattamento di questi pazienti richiede un approccio che sia multimodale e contemporaneamente versatile e poliedrico, al fine di rispondere in modo adeguato ai bisogni fisici, cognitivi e relazionali della persona. Viene presentato un modello riabilitativo ambulatoriale elaborato dal Centro Medico di Fisioterapia di Padova dove, attraverso una sinergia collaborativa tra i curanti, i trattamenti vengono svolti in modo diversificato, al fine di adattarsi alle diverse caratteristiche cliniche della persona ed al loro modificarsi nel tempo con l’obiettivo di raggiungere e mantenere il più alto livello di autonomia funzionale possibile. Materiali e Metodi Il Centro Medico di Fisioterapia è una struttura convenzionata con il S.S.N. dedicata al trattamento riabilitativo ortopedico, neurologico, logopedico e cognitivo in regime ambulatoriale. Si rivolge sia a pazienti con patologia ortopedica o reumatologica che neurologica, sia in fase acuta che cronica. In ambito neurologico il 60% dei pazienti ha più di 65 anni ed è affetto da patologie neurologiche di tipo degenerativo quali Parkinson, esiti di eventi emorragici o ischemici, rallentamenti psicomotori derivanti da trauma cranico, idrocefalo, ematoma cerebrale operato, ischemia cerebrale diffusa, decadimento cognitivo, cardiopatie grave, malattie psichiatriche, allettamento da numerose cause. La presa in carico avviene attraverso un’equipe multidisciplinare (fisiatra, psicologo, logopedista, fisioterapista) coordinata dal fisiatra. Alla base di tutti gli interventi c’è la cartella riabilitativa individuale che contiene il Progetto Riabilitativo Individuale (PRI), entrambi vengono compilati e costantemente aggiornati da ciascun professionista. Nel 2021 e 2022 l’equipe curante, in risposta alle restrizioni imposte dalla pandemia Covid 19, ha ricalibrato la proposta riabilitativa ed ha perfezionato un “ventaglio” di opportunità terapeutico-riabilitative che comprende 5 percorsi motorio-cognitivi diversificati in base al grado di autonomia del paziente: 1) trattamento motorio individuale; 2) Un trattamento motorio individuale integrato ad attività cognitiva individuale;3) un trattamento motorio individuale associato ad un trattamento cognitivo in gruppo denominato GSC; 4) un trattamento motorio in gruppo per il mantenimento delle autonomie raggiunte denominato MAR; 5) Un trattamento motorio in gruppo associato ad un trattamento cognitivo in gruppo (MAR e GSC).Ciascun percorso viene rimodulato periodicamente da parte dell’equipe al fine di facilitare l’apprendimento di strategie compensatorie rispetto alle problematiche che ogni paziente presenta. Risultati Nel 2020 per gli effetti del lock-down vi è stato un calo degli accessi a tutti i percorsi riabilitativi. Nel 2021 rispetto al 2019 abbiamo registrato un aumento complessivo del 38% degli accessi totali nel settore neurologico dei pazienti over 65 (età media 79 anni). Gli accessi al settore MAR (autonomie raggiunte) sono aumentati del 15,1%, mentre gli accessi al settore riabilitativo individuale sono aumentati del 48% rispetto al 2019. Tale dato è rappresentato non solo da nuovi invii, ma anche da pazienti che nel 2019 avevano raggiunto un certo grado di autonomia e nel 2021 non presentavano più i requisiti per il percorso MAR e tale tendenza si è mantenuto anche nel 2022.Conclusione: In questo periodo post-covid abbiamo cercato di offrire un modello di riabilitazione in grado di modularsi in base alla variabilità dello stato motorio e cognitivo del paziente e di rispondere anche ai suoi aumentati bisogni relazionali. Caratteristica fondamentale di tale organizzazione a ventaglio è la flessibilità e duttilità. Sotto il profilo organizzativo sarà necessario dotarci per questi pazienti di strumenti di valutazione multidimensionali e sviluppare ed affinare protocolli riabilitativi neuromotori all’interno di un approccio bio-psico sociale, che tenga in considerazione la globalità del paziente nei suoi aspetti motori e cognitivi. Tutto ciò richiederà una rimodulazione dei percorsi terapeutici attuali e la creazione di nuovi percorsi. Bibliografia Bibliografia 1) Goethals L., Barth N., Guyot J., Hupin D., Celarier T., Bongue B. (2020), Impact of Home Quarantine on Physical Activity Among Older Adults Living at Home During the COVID-19 Pandemic: Qualitative Interview Study JMIR Ageing, vol. 3, n. 1) 2) Hwang T., Rabheru K., Peisah C., Reichman W., Ikeda M. (2020), Loneliness and social isolation during the COVID-19 pandemic, International Psychogeriatrics, vol. 32, n. 10, pp.1217–1220. 3) Ingram J., Mani JC., Maciejewski G. (2021), Social isolation during. COVID-19 lockdown impairs cognitive function., Applied Cognitive Psychology, 17 March 2021. 4) Sepùlveda-Loyola W., Rodriguez-Sanchez I., Perez-Rodriguez P., Ganz F., Torralba R., Oliveira DV, L Rodríguez-Mañas L. (2020a), Impact of Social Isolation Due to COVID-19 on Health in Older People: Mental and Physical Effects and Recommendations. The journal of nutrition, health & aging, vol. 24, pp. 938–947. ( 5) Sepúlveda-Loyola W, Dos Santos Lopes R, Tricanico Maciel RP, Suziane Probst V. Participación social, un factor a considerar en la evaluación clínica del adulto mayor: una revisión narrativa. Rev Peru Med Exp Salud Publica. 2020 6)Wollesen B; Van Schooten K et al (2020), The effects of cognitive-motor training intervention on executive function in older people: a systematic review and meta- analysis European review of aging and Phisical Activity 17, art. Number 9 7)Ferrazzoli D, Ortelli P, Cucca A, Bakdounes L, Canesi M, Volpe (2020), Motor- cognitive approach and aerobic training: a synergism for rehabilitative intervention in Parkinson’s disease.Neurodegener Dis Manag. Feb;10(1):41-55. 8)Chan PT, Chang WC, Chiu HL, Kao CC, Liu D, Chu H, Chou KR (2019), Effect of interactive cognitive- motor training on eye-hand coordination and cognitive function in older adults.BMC Geriatr. Jan 28;19(1):27. 8)Wollesen B; Van Schooten K et al (2020), The effects of cognitive-motor training intervention on executive function in older people: a systematic review and meta-
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Efficacia dell’integratore alimentare DARFAX nella riduzione del dolore e dell’edema in pazienti sottoposti ad intervento di artroprotesi totale di ginocchio in riabilitazione
Efficacia dell’integratore alimentare DARFAX nella riduzione del dolore e dell’edema in pazienti sottoposti ad intervento di artroprotesi totale di ginocchio in riabilitazione . G.Franzone, E.Recubini, M.D’Amico, A.Di Stefano. UOSD Medicina Fisica e Riabilitazione, Ospedale S.Liberatore Atri-ASL Teramo- Introduzione I pazienti sottoposti ad intervento di protesi totale di ginocchio sperimentano nella totalità dei casi dolore ed edema a livello del sito chirurgico con conseguente limitazione articolare e funzionale dell’arto operato, impatto negativo sul programma riabilitativo e sulla qualità di vita percepita dal paziente. In questo articolo analizziamo l’efficacia dell’ integratore alimentare DARFAX a base di Diosmina e flavonoidi (μSMIN® Plus), Esperidina, Bromelina, Estratto di Ananas, Boswellia serrata (Bospure® ) e Vitamina C nel ridurre il dolore e l’edema nei pazienti in fase sub acuta dopo intervento di protesi di ginocchio che si sottopongono ad un ciclo di riabilitazione intensiva ospedaliera . Materiali e metodi Abbiamo analizzato 20 pazienti ricoverati nell’ UO di riabilitazione intensiva cod 56 dell’ospedale S.Liberatore di Atri (ASL Teramo) in esiti di artroprotesi di ginocchio in gonartrosi nel 2023 . I pazienti sono stati sottoposti a 3 h di riabilitazione /die con un programma di mobilizzazione passiva e attiva dell’arto operato , esercizi di rinforzo muscolare , esercizi di stretching ,training della deambulazione rieducando il paziente alle fasi del passo e al bilanciamento del carico , rieducazione all’esecuzione di scale , training propriocettivo. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a 20 gg circa di terapia con DARFAX. Ad inizio e fine trattamento sono stati valutati tramite NRS del dolore, ROM in flessione, circonferenza del ginocchio . Risultati Abbiamo analizzato 20 pazienti totali ( 12 donne e 8 uomini ), trasferiti a 5 giorni in media dall’intervento chirurgico . Degenza media in riabilitazione 20 giorni. Dati ingresso: NRS per dolore 8,4/10 (max 10/10, min 6/10), circonferenza ginocchio operato 45 cm (max 52 cm, min 42 cm), ROM in flessione 55 ° ( max 65°, min 30°) . Dati dimissione : NRS per dolore 2,75/10 (max 4/10, min 2/10), circonferenza ginocchio operato 40 cm (max 47 cm , min 36 cm), ROM in flessione 100° (max 120°, min 90° ). I pazienti non hanno utilizzato terapia antinfiammatoria aggiuntiva ma solo paracetamolo 1 gr al bisogno max 3 gr die . Non sono stati segnalati eventi avversi o effetti collatarali durante il trattamento . Conclusioni I dati suggeriscono che l’utilizzo dell’integratore alimentare DARFAX sia efficace nel ridurre i sintomi, l’ edema e il dolore nei pazienti sottoposti ad intervento di artroprotesi di ginocchio durante il percorso riabilitativo. La riduzione dei sintomi dolore ed edema sicuramente contribuisce ad una migliore aderenza al trattamento riabilitativo e di conseguenza determina migliori outcomes funzionali raggiunti. Il trattamento risulta essere ben tollerato senza effetti collaterali rilevanti. Bibliografia Mattioda A, Saini A. Efficacy of an herbal containing food supplement in reducing pain and edema among patients who underwent total knee replacement. Gazz Med Ital – Arch Sci Med 2022;181:897-903.  Wylde V, Beswick A, Bruce J, Blom A, Howells N, Gooberman-Hill R. Chronic pain after total knee arthroplasty. EFORT Open Rev 2018;3:461–70.
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Efficacia delle differenti strategie riabilitative in pazienti affetti da artropatia emofilica: una metanalisi di studi randomizzati controllati
EFFICACIA DELLE DIFFERENTI STRATEGIE RIABILITATIVE IN PAZIENTI AFFETTI DA ARTROPATIA EMOFILICA: UNA METANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI CONTROLLATI Lorenzo Lippi1,2, Alessio Turco1, Enrico Cavallo1, Stefano Moalli1, Marco Polverelli3, Antonio Ammendolia4, Alessandro de Sire4, Marco Invernizzi1,2   1 Medicina Fisica e Riabilitativa, Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, Novara 2 Medicina Traslazionale, Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione (DAIRI), Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, Alessandria 3 Dipartimento di Riabilitazione, Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, Alessandria 4 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro Introduzione L’artropatia emofilica rappresenta una condizione dannosa che ha un impatto cruciale sulle capacità funzionali e sulle prestazioni fisiche dei pazienti affetti da emofilia [1,2]. Le sue manifestazioni cliniche spesso includono dolore, ridotta ampiezza di movimento e compromissione funzionale, che possono limitare la mobilità e l’indipendenza nelle attività della vita quotidiana. Negli ultimi anni, grazie ai progressi delle terapie sistemiche, è stata rivolta una crescente attenzione alla riabilitazione dei pazienti con artropatia emofilica al fine di migliorare i risultati funzionali [3]. Tuttavia, gli interventi riabilitativi ottimali per questi pazienti sono ancora lontani dall’essere completamente caratterizzate. Pertanto, l’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare gli effetti di diversi interventi riabilitativi sul sistema muscolo scheletrico, sull’intensità del dolore e sulla qualità della vita (QoL) dei pazienti con emofilia. Materiali e metodi Il 22 febbraio 2023 sono stati ricercati sistematicamente su PubMed, Scopus, Web of Science, CENTRAL e PEDRO studi randomizzati controllati (RCT) che rispondessero al seguente modello PICO: P: adulti con emofilia; I: riabilitazione; C: qualsiasi; O: modificazioni muscolo scheletriche, dolore, funzionalità e QoL. Per la valutazione della qualità è stata utilizzata la scala Jadad. Risultati Complessivamente sono stati identificati e vagliati 1743 documenti, ma solo 17 studi sono stati inclusi nel presente lavoro. La meta-analisi ha mostrato benefici significativi per la terapia manuale in termini di intensità del dolore [ES: -1,10 cm (-1,37, -0,82), p< 0,00001] e salute articolare [ES: -1,10 (-1,38, -0,82), p< 0,00001] (Figura 1). In accordo, l'esercizio fisico ha mostrato un'efficacia significativa nel migliorare la salute articolare [ES: -2.54 (-3.25, -1.83), p< 0.00001)] e la QoL [ES: 1.17 (0.48, 1.86), p< 0.00001)] (Figura 2). La valutazione della qualità ha evidenziato 16 studi di alta qualità e 1 studio di bassa qualità. Conclusioni Gli interventi di riabilitazione potrebbero essere efficaci nel migliorare l'intensità del dolore, la salute articolare e la QoL. Tuttavia, la riabilitazione ottimale è ben lungi dall'essere completamente caratterizzata. Sono necessari ulteriori studi per chiarire il ruolo di un programma di riabilitazione integrata che possa focalizzarsi sui diversi domini che caratterizzano la complessa disabilità dei pazienti con artropatia emofila. Bibliografia 1. Mingot-Castellano, M.E., R. Núñez, and F.J. Rodríguez-Martorell, Acquired haemophilia: Epidemiology, clinical presentation, diagnosis and treatment. Medicina Clínica (English Edition), 2017. 148(7): p. 314-322. 2. Rodriguez‐Merchan, E., Common orthopaedic problems in haemophilia. Haemophilia, 1999. 5: p. 53-60. 3. Negrier, C., et al., The benefits of exercise for patients with haemophilia and recommendations for safe and effective physical activity. Haemophilia, 2013. 19(4): p. 487-498.
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Coesistenza di una lussazione acromion-clavicolare post-traumatica di terzo grado e una sindrome da conflitto coracoideo. Possibile una relazione clinico-anatomica? Un case report
COESISTENZA DI UNA LUSSAZIONE ACROMION-CLAVICOLARE POST-TRAUMATICA DI TERZO GRADO E UNA SINDROME DA CONFLITTO CORACOIDEO. POSSIBILE UNA RELAZIONE CLINICO-ANATOMICA? UN CASE REPORT Nicholas Bozza 1, Marta Formica 1, Marco Invernizzi 1,2 1 Dipartimento di Scienze dalla Salute, Università del Piemonte Orientale, Novara, Italia 2 Medicina Traslazionale, Dipartimento Attività Integrate Ricerca Innovazione, AO SS. Antonio e Biagio & C. Arrigo -Alessandria Introduzione La sindrome da conflitto subacromiale è la patologia di spalla più frequentemente diagnosticata e rappresenta circa il 44-65% di tutti i disturbi che coinvolgono questa articolazione1. È una condizione che colpisce circa un terzo della popolazione generale almeno una volta nella vita, con un’incidenza che aumenta con l’età, raggiungendo il picco intorno ai 60 anni. I legamenti acromioclavicolari svolgono un ruolo fondamentale in tale sindrome. In letteratura, nonostante numerosi studi descrivano l’ossificazione-calcificazione sia del legamento conoide sia del legamento trapezoide, non sono descritte lesioni singole di uno solo dei due legamenti coracoclavicolari2. Riportiamo un caso di sindrome da conflitto di spalla (SIS) in un uomo di 48 anni con dolore alla spalla persistente da due mesi dopo un incidente in bicicletta che aveva causato una lussazione acromion-clavicolare di terzo grado. La sintomatologia e l’indagine strumentale hanno evidenziato un raro caso di sindrome da impingement coracoideo risoltosi con trattamento chirurgico. Questo studio si propone di valutare la possibilità di una relazione clinica e anatomica tra una lussazione acromion-clavicolare post-traumatica di terzo grado e una sindrome da conflitto coracoideo. Materiali e Metodi Dopo aver trattato la lesione con immobilizzazione con tutore tipo Kenny Howard per 25 giorni, il paziente ha eseguito due mesi di rieducazione funzionale; tuttavia, al termine lamentava dolore persistente alla spalla e impotenza funzionale. Il paziente è stato dunque sottoposto a radiografia e risonanza magnetica di spalla che hanno evidenziato calcificazioni subacromiali, lesione del sovraspinato e del sottoscapolare con indicazione all’intervento chirurgico. Durante l’esplorazione chirurgica sono inoltre state riscontrate una lesione completa del legamento trapezoide e metaplasia calcifica del legamento conoide. Il paziente è stato sottoposto a regolarizzazione del legamento coracoideo con rilascio del sovraspinato in corrispondenza del residuo legamento coracoideo-clavicolare e a riparazione della lesione della cuffia dei rotatori. Risultati Il trattamento chirurgico ha portato alla completa scomparsa del dolore e al miglioramento del range di movimento articolare. Secondo la letteratura, mentre con la capsula acromion-clavicolare intatta il carico anteriore si concentra principalmente sul legamento acromion-clavicolare superiore, con la capsula rotta le forze di carico, sempre nella stessa direzione, aumentano del 200% sul legamento conoide. D’altra parte, carichi in direzione posteriore producono sollecitazioni da trazione più elevate sul legamento trapezoide3. Nel caso del nostro paziente, la lesione del legamento trapezoide e della capsula articolare acromioclavicolare ha causato un sovraccarico funzionale del legamento conoide il quale, rispondendo alla trazione, ha modificato le sue caratteristiche strutturali con una metaplasia calcifica. Analogamente accade con il legamento coracoacromiale quando viene sottoposto a sollecitazioni continue da parte della testa omerale. Queste sollecitazioni hanno coinvolto anche la porzione inserzionale sulla coracoide. Ciò che è certo è che è raro che una lussazione acromion-clavicolare produca un conflitto coracoideo. Possiamo concludere che la semplice lesione capsulare acromioclavicolare (Tipo I) produce una semplice sub-lussazione, facilmente trattabile solo con un’adeguata ortesi. La lesione di entrambi (tipo III) o di un solo legamento coracoclavicolare (tipo II) è sufficiente, invece, a produrre una franca lussazione della clavicola, non rispondente al trattamento conservativo. Conclusioni L’aumento di queste forze rende chiaro che, nel caso di una lesione capsulare acromioclavicolare, questi due legamenti hanno entrambi funzioni diverse ma cruciali nella stabilità clavicolare. Questo spiega anche il sovraccarico funzionale del legamento conoide dopo la rottura capsulare. Tale sovraccarico si accentua se si associa ad un’avulsione del legamento trapezoide. Sarebbe importante determinare al più presto se stiamo esaminando una rottura legamentosa acromion-clavicolare singola o doppia perché la prima porta ad una possibile predisposizione alla sindrome da conflitto. Finora solo l’esplorazione chirurgica ha potuto rispondere a questa domanda, il che rappresenta il maggior limite del nostro studio. Un miglioramento della sensibilità della diagnostica per immagini potrebbe aiutare in questi rari casi. Bibliografia • Leite M, Pinho A, Sá M, Relvas M, Torres J, Madeira M, Pereira P. Anterior shoulder anatomy and subcoracoid impingement: An anatomical study. Morphologie. 2020 Dec;104(347):221-227. doi: 10.1016/j.morpho.2020.06.001. Epub 2020 Jun 20. PMID: 32571664. • Chen YM, Bohrer SP. Coracoclavicular and coracoacromial ligament calcification and ossification. Skeletal Radiol. 1990;19(4):263-6. doi: 10.1007/BF00191668. PMID: 2112784. • Yu JF, Xie P, Liu KF, Sun Y, Zhang J, Zhu H, Chen YH. Identification of Diagnostic Magnetic Resonance Imaging Findings in 47 Shoulders with Subcoracoid Impingement Syndrome by Comparison with 100 Normal Shoulders. Med Sci Monit. 2022 Aug 1;28:e936703. doi: 10.12659/MSM.936703. PMID: 35909265.
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Gestione riabilitativa di una paziente affetta da ossificazione estensiva del tendine d’Achille: case report
Gestione riabilitativa di una paziente affetta da ossificazione estensiva del tendine d’Achille: case report. Introduzione L’ossificazione del tendine d’Achille (TA) è una condizione rara, descritta in seguito a traumi, lesioni o trattamenti chirurgici sul tendine, talvolta risalenti a decadi precedenti. Ulteriori fattori di rischio sono: malattie metaboliche, microtraumi ripetitivi, gotta, malattia di Wilson, sindrome di Reiter, predisposizione genetica. Molteplici meccanismi patogenetici sono stati ipotizzati ma l’eziologia risulta ad oggi ancora non completamente compresa. A differenza della tendinopatia calcifica, essa presenta all’esame microscopico uno o più segmenti di formazione di osso lamellare maturo a livello tendineo (1). L’ossificazione viene distinta inoltre dalle calcificazioni eterotopiche che appaiono di minor consistenza alla valutazione clinica e radiologica e possono essere asportate mediante trattamento percutaneo (2). La presentazione clinica può essere caratterizzata da limitazione dell’articolarità, dolore, infiammazione e in alcuni casi rottura del tendine, tuttavia l’ossificazione può risultare silente per decadi. L’inquadramento diagnostico prevede l’esecuzione di un esame radiografico; l’utilizzo di tecniche radiologiche di secondo livello (RMN) viene riservato a casi selezionati. La scelta terapeutica deve essere personalizzata in considerazione della gravità dei sintomi, della tolleranza al carico, dell’integrità del tendine e della richiesta funzionale del paziente. In caso di ossificazione estensiva non fratturata, le evidenze disponibili raccomandano un approcio conservativo. Il trattamento chirurgico dovrebbe essere riservato ai casi non responsivi al trattamento conservativo o di rottura completa del TA (frattura diastasata della calcificazione) (1). Dubbia resta la gestione dei casi di lesione parziale, nei quali la letteratura disponibile non consente di trarre indicazioni precise. Materiali e Metodi Presentiamo il caso di una paziente di 55 anni, valutata per dolore calcaneare posteriore bilaterale. In anamnesi: diabete di tipo II di recente riscontro, un trauma diretto a livello del TA sinistro circa 30 anni prima, condizionante lesione tendinea con vasto ematoma e trattata mediante apparecchio gessato in plantiflessione per un mese. La paziente riferiva un aumento di consistenza del tendine insorto dopo pochi mesi dall’evento acuto e di aver deambulato con zoppia per circa un anno e mezzo. La successiva risoluzione dei sintomi le aveva consentito di svolgere con regolarità attività fisica (karate e corsa) e un lavoro dinamico (cameriera). Al momento della visita presentava: BMI 29,4 (in passato valori maggiori), NRS per il dolore 4/10, algia alla palpazione del tendine achilleo in sede preinserzionale bilateralmente, al carico non erano presenti alterazioni dell’appoggio plantare. La consistenza del corpo del TA sinistro risultava nettamente aumentata ma non dolente alla palpazione. Il PROM di caviglia era simmetrico, 10°/0°/30°, le catene muscolari posteriori lievemente accorciate. La radiografia effettuata a completamento diagnostico evidenziava spina calcaneare inferiore e posteriore bilateralmente e ampia calcificazione coinvolgente più di due terzi del TA sinistro, configurando un quadro di ossificazione estensiva. Risultati In considerazione della diagnosi di tendinopatia inserzionale, dell’assenza di complicanze fratturative e dell’asintomaticità dell’ossificazione, della conservazione del ROM articolare e delle richieste funzionali della paziente è stato impostato un trattamento conservativo (3). I provvedimenti terapeutici hanno avuto lo scopo di controllare il dolore in sede inserzionale, migliorare l’elasticità della muscolatura, in particolare del tricipite surale, prevenire eccessive sollecitazioni e ridurre il rischio di rottura. Sono state quindi effettuate tre sedute di onde d’urto focali a livello dell’inserzione distale del tendine achilleo bilateralmente, la paziente è stata educata all’esecuzione di esercizi di stretching, è stato prescritto un rialzo posteriore nelle calzature e consigliato calo ponderale. Con gradualità sono stati inseriti nel programma esercizi di rinforzo eccentrico del tricipite surale, nel rispetto della sintomatologia dolorosa e mantenendo carichi ridotti per evitare eccessive sollecitazioni a livello della componente ossificata. I provvedimenti adottati hanno consentito una significativa riduzione della sintomatologia riferita dalla paziente (NRS 2/10). Conclusioni Nel caso qui riportato una ossificazione estensiva del TA non ha determinato alcun sintomo direttamente correlabile alla calcificazione o limitazione funzionale. Si tratta di una patologia rara, da sospettare in presenza dei fattori di rischio riportati, in particolare traumi o chirurgia anche risalenti a decenni prima. Abbiamo voluto riportare questo caso clinico per fornire ulteriori elementi di discussione sulla gestione di questa condizione. Il follow-up a lungo termine ci consentirà di valutare l’evoluzione. Bibliografia 1- Sullivan D, Pabich A, Enslow R, Roe A, Borchert D, Barr K, Cook B, Brooks A. Extensive Ossification of the Achilles Tendon with and without Acute Fracture: A Scoping Review. J Clin Med. 2021 Aug 6;10(16):3480. 2- Albano D, Vicentin I, Messina C, Sconfienza LM. Post-surgical Achilles calcific tendinopathy treated with ultrasound-guided percutaneous irrigation. Skeletal Radiol. 2020 Sep;49(9):1475-1480. 3- Zhi X, Liu X, Han J, Xiang Y, Wu H, Wei S, Xu F. Nonoperative treatment of insertional Achilles tendinopathy: a systematic review. J Orthop Surg Res. 2021 Mar 30;16(1):233.
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Outcome funzionale in paziente con lesione post-traumatica del nervo ascellare: case report
OUTCOME FUNZIONALE IN PAZIENTE CON LESIONE POST-TRAUMATICA DEL NERVO ASCELLARE: CASE REPORT Dott. F. Giannetto – Resp. UOSD Riabilitazione e Recupero Funzionale– AOU Policlinico – «G. Rodolico-San Marco Catania Dott.ssa M.Milazzo – Fisiatra UOSD Riabilitazione e Recupero Funzionale– AOU Policlinico – «G. Rodolico-San Marco Catania INDRODUZIONE Le fratture del terzo prossimale dell’omero rappresentano il 5% delle fratture del corpo umano con maggiore incidenza nella popolazione anziana e i principali fattori di rischio sono rappresentati dalla fragilità dell’osso e dal sesso femminile. Le fratture prossimali dell’omero possono essere causa di complicanze vasculo-nervose con impatto negativo sull’outcome funzionale. Il nervo ascellare e il nervo sottoscapolare sono le strutture nervose più frequentemente colpite dopo frattura e/o lussazione della spalla. Il presente case report descrive l’iter clinico-diagnostico con presa in carico riabilitativa di un giovane paziente affetto da lesione del nervo ascellare post- frattura pluriframmentaria del terzo prossimale dell’omero sinistro. MATERIALI E METODI CASE REPORT Uomo di 40 anni con frattura pluriframmentaria del terzo prossimale dell’omero sinistro e riscontro all’esame RMN di displasia fibrosa prossimale con estensione al terzo medio. Il paziente è stato sottoposto ad intervento chirurgico di osteosintesi con placca e viti. QUADRO CLINICO-FUNZIONALE Iperalgesia Edema e tumefazione spalla e braccio sx Elevazione e abduzione attiva impossibili Ipotonotrofia muscolare > muscolo deltoide sx MISURE DI OUTCOME NRS 8 ROM ATTIVO : ELEVAZIONE 0°- ABDUZIONE 0° MRC 1/ 5 M. DELTOIDE DASH 142 EMG-ENG Danno assonale n.ascellare sx Fibrillazioni muscolo deltoide sx Reclutamento singoli PUM ipovoltati TRATTAMENTO RIABILITATIVO INTENSIVO IN REGIME DI DAY-HOSPITAL Terapia farmacologica neurotrofica e analgesica Esercizio terapeutico conoscitivo Action Observation Therapy Terapia fisica ( UST+TENS+ES) OUTCOME FUNZIONALE RECUPERO COMPLETO ROM ATTIVO GOMITO SX RECUPERO PARZIALE ROM ATTIVO E FORZA MUSCOLARE SPALLA SX REGRESSIONE DELLA SINTOMATOLOGIA ALGICA E DELL’EDEMA MODERATA DISABILITA’ FUNZIONALE ALL’ARTO SUPERIORE SX RISULTATI E CONCLUSIONI Al termine del percorso clinico-riabilitativo i risultati hanno messo in evidenza il recupero completo del ROM attivo gomito sx con ripresa della forza muscolare controresistenza dei muscoli flessori/estensori del gomito sx. Il recupero motorio nei movimenti di elevazione e abduzione spalla sx è stato parziale ( 90°) con ipotonotrofia e debolezza del muscolo deltoide sx ( 3/5 MRC).I reperti neurofisiologi hanno evidenziato la scomparsa dei potenziali di fibrillazioni nel muscolo deltoide sx con reclutamento di transizione intermedia e PUM polifasici. Alla dimissione la scala DASH ha documentato una moderata disabilità funzionale dell’arto superiore sinistro ( DASH 90) con acquisizione di strategie compensatorie e adattamenti nello svolgimento delle ADL. In letteratura sono riportati pochi studi che descrivono la severità del danno nervoso e la prognosi riabilitativa. Il ritardo diagnostico clinico-strumentale del danno nervoso può essere determinato dalla presenza di dolore severo e marcato edema che causano limitazione motorio-funzionale dell’arto colpito. Pertanto è fondamentale eseguire con accuratezza l’esame neurologico e prescrivere dopo 6-8 settimane l’EMG-ENG in quanto l’inquadramento diagnostico precoce della lesione nervosa consente di attuare in fase iniziale un appropriato trattamento farmacologico e riabilitativo neuromotorio. ROM ATTIVO: ELEVAZIONE 0° – ABDUZIONE 0° MRC: – 1/5 M.DELTOIDE DASH 142
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GAIT ANALYSIS NELLA POLINEUROPATIA CRONICA INFIAMMATORIA DEMIELINIZZANTE
51° CONGRESSO NAZIONALE SIMFER Gait analysis nella polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante. G. Damasco1,2; D. Coraci1,2; M. Bassi1,2;  S. Masiero1,2 1. UOC Riabilitazione Ortopedica e Neurologica, Azienda Ospedaliera di Padova 2. Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Padova, Padova INTRODUZIONE La polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (CIDP, Chronic Inflammatory Demyelinating Polyneuropathy) è una patologia neurologica autoimmune che colpisce il sistema nervoso periferico e che può portare a compromissione funzionale. La valutazione della deambulazione e l’implementazione di programmi di riabilitazione sono fondamentali per monitorare la progressione della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Questo studio mira ad esaminare l’utilità dell’analisi della deambulazione nel contesto della CIDP, fornendo dati aggiuntivi alle normali valutazioni cliniche. CASE REPORT Per lo svolgimento dello studio sono stati reclutati venti pazienti affetti da CIDP, i cui dati sono stati confrontati con un gruppo di controlli sani. Sono stati raccolti dati demografici e clinici, inclusi punteggi di valutazioni standard quali la scala INCAT (Inflammatory Neuropathy Cause and Treatment) e la scala di valutazione dell’andatura (FGA, Functional Gait Assessment). L’analisi della deambulazione è stata effettuata utilizzando un sistema di motion analysis tridimensionale per registrare i parametri spazio-temporali durante il ciclo del passo. Inoltre, sono stati valutati i parametri cinematici e cinetici attraverso due pedane di forza. Questi dati aggiuntivi sono stati correlati ai punteggi delle valutazioni cliniche. RISULTATI Abbiamo valutato 23 soggetti con CIDP e 23 soggetti sani. I risultati hanno evidenziato una riduzione significativa della potenza generata nella caviglia nei pazienti affetti da CIDP rispetto ai controlli sani, con un valore di circa ⅓ rispetto a quello dei controlli. Inoltre, l’analisi della deambulazione ha rivelato alterazioni significative nei parametri spazio-temporali dei soggetti analizzati, con riduzione della velocità. I dati delle potenze non hanno mostrato una correlazione con i dati dei questionari, mentre i parametri spazio-temporali hanno evidenziato una coerenza con i questionari. CONCLUSIONI L’analisi della deambulazione e l’indagine sulla potenza generata nella caviglia rappresentano strumenti utili per valutare l’andamento della CIDP e monitorare l’efficacia dei programmi di riabilitazione. L’identificazione di alterazioni specifiche nei parametri spazio-temporali e nella forza muscolare fornisce informazioni preziose per la pianificazione di interventi riabilitativi mirati. La mancanza di relazione tra i dati cinetici e l’INCAT non stupisce, data la limitata valutazione di quest’ultimo strumento. L’integrazione di questi dati nell’ambito delle normali valutazioni cliniche può pertanto migliorare la comprensione e gestione della CIDP e contribuire a una migliore qualità di vita per i pazienti affetti da questa patologia neurologica.
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La discinesia scapolare nel nuotatore adulto: studio osservazionale
La discinesia scapolare nel nuotatore adulto: studio osservazionale Andrea Cerri*, Rossella Pagani*, Gianluca Concardi**, Andrea Bolandrini*, Alessandra Demontis**, Monica Casu*, Antonino Michele Previtera* * DI.S.S., Università degli Studi di Milano – A.S.S.T. Santi Paolo e Carlo, Ospedale San Paolo, Via A. Di Rudinì, 8 – 20142 MILANO * * KOS Group, Dipartimento di Riabilitazione Specialistica e Generale Geriatrica – Polo Geriatrico Riabilitativo, Cinisello Balsamo (MI) Introduzione La discinesia scapolare (DS) è definita in letteratura come l’alterazione della normale posizione o della cinematica scapolare durante i movimenti dell’articolazione gleno-omerale. La DS è stata osservata nel 68% dei soggetti con patologie della cuffia dei rotatori. Tra gli sportivi si riscontra più frequentemente in quelli che eseguono gesti overhead (61%) rispetto agli altri. Lo studio si propone di analizzare la relazione tra la presenza di discinesia scapolare e il dolore alla spalla nel nuotatore adulto, correlando questi due aspetti alla cornice bio-psicosociale di ogni soggetto. Materiali e Metodi Sono stati reclutati 54 nuotatori tesserati FIN, appartenenti alla categoria MASTER. Criteri di esclusione: interventi chirurgici o patologie conclamate a carico del cingolo scapolare nei cinque anni precedenti lo studio. Due soggetti su 54 (3,85%) sono stati esclusi per quest’ultimo motivo. Ciascun soggetto è stato sottoposto allo scapular dyskinesis test (SDT), con il metodo SI/NO per rilevare la discinesia scapolare, alla scala VAS per valutare il dolore e al questionario Quick DASH, incluso il modulo sportivo opzionale, per la funzionalità dell’arto superiore. L’aspetto bio-psicosociale è stato indagato attraverso un questionario compilato in autonomia dai partecipanti. I soggetti sono stati ripresi posteriormente con una videocamera a una distanza di due-tre metri, mentre eseguivano tre movimenti di flessione e tre di abduzione di spalla, in tre momenti differenti della sessione di allenamento: prima (T0), dopo 60 minuti (T1) e dopo 90 minuti (T2). Negli stessi momenti è stata somministrata la scala VAS. Un’ulteriore scala VAS a T0 è stata somministrata per quantificare l’intensità di dolore percepita durante l’ultima settimana di attività sportiva. I soggetti che hanno ottenuto un punteggio VAS > 3,4 sono stati considerati come “aventi dolore”. Risultati La prevalenza di discinesia scapolare aumenta nel corso dell’allenamento: 59,64% a T0, 80,77% a T1 e 82,69% a T2. Non è stata trovata alcuna differenza statisticamente significativa tra le intensità di dolore dei nuotatori adulti con e senza discinesia scapolare a T0, T1 e T2. Non è stata trovata alcuna differenza statisticamente significativa tra le intensità di dolore, a T0, T1 e T2, e in riferimento all’ultima settimana di allenamento, tra i soggetti occupati, e non, in lavori usuranti e/o gravosi (classificazione INPS 2022). Si è osservato un progressivo aumento della prevalenza di discinesia scapolare durante la sessione di allenamento. Questo potrebbe essere dovuto principalmente all’affaticamento dei muscoli periscapolari. Maor et al. (2017) ipotizzarono che la mancanza di correlazione con il dolore fosse legata al fatto che la discinesia si presentava solo durante il nuoto, influenzando negativamente le strutture della spalla solo durante l’allenamento. Questa ipotesi non sarebbe sostenuta dalla prevalenza a T0 nel nostro campione: indice del fatto che quasi sei nuotatori su dieci convivono con una posizione o un movimento scapolare alterati e che l’intensità del loro dolore non è diversa dagli altri atleti senza discinesia. Secondo altri studi, la mancanza di correlazione con il dolore è dovuta al fatto che il dolore può insorgere da quattro a otto anni dopo la comparsa di discinesia. Tuttavia, soprattutto per quanto riguarda gli atleti con discinesia a T0, è inverosimile che il 100% di essi abbia sviluppato un movimento o una posizione scapolare alterati nel momento stesso del test; questo renderebbe meno probabile la relazione unidirezionale tra sviluppo di discinesia e, conseguentemente, lo sviluppo di dolore. Conclusione L’aumento della prevalenza di discinesia durante l’allenamento implica che, in alcuni soggetti, la discinesia scapolare non è rilevata a riposo. Ne consegue l’esigenza di effettuare una valutazione durante e/o dopo la sessione di allenamento, oppure cercando di imitare le condizioni che si verificano durante l’attività sportiva. Sono necessari ulteriori studi in futuro per comprendere le ragioni e le conseguenze della discinesia scapolare, sia a riposo che durante l’allenamento, e le sue relazioni con il dolore e le patologie di spalla. In particolare, sarebbe necessario uno studio longitudinale per osservare il comportamento della discinesia scapolare e il suo rapporto con il dolore e il tasso di infortuni durante più stagioni sportive. Bibliografia -Madsen, P.H., Bak, K., Jensen, S., Welter, U., 2011. Training induces scapular dyskinesis in pain-free competitive swimmers: a reliability and observational study. Clin. J. Sport Med. Off. J. Can. Acad. Sport Med. 21 (2), 109–113. -MaorMB, Ronin T, KalichmanL. Scapular dyskinesis among competitive swimmers. J BodywMov Ther.2017 Jul;21(3):633-636. -Huang TS, Chen WJ, Du WY, Lin JJ. Measurement of scapular prominence in symptomatic dyskinesis using a novel scapulometer: reliability and the relationship to shoulder dysfunction. J Shoulder Elbow Surg. 2020 Sep;29(9):1852-1858.
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Utilizzo dell’ecografia muscolare e dell’elettromiografia nella riabilitazione di una paziente con esiti di intervento chirurgico toracico
Utilizzo dell’ecografia muscolare e dell’elettromiografia nella riabilitazione degli esiti di intervento di chirurgia toracica Gli interventi chirurgici toraco-addominali possono causare complicanze a livello della parete addominale: la diagnosi specifica ed il monitoraggio della risposta clinica sono fondamentali per programmare trattamenti riabilitativi appropriati ed efficaci. Con questo caso evidenziamo l’utilità clinica di abbinare tecniche diagnostiche differenti (ecografia ed elettromiografia) in chiave riabilitativa. IL CASO Una giovane donna in età premenopausale veniva sottoposta a drenaggio di pneumotorace idiopatico recidivante effettuato con beneficio sia clinico che radiografico. Nel post-operatorio riferiva parestesie urenti e ipoestesia al fianco destro, per cui nel post-dimissione la paziente effettuava una valutazione antalgica che impostava trattamento con gabapentin e tapentadolo, con scarso beneficio. Giungeva quindi alla nostra attenzione per persistenza di dolore urente con parestesie al fianco sinistro e per insufficienza muscolare della parete addominale destra durante sforzo (es. bulging durante manovra di Valsalva). MOTIVO DELLA VISITA Per sospetto di neuropatia periferica si eseguiva approfondimento con ecografia e studio neurofisiologico ecoguidato della parete addominale e del nervo frenico: lo studio di conduzione del nervo frenico destro risultava nella norma, mentre l’obliquo interno destro presentava pattern di attività spontanea a riposo e ridotto reclutamento volontario, associato ad ipotrofia all’imaging ecografico (spessore di 1/4 rispetto il controlaterale). Si impostava quindi il trattamento riabilitativo (specifico rinforzo della parete addominale) ed organizzata una visita di controllo ad 1 anno. Alla rivalutazione si sono osservati miglioramenti clinici (riduzione lassità della parete addominale e miglioramento della forza) associati a miglioramento degli indici strumentali: ecografici, incremento dello spessore delle strutture muscolari, con valori pari al 50% delle strutture controlaterali; neurofisiologici, scomparsa dell’attività spontanea e reclutamento più ricco. CONCLUSIONI L’associazione di tecniche diagnostiche funzionali e di imaging perette di superare i limiti intrinseci di ciascuna metodica sia in termini di accuratezza diagnostica che di riduzione delle possibili mis-diagnosi. Dal punto di vista riabilitativo, lo studio ecografico ed elettromiografico hanno fornito informazioni utili per la definizione sia della prognosi, che dell’iter riabilitativo più appropriato e su misura per la paziente. CONTATTI e BIBLIOGRAFIA Lucangeli Manuele, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Neuroscienze, Scuola di Medicina Fisica e Riabilitazione: manuele.lucangeli@studenti.unipd.it Tahan N, Arab AM, Arzani P, Rahimi F. Relationship between ultrasonography and electromyography measurement of abdominal muscles when activated with and without pelvis floor muscles contraction, Minerva Med. 2013 Dec Mitsutake A et. al. Paraspinal muscle involvement in herpes zoster-induced abdominal wall pseudohernia revealed by electrophysiological and radiological studies. J Neurol Sci. 2018 Feb Abou-Al-Shaar H, Mahan MA. Subcostal nerve injury after laparoscopic lipoma surgery: an unusual culprit for an unusual complication. J Neurosurg. 2018 Dec
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Ecografia del nervo ed elettromiografia nelle lesioni traumatiche: quando l’essenziale diventa visibile agli occhi
ECOGRAFIA DEL NERVO ED ELETTROMIOGRAFIA DELLE LESIONI TRAUMATICHE: QUANDO L’ESSENZIALE DIVENTA VISIBILE AGLI OCCHI INTRODUZIONE Le lesioni nervose traumatiche possono causare deficit motori e sensitivi significativi. Per una diagnosi accurata, è utile accompagnare la valutazione clinica con le valutazioni elettromiografica ed ecografica per localizzare la lesione e definire l’iter terapeutico e riabilitativo più accurato. IL CASO Donna di 75 anni, con una storia remota di frattura di omero destro e una recente lesione da taglio al dito indice della mano destra. La paziente presentava un deficit di forza nell’arto superiore destro e un deficit di sensibilità della mano più marcato al dito indice. La paziente è stata valutata ambulatorialmente con una neurografia sensitiva della mano dx, attraverso metodica antidromica, e neurografia motoria dei nervi mediano, ulnare e radiale dx. Inoltre, con una elettromiografia ad ago è stata analizzata l’attività elettrica a riposo e in contrazione volontaria dei muscoli innervati dai nervi sopra menzionati. Infine, è stata eseguita una ecografia di nervo, attraverso sonda lineare a 15 MHz. L’ecografia del nervo è stata utilizzata per visualizzare e valutare lo stato dei nervi mediano e radiale all’arto superiore destro. EMG L’elettromiografia ha mostrato una complessa sofferenza motoria e sensitiva a carico del nervo radiale e una marcata sofferenza sensitiva a livello del dito indice. ECOGRAFIA I risultati dell’ecografia del nervo hanno evidenziato una compressione del nervo radiale nel sito della precedente osteosintesi dell’omero destro con stretto contatto del nervo con placca. Inoltre, è stata identificata una neurotmesi del ramo digitale del nervo mediano, a livello del dito indice della mano destra. CONCLUSIONI Nel caso descritto, la valutazione neurofisiologica non ha fornito una diagnosi chiara né una precisa identificazione della gravità. L’utilizzo combinato dell’ecografia del nervo e dell’elettromiografia si è dimostrato un approccio efficace nella valutazione della paziente con deficit motorio e sensitivo dell’arto superiore destro. Questo approccio ha permesso una diagnosi più accurata e una definizione precisa delle sedi delle lesioni nervose. L’ecografia del nervo ha identificato una compressione del nervo radiale a causa della sintesi dell’omero e una neurotmesi del ramo digitale del nervo mediano nel dito indice. Queste informazioni sono fondamentali per la pianificazione del trattamento e la gestione della paziente, consentendo un intervento mirato per ripristinare la funzione motoria e sensitiva. BIBLIOGRAFIA Agarwal A, Chandra A, Jaipal U, Saini N. A panorama of radial nerve pathologies- an imaging diagnosis: a step ahead. Insights Imaging. 2018 Dec;9(6):1021-1034. doi: 10.1007/s13244-018-0662-x. Steenbeek ED, Pondaag W, Tannemaat MR, Van Zwet EW, Malessy MJA, Groen JL. Optimal timing of needle electromyography to diagnose lesion severity in traumatic radial nerve injury. Muscle Nerve. 2023 Apr;67(4):314-319. doi: 10.1002/mus.27787. Padua L, Di Pasquale A, Liotta G, Granata G, Pazzaglia C, Erra C, Briani C, Coraci D, De Franco P, Antonini G, Martinoli C. Ultrasound as a useful tool in the diagnosis and management of traumatic nerve lesions. Clin Neurophysiol. 2013 Jun;124(6):1237-43. doi: 10.1016/j.clinph.2012.10.024.
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Progetto riabilitativo nel linfedema primario: strategie terapeutiche a confronto
PROGETTO RIABILITATIVO NEL LINFEDEMA PRIMARIO: STRATEGIE TERAPEUTICHE A CONFRONTO J. Accomando, M. S. Mangano, L.Lauricella, D. Scaturro, M. Vecchio, G. Letizia Mauro Introduzione Il Linfedema è una condizione patologica caratterizzata dall’accumulo di linfa in vari distretti dell’organismo. E’ determinato dalla presenza di un’elevata concentrazione proteica che si realizza negli spazi tissutali dovuta ad un’alterazione del sistema linfatico. È una malattia evolutiva che tende a cronicizzare e ad avere conseguenze invalidanti, non solo fisiche ma anche psicologiche e sociali. La sua evoluzione determina non solo un aumento del volume dell’arto ma anche modifiche tissutali esitando nel tempo in fibrosi, con conseguente grave limitazione funzionale. Esistono forme primarie, distinte in congenite, precoci e tardive in base all’esordio, determinate da un alterato sviluppo del sistema linfatico locale e forme secondarie insorte a seguito di processi infettivi, traumatici o neoplastici. [1] Il linfedema primitivo è raro, colpisce nella maggior parte dei casi le donne in età prepuberale, con una prevalenza che varia tra 1/6.000 e 1/100.000 persone. È causato da una linfoangiogenesi anomala durante lo sviluppo embrionale a causa di mutazioni genetiche. Coinvolge maggiormente gli arti inferiori (80% dei casi), ma può interessare anche gli arti superiori, il viso ed i genitali. L’alterazione locale dei vasi linfatici produce un accumulo di linfa che, se mantenuto, produce edema localizzato, cronico e progressivo. Questo edema si presenta all’inizio senza dolore, calore, eritema o limitazione funzionale ma successivamente può evolvere in elefantiasi complicata da lesioni cutanee, infettive, micotiche, verrucosi, ulcere, fino alla eventuale trasformazione linfosarcomatosa. [2] Scopo del nostro studio è dimostrare l’importanza della precoce presa in carico nei pazienti con linfedema e confrontare l’efficacia del programma riabilitativo che include il trattamento combinato con linfodrenaggio manuale e bendaggio multistrato versus il programma riabilitativo che include il trattamento decongestivo combinato e l’ultrasuonoterapia nei pazienti affetti da linfedema primario. L’ultrasuonoterapia classica permette di migliorare non solo la circolazione, riducendo l’edema, ma soprattutto il trofismo di cute e sottocute, induriti dall’accumulo di linfa, grazie all’effetto fibrinolitico. [3] Materiali e Metodi Questo studio monocentrico prospettico osservazionale è stato condotto presso la U.O.C. di “Recupero e Riabilitazione Funzionale” dell’A.U.O.P. “P. Giaccone” di Palermo tra Giugno 2022 e Giugno 2023 e sono stati reclutati 8 pazienti (D:5, U:3) affetti da linfedema primario con coinvolgimento degli arti inferiori. Abbiamo suddiviso i pazienti in due gruppi omogenei: gruppo A sottoposto a programma riabilitativo con linfodrenaggio manuale e bendaggio multistrato e un Gruppo B sottoposto al programma riabilitativo con ultrasuonoterapia e linfodrenaggio manuale e bendaggio multistrato. Il protocollo riabilitativo aveva una durata di 60 minuti e veniva eseguito 3 giorni alla settimana per un totale di 20 sedute. I pazienti sono stati valutati al basale (T0), all’inizio (T1) e al termine di ogni ciclo riabilitativo (T2- primo ciclo -T3 secondo ciclo), attraverso una valutazione clinica con la somministrazione di scale di valutazione NRS, BI, Rivermead, SF-12 e la cirtometria dell’arto inferiore eseguita sui seguenti punti di repere: metatarsale, bimalleolare, (+10 cm e +20 dal ginocchio), ginocchio (- 10 cm e -20 dal ginocchio). Risultati Nei nostri pazienti abbiamo osservato miglioramenti significativi in termini di dolore (Gruppo A NRS scale: 5 (T0) vs 3(T3), Gruppo B NRS scale 5(T0) vs 2(T3) ) , di autonomia nello svolgimento delle ADL(Gruppo A Barthel Index:75 (T0) vs 85(T3), Gruppo B Barthel Index:75(T0) vs 90(T3)), di funzionalità dell’arto inferiore (Gruppo A Rivermead Scale: 8(T0) vs 11, Gruppo B Rivermead Scale: 8 (T0) vs 12(T3)), di qualità della vita (SF-12 Gruppo A 32(T0)-28(T3) vs SF-12 Gruppo B 30(T0)-26(T3)) in entrambi i gruppi alla fine del secondo trattamento. Alla cirtometria dell’arto inferiore abbiamo misurato una significativa riduzione dell’edema già alla fine del I ciclo (T2) nei pazienti di entrambi i gruppi, maggiore nel gruppo B. Il programma era stato privo di complicanze con una buona compliance dei pazienti. Conclusioni Dall’analisi dei dati si evince che una precoce presa in carico del paziente con linfedema è fondamentale per ridurre l’edema, il dolore, il rischio di infezioni, per migliorare le condizioni trofiche della cute, la funzionalità dell’arto nonché la qualità di vita. Inoltre nonostante non ci sia una significativa differenza nell’efficacia dei due diversi programmi, la combinazione di modalità di ultrasuonoterapia con TDC può determinare nello stesso intervallo di tempo una maggiore riduzione del volume dell’arto, del dolore e della disabilità funzionale nei pazienti con linfedema primario. Bibliografia [1] Lymphedema: From diagnosis to treatment S Vignes 1 [2] Primary lymphoedema outside the neonatal period Estefanía Barral Mena 1, María Soriano-Ramos 2, Maria Rosa Pavo García 3, Lucía Llorente Otones 4, Jaime de Inocencio Arocena [3] Vivere e partecipare con il linfedema Sebastiano Monteri Editore, Ministero della Salute e delle Malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità
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Riabilitazione e cura: coltivare l’orto e le relazioni per costruire una nuova casa
Risultati L’attività di orticoltura, è stata legata a indicatori cognitivi, psico-emotivi e motori; il pz partecipa all’attività giornalmente, accompagnato da psicologa/ educatrice/ OSS; tre volte a settimana la psicologa monitora con scheda indicatori qualitativi (funzioni esecutive, attivazione personale, interesse, comunicazione, divertimento, umore); risultano migliorati tutti gli indicatori monitorati. Conclusioni L’approccio integrato sui vari aspetti riabilitativi delle diverse figure e il trasferimento/condivisione di questa modalità al personale ha creato un ambiente di cura centrato sulla persona che ha influito positivamente sulla consapevolezza delle potenzialità personali, il tono dell’umore e la riacquisizione delle autonomie perse. Le attività complementari di orto-terapia, percorso sportivo, tombola, hanno permesso di ampliare le relazioni interpersonali, il senso di auto-efficacia e la motivazione a rimanere quotidianamente attivo in carrozzina. L’assunzione di postura efficace in carrozzina e il cambiamento psico-motorio, hanno introdotto il perseguimento di un adattamento ergonomico della camera finalizzato a un ulteriore miglioramento dell’autostima, della gestione autonoma degli spazi personali, delle ADL e a un vissuto di “essere a casa”. Bibliografia Barnicle, T. and Midden, K. (2003). The effects of a horticulture activity program on the psychological wellbeing of older people in a long-term care facility. HortTechnology 13: 81-85. Goussot A. (2011), Le disabilità complesse. Sofferenza psichica, presa in carico e relazione di cura. Maggioli Editore Basaglia N. (2002) Progettare la riabilitazione. Il lavoro in team interprofessionale. Edi.ermes MMSE HADS GDS STAI Y 1 T0 23,3/30 ANSIA13/21 dist. moderato DEPRESSIONE 10/21 dist. lieve 10/15 dist. lieve (cut off >5) 62/80 Sint.Grave (cut off 40) T3 27.3/30 ANSIA 09/21 dist. lieve DEPRESSIONE 01/21 nella norma 06/15 dist. lieve (cut off >5) 53/80 Sint. Lieve (cut off 40) BARTHEL INDEX TCT T0 PUNTEGGIO TOTALE 3/100 USO CARROZZINA 3/ Punteggio 0/100 T3 PUNTEGGIO TOTALE 15/100 BAGNO/DOCCIA 1/5 IGIENE PERSONALE 4/5 VESTIRSI 5/10 USO CARROZZINA 5/5 Punteggio 61/100 Ad oggi il pz è gestito per le ADL da un op, eccetto i trasferimenti svolti da 2 op e sollevatore. Compie in autonomia l’igiene del viso, necessita di aiuto per sopperire al deficit di motilità oculare, collabora nella vestizione e compie tutti i cambi postura necessari in autonomia. Attraverso training e approccio integrato (Raa-Tdr) risolte le paure del pz manifestate durante le manovre in barella-doccia e individuato l’ausilio (sedia- doccia) e la modalità per lo svolgimento dell’attività in rilassatezza. BI 15/100 (bagno/doccia 1/5 aiuto per tutte le operazioni, igiene personale 4/5 aiuto per una o più operazioni, vestirsi 5/10, uso autonomo della carrozzina 5/5). Introduzione Il paziente (pz) di 69 a. diagnosi di distrofia muscolare oculo- faringea, tracheostomia+O2 terapia, c.v. PEG, entra in Nucleo Gravi Disabilità Acquisite c/o Struttura socio-sanitaria a 01/2022, dopo ricovero per polmonite ab-ingestis e SARS-Cov2. Presente deflessione dell’umore, stati di ansia, emozione di rabbia legate al mancato ritorno a casa per impossibilità di cura, scarsa fiducia nei professionisti. MMSE pc 23.3/30. BI 3/100 (uso della carrozzina 3/5, slumped position) non collaborante nelle ADL, gestito in toto da 2 operatori (op), non interessato ad attività/alzate. TCT 0/100. Obiettivi: percezione del luogo di cura come vicariante il domicilio, miglioramento del senso di autoefficacia, recupero delle ADL e di postura ergonomica. MMSE: 23.3/30 →27.3/30. HADS: Ansia 13/21 (mod)→9/21 (lieve), Depressione 10/21 (lieve)→1/21 (norma). STAI Y-1: 62/80 (grave) →53/80 (lieve). GDS: 10/15 (lieve)→6/15 (cutoff 5/15). Il funzionamento cognitivo è migliorato da un deficit lieve a una performance cognitiva nel range di normalità. Il tono dell’umore è in progressione positiva. Inizialmente presente lieve sintomatologia depressiva e moderata/severa attivazione ansiosa; dopo gli interventi psicologici e integrati presente riduzione della sintomatologia ansiosa (da colloqui e test) e miglioramento di quella depressiva che si colloca al limite del range di normalità. Eseguito rinforzo muscolare, igiene articolare, training educativo pz/op per recupero ADL. Individuata carrozzina personalizzata compatibile con le risorse motorie e lo stile di vita. Costruito e implementato un percorso motorio in 8 tappe + attrezzi, con esercizi ricavati da sport adattati ed eseguibili in autonomia. TCT 61/100: autonomo nei cambi postura e nella posizione seduta sul letto, aiuto parziale di 1 op per passaggio alla posizione seduta. L’acquisizione di più abilità motorie ha orientato al potenziamento dei trasferimenti (in atto traning): da sollevatore a 1 TDR+ausili. 1 E. MIGLIORINI, 2 S. GAZZOLA, 3 M. FALLETI, 4 R. ANTENUCCI. 1 PSICOLOGA, NUCLEO GRADA– CRA CASA SAN GIUSEPPE, EDOS, PIACENZA 2 TERAPISTA DELLA RIABILITAZIONE, NUCLEO GRADA– CRA CASA SAN GIUSEPPE, EDOS, PIACENZA 3 RESPONSABILE ATTIVITA’ ASSISTENZIALI NUCLEO GRADA – CRA CASA SAN GIUSEPPE, EDOS, PIACENZA 4 MEDICO FISIATRA UNITA’ SPINALE, NEURORIABILITAZIONE E MEDICINA RIBILITATIVA INTENSIVA-FIORENZUOLA D’ARDA AUSL PIACENZA Materiali e Metodi Test psicometrici: Mini Mental State Examination (MMSE), Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS), State Anxiety Inventory (STAI Y-1), Geriatric Depression Scale-breve (GDS), Barthel Index (BI), Trunk Control Test (TCT). Programmati colloqui settimanali di sostegno psicologico, interventi psico-educativi (riconoscimento e gestione emozioni, bilancio decisionale) e cognitivo-comportamentali. Mobilizzato in carrozzina 5 giorni a sett. e inserito per riabilitazione motoria/respiratoria quotidiana. Costruite con il pz attività occupazionali: percorso interno, orto-terapia. Inserito nelle attività di socializzazione. Osservazione/valutazione per fornitura carrozzina personale. Utilizzata metodologia relazionale che rende il pz partecipante attivo nelle scelte decisionali e libero nell’espressione emotiva. Utilizzo di scambi interpersonali alla pari, affini a quelli familiari. Ascolto attivo del personale e cure improntate a un crescente recupero autonomie personali. RIABILITAZIONE: COLTIVARE L’ORTO E LE RELAZIONI PER COSTRUIRE UNA CASA NUOVA
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Miglioramento della disfagia post-stroke al primo ricovero riabilitativo: criteri prognostici
MIGLIORAMENTO DELLA DISFAGIA POST-STROKE AL PRIMO RICOVERO RIABILITATIVO: CRITERI PROGNOSTICI Ilaria Scola, Mirella Boselli, Giovanna Alfano, Laura Cuttitta, Weizhi Chen, Roberto Maestri, Chiara Ferretti. Introduzione La disfagia orofaringea post-stroke aumenta il rischio di malnutrizione, disidratazione e polmonite ab-ingestis ed è associata a minore recupero funzionale e maggiore mortalità. L’assunzione di cibi a consistenza modificata e l’addensamento dei liquidi rappresentano il cardine della gestione della disfagia. Nonostante siano deboli le evidenze scientifiche dell’utilità di tali interventi e ne venga evidenziato l’effetto peggiorativo sulla qualità di vita di paziente e care-giver, il loro utilizzo può prolungarsi per diversi mesi secondo l’evoluzione della disfagia (1). Alcuni fattori clinici, utili nella pianificazione riabilitativa, sono stati proposti come predittori indipendenti del miglioramento della disfagia post-stroke: età, segni strumentali di penetrazione/aspirazione, gravità della disfagia iniziale, lesioni cerebrali bilaterali, severità dell’ictus, disturbi del linguaggio, deficit cognitivi (2,3). Intento del presente studio è stato analizzare in un gruppo di pazienti con disfagia post-stroke l’esistenza di fattori clinici predittivi di miglioramento della deglutizione, con eventuale recupero di un’alimentazione orale senza compensi dietetici, durante il primo ricovero riabilitativo. Materiali e Metodi L’analisi retrospettiva ha riguardato le cartelle cliniche di 93 pazienti (38 maschi) con disfagia in esiti di stroke ischemico ed emorragico, ricoverati per la prima presa in carico riabilitativa. L’età media era 78±11 anni (range 39-95). Il tempo dall’evento indice all’ingresso era di 18.9 ± 14.7 giorni. 20 pazienti avevano avuto un iniziale periodo di coma (GCS<8), 9 erano portatori di cannula tracheale. Il 73% dei casi aveva avuto un ictus ischemico. Relativamente alla sede dell’evento ictale: 38 pazienti con danno sopratentoriale destro (32 ischemici e 6 emorragici), 42 pazienti sopratentoriale sinistro (29 ischemici e 13 emorragici) e 13 pazienti sottotentoriale (9 ischemici e 4 emorragici). Durante il ricovero, durato in media 57.5 ± 16.6 giorni, è stato svolto un percorso valutativo /riabilitativo multiprofessionale per la gestione della disfagia e della nutrizione. Risultati All’ingresso nessun paziente assumeva dieta libera per os. 29 pazienti erano nutriti e 35 idratati per via enterale/parenterale mentre la maggior parte dei pazienti assumeva cibi a consistenza modificata semisolida (61%); l’idratazione per os avveniva con liquidi addensati a semisolido (27%), a sciroppo (24%) o lievemente addensati (12 %). Alla dimissione la maggior parte dei pazienti si alimentava per os con dieta modificata: semisolida (53%) o sminuzzata (13%), liquidi addensati a semisolido (16 %), sciroppo (30%) o lievemente addensati (22%). Solo 18 e 14 pazienti erano in dieta libera rispettivamente per alimentazione e idratazione. Metà dei pazienti in nutrizione enterale/parenterale aveva ripreso l’alimentazione orale. Al termine della prima presa in carico riabilitativa in 51 pazienti (55%) la disfagia era migliorata, mentre per i restanti la dieta di ingresso era rimasta invariata (DOSS all’ingresso: 2.7±1.3, DOSS alla dimissione 3.6±1.5, p<0.0001). Il 19% aveva recuperato un’alimentazione orale solida con dieta libera ed il 15% assumeva liquidi non addensati. Come potenziali predittori clinici sono stati considerati: età, sede ed eziologia, trattamenti di rivascolarizzazione o neurochirurgici in fase acuta, danno cognitivo, intervallo evento indice-presa in carico riabilitativa, durata degenza riabilitativa, disturbi di linguaggio (afasia/disartria), danno ORL, disabilità globale e cognitiva all’ingresso (FIM globale e FIM cognitiva), severità disfagia all’ingresso (punteggio DOSS ingresso), logopedia effettuata e sua durata. Tra tutte queste variabili, studiate mediante un modello di regressione lineare generalizzato, solo l’assenza di decadimento cognitivo (beta=-0.64, p=0.029) e di disturbi di linguaggio (beta=-0.70, p=0.022) e il valore iniziale DOSS (beta=-0.4, p=0.0014) sono risultate associate in modo significativo e indipendente al miglioramento della disfagia (differenza DOSS dimissione – DOSS ingresso). Solo l’assenza di decadimento cognitivo è risultata significativamente associata al recupero di dieta liquida libera, (p=0.007), mentre la durata del ricovero ha influenzato il recupero di una dieta solida libera (p=0.03). Conclusioni Durante il primo ricovero riabilitativo la disfagia migliora nei pazienti post-stroke, in percentuale sovrapponibile a quanto segnalato in letteratura, ma la maggior parte deve proseguire l’assunzione di alimenti con compensi dietetici. In sintesi già alla prima presa in carico riabilitativa alcuni fattori clinici, quali la gravità della disfagia iniziale, l’assenza di decadimento cognitivo e di disturbi di linguaggio, consentono di predire l’evoluzione della disfagia e della tempistica relativa alla necessità di compensi dietetici, favorendo la pianificazione delle cure e la loro condivisione con paziente e care giver. Bibliografia 1)Dziewas R, Michou E, Trapl-Grundschober M, Lal A, Arsava EM, Bath PM, Clavé P, Glahn J, Hamdy S, Pownall S, Schindler A, Walshe M, Wirth R, Wright D, Verin E. European Stroke Organisation and European Society for Swallowing Disorders guideline for the diagnosis and treatment of post-stroke dysphagia. Eur Stroke J. 2021 Sep;6(3):LXXXIX-CXV. doi: 10.1177/23969873211039721. Epub 2021 Oct 13. PMID: 34746431; PMCID: PMC8564153. 2)D'Netto P, Rumbach A, Dunn K, Finch E. Clinical Predictors of Dysphagia Recovery After Stroke: A Systematic Review. Dysphagia. 2023 Feb;38(1):1-22. doi: 10.1007/s00455-022-10443-3. Epub 2022 Apr 20. PMID: 35445366; PMCID: PMC9873776. 3)Castagna A, Ferrara L, Asnaghi E, Rega V, Fiorini G. Functional limitations and cognitive impairment predict the outcome of dysphagia in older patients after an acute neurologic event. NeuroRehabilitation. 2019;44(3):413-418. doi: 10.3233/NRE-182635. PMID: 31177241. The FREQ Procedure liquidi_adm Frequency Percent Cumulative
Frequency Cumulative
Percent enter_parenter 35 37.63 35 37.63 liev_addensati 11 11.83 46 49.46 sciroppi 22 23.66 68 73.12 semisolidi 25 26.88 93 100.00 solidi_adm Frequency Percent Cumulative
Frequency Cumulative
Percent enter_parenter 29 31.18 29 31.18 liberi 2 2.15 31 33.33 semisolidi 57 61.29 88 94.62 sminuzzati 1 1.08 89 95.70 unknown 4 4.30 93 100.00 liquidi_dis Frequency Percent Cumulative
Frequency Cumulative
Percent enter_parenter 16 17.20 16 17.20 liberi 14 15.05 30 32.26 liev_addensati 20 21.51 50 53.76 sciroppi 28 30.11 78 83.87 semisolidi 15 16.13 93 100.00 solidi_dis Frequency Percent Cumulative
Frequency Cumulative
Percent enter_parenter 14 15.05 14 15.05 liberi 18 19.35 32 34.41 semisolidi 49 52.69 81 87.10 sminuzzati 11 11.83 92 98.92 unknown 1 1.08 93 100.00
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Efficacia delle onde d’urto focali nel trattamento dei ritardi di consolidamento osseo, case report
EFFICACIA DELLE ONDE D’URTO FOCALI NEL TRATTAMENTO DEI RITARDI DI CONSOLIDAMENTO OSSEO, CASE REPORT Brambilla Rossana, Roberta Fontana, Laura Laiosca, Valeria Rivolta, Carlo Domenico Ausenda, Laura Perucca – Unità Operativa di Riabilitazione Intensiva ad Alta Complessità, Ospedale San Carlo Borromeo – ASST santi Paolo e Carlo, Milano – Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Milano – Unità Operativa di Riabilitazione Neuromotoria, IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano Introduzione: Il ritardo di consolidamento delle fratture delle ossa lunghe è una delle complicanze più impegnative in campo ortopedico, con un’incidenza dal 5 – 10% fino al 50% secondo alcuni autori, in aumento con la maggiore sopravvivenza dei pazienti vittime di politrauma. Spesso causa disabilità a lungo termine, problemi psichici, elevati costi economici. Spesso richiede più trattamenti chirurgici e tecniche di rigenerazione ossea come il trapianto di osso autologo e la terapia con cellule staminali. Studi sperimentali hanno dimostrato la capacità delle onde d’urto focali di promuovere la differenziazione di cellule staminali mesenchimali verso cellule progenitrici osteogeniche e di favorire la neovascolarizzazione e la riparazione ossea, attraverso la produzione di specifici fattori di crescita. Dalla letteratura emerge un successo del trattamemto con onde d’urto dal 54% al 98%, in relazione a tipo di osso trattato, al tipo di pseudoartrosi (ipertrofica, oligotrofica, atrofica) e al tempo intercorso dalla frattura (3-6 mesi o più). Le onde d’urto focali si propongono come un trattamento conservativo efficace e una valida alternativa al trattamento chirurgico. Materiali e Metodi: Descriviamo un caso clinico giunto alla nostra osservazione. Una paziente di 53 anni con esiti di frattura chiusa biossea e bifocale di gamba sinistra causata da caduta accidentale 6 mesi prima, trattata con osteosintesi intramidollare di tibia. Il quadro radiologico mostrava i segni di un ritardo di consolidamento dei focolai di frattura di tipo oligotrofico. La paziente presentava dolore al carico e alla palpazione a livello del focolaio fratturativo prossimale di tibia (VAS 8), deambulava ancora con necessità di 2 bastoni canadesi e con marcata zoppia antalgica. La paziente era stata presa in carico per un trattamento fisioterapico motorio ambulatoriale, ancora in corso, subito dopo l’intervemto chirurgico e assumeva supplementi di calcio (500 mg/die) e colecalciferolo (25000 UI/2 settimane). La paziente è stata quindi trattata con onde d’urto focali a livello del focolaio fratturativo prossimale di tibia secondo il seguente protocollo, in accordo con i dati della letteratura: 6 sedute di trattamento settimanale seguite da 3 sedute di trattamento bisettimanale. In ogni seduta il focolaio fratturativo è stato evidenziato con valutazione ecografica, sono stati erogati 4000 impulsi con una densità di flusso di energia di 0,4 mJ/mm2 ad una frequenza di 4Hz. E’ stato utilizzato un sistema ad onde d’urto Duolith SD1 ultra, manipolo sepia, di Storz Medical. La terapia è risultata ben tollerata. In relazione alla presenza di più focolai fratturativi e al tempo intercorso dalla frattura è stata impostata anche terapia medica osteometabolica con clodronato intramuscolo (200 mg/die per 10 gg, 200 mg/giorni alterni per 20 gg, 200 mg/2 settimane per 6 mesi). Risultati: Già al termine delle prime 3 sedute si è manifestato un netto miglioramento clinico con riduzione del dolore (VAS 4) e della zoppia (possibilità di utilizzare un solo appoggio). Il controllo radiologico ha mostrato un incremento dei fenomeni di apposizione ossea. Si è assistito ad un progressivo miglioramento clinico durante il trattamento. Ad un mese dal termine del trattamento la pz non presentava più sintomatologia dolorosa (VAS 0) e deambulava senza appoggi e con schema del passo corretto. Il controllo radiologico ha mostrato la guarigione delle fratture. Lo specialista ortopedico ha programmato la rimozione dei mezzi di sintesi a distanza di alcuni mesi. Conclusioni: La nostra esperienza conferma quanto già ampiamente dimostrato dalla letteratura riguardo la capacità delle onde d’urto focali di favorire la guarigione dei ritardi di consolidamento delle fratture delle ossa lunghe. L’associazione con terapia osteometabolica di supporto ha favorito i processi di guarigione innescati dal trattamento con onde d’urto. Bibliografia EXTRACORPOREAL SHOCKWAVE THERAPY IN THE TREATMENT OF NONUNION IN LONG BONES: A SYSTEMATIC REVIEW AND META ANALISIS – Journal of Clinical Medicine 2022 – Valerio Sansone et al. EXTRACORPOREAL SHOCKWAVE THERAPY: AN UPDATE – EFORT Open Rev 2020 – Vinzenz Auersperg et al. EFFECT OF EXTRACORPOREAL SHOCK WAVE THERAPY ON FRACTURE NONUNION – Am J Orthop 2012 – Maria C Vulpiani et al.
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Il biofeedback visivo nel training del cammino del soggetto con esiti di stroke
Il biofeedback visivo nel training del cammino del soggetto con esiti di stroke A. Robustelli, R. Penati, A. Specchia, E. Guanziroli, F. Molteni Villa Beretta Rehabilitation Center, Via N. Sauro 17, 23845 Costa Masnaga, Italy INTRODUZIONE E SCOPO DEL LAVORO I pazienti con esiti di stroke mostrano un cammino spesso caratterizzato da asimmetria del passo [1], cui risulta associato un maggior costo energetico ed un aumentato rischio di cadute [2]. Il feedback visivo è uno strumento utilizzato in ambito riabilitativo per effettuare un training della deambulazione mirato a ottenere una migliore simmetria del passo nei soggetti post stroke [3]. MATERIALI E METODI Obiettivo dello studio è stato quello di studiare come il feedback visivo possa migliorare la simmetria del passo e i parametri temporo-spaziali del cammino in un soggetto post-stroke. Un soggetto di 50 anni con emiparesi destra in esiti di stroke ischemico fronto-parietale-insulare sinistro e dei nuclei della base in fase subacuta è stato sottoposto a training della deambulazione con utilizzo di biofeedback visivo con Q-Walk (Figura 1) per due settimane (5 giorni/settimana, 30 min/giorno per un totale di 10 giorni di trattamento). Q-Walk è un dispositivo che si applica a livello tibiale bilateralmente e proietta un fascio luminoso sul terreno, regolabile a seconda della lunghezza del passo e in base al grado di rotazione dell’arto inferiore del paziente. Lo scopo dell’esercizio con Q-Walk è quello di raggiungere ad ogni passo il feedback luminoso proiettato sul terreno. Il soggetto è stato valutato con l’analisi cinematica del cammino (BTS S.p.A) prima del trattamento (T0) in condizioni standard e alla fine del trattamento (T1) sia senza che durante l’uso di Q-Walk. Tramite i dati ottenuti dalle analisi del cammino nelle diverse condizioni, è stato calcolato l’Indice di Simmetria (SI): SI = [(V paretico – V non-paretico) / 0.5 (V paretico + V non-paretico)] * 100% RISULTATI Dopo training con Q-Walk, il paziente ha mostrato un incremento della velocità media, della cadenza e della lunghezza del passo bilateralmente, sia durante l’utilizzo del biofeedback visivo, sia senza. E’ stato inoltre osservato un miglioramento della velocità di volo bilateralmente e un netto miglioramento dell’indice di simmetria a T1 dopo training, sia con utilizzo di Q-Walk, sia senza. CONCLUSIONI L’utilizzo del biofeedback visivo risulta essere un valido strumento per effettuare un training mirato al recupero di una migliore simmetria del passo nei pazienti con esiti di stroke. L’utilizzo dello stesso in due settimane di training del cammino ha permesso di ottenere non solo un miglioramento della simmetria del passo, ma anche un incremento della velocità del cammino, della cadenza e della velocità di volo. In quest’ottica, la facilità di utilizzo di Q-Walk rende possibile il suo impiego in differenti setting riabilitativi in modo altamente versatile ed efficace; saranno necessari futuri studi eseguiti su un più ampio campione di pazienti per confermare tali risultati. BIBLIOGRAFIA [1] Little VL et al. Gait asymmetry pattern following stroke determines acute response to locomotor task. Gait Posture. 0 [2] Bower K et al. Dynamic balance and instrumented gait variables are independent predictors of falls following stroke. J NeuroengRehabil. 2019. [3]Kim JS. Use of real-time visual feedback during overground walking training on gait symmetry and velocity in patients with post-stroke hemiparesis: randomized controlled, single-blind study. 2020.
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La valutazione della rappresentazione corporea dell’arto inferiore dopo intervento ortopedico
LA VALUTAZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE CORPOREA DELL’ARTO INFERIORE DOPO INTERVENTO ORTOPEDICO Rossella Pagani*, Silvia Conti*, Gianluca Concardi**, Fabrizio Gervasoni*, Luca Sanavia**, Antonino Michele Previtera* *Di.S.S., Università degli Studi di Milano – A.S.S.T. Santi Paolo e Carlo, S.C. Riabilitazione Specialistica, Ospedale San Paolo – Milano **KOS Group, Dipartimento di Riabilitazione Specialistica e Generale Geriatrica – Polo Geriatrico Riabilitativo, Cinisello Balsamo (MI) Introduzione La rappresentazione corporea è un concetto multidimensionale (1) che comprende diversi aspetti: lo schema corporeo (body schema), la descrizione strutturale del corpo (body structural description) e la semantica del corpo (body semantic o body image). Lo schema corporeo è la rappresentazione dinamica delle posizioni relative delle parti del corpo, che deriva da molteplici input sensoriali e interagisce con i sistemi motori nella genesi delle azioni(2). Un deficit dello schema corporeo, ovvero una rappresentazione errata del corpo, non consente la pianificazione e la corretta esecuzione di un’azione. Parsons (3) osservò che se si chiede di giudicare se una parte del corpo appartiene al lato destro o sinistro, si rappresenta mentalmente la propria parte del corpo nell’orientamento dello stimolo. Questa simulazione è possibile solo se si ha una rappresentazione interna del corpo sulla quale costruire l’immagine corporea, ovvero lo schema corporeo. Obiettivo di questo studio è verificare se una problematica emergente, quale un recente intervento di chirurgia ortopedica a carico di un arto inferiore, possa influenzare la rappresentazione interna dell’arto operato. Materiali e metodi È stato condotto uno studio osservazionale, con campionamento non probabilistico di tipo ragionato (convenience sampling). Sono stati inclusi 22 pazienti (13 F e 9 M, di età compresa tra 34 e 88 anni), [Gruppo 1], sottoposti a un recente intervento ortopedico all’arto inferiore (impianto di protesi articolare di anca o ginocchio o intervento di osteosintesi di femore), con punteggio al test MoCA non patologico. I risultati ottenuti dai pazienti sono stati confrontati con quelli di un gruppo di controllo, [Gruppo 2], composto da 22 soggetti sani, selezionati mediante campionamento “per quote”. Ciascun paziente è stato sottoposto alla Edimburgh Handedness Inventory per indagare la preferenza manuale, e a compiti di discriminazione destra/sinistra per l’arto inferiore (ginocchio e piede) utilizzando le Recognise App (NOI group). A ciascun paziente è stata mostrata una serie di foto della parte del corpo isolata sia su sfondo nero (Basic test), sia in un contesto reale (Context test). Per ogni prova sono state proposte dieci immagini con tempo massimo di esposizione di dieci secondi per ciascuna immagine. Al termine è stato chiesto a ciascun soggetto di spiegare la strategia utilizzata per il task proposto. I dati raccolti al test di discriminazione (tempi e accuratezza di risposta) sono stati analizzati in base all’età, alla scolarità, all’intensità del dolore (indagata con la scala NPRS) e al lato dell’intervento. Risultati Dall’analisi statistica è risultato che la rappresentazione corporea è influenzata dal processo di invecchiamento. Si è osservato che, nella terza età, i pazienti sottoposti a un recente intervento ortopedico, presentano un aumento dei tempi di risposta e una riduzione dell’accuratezza nelle prove di discriminazione destra/sinistra. Chi ha un livello di istruzione più elevato (diploma superiore o laurea) svolge meglio il compito di discriminazione destra/sinistra per l’arto inferiore, ma chi ha subito un recente intervento ortopedico è comunque meno accurato. Inoltre, per il ginocchio, i tempi di risposta dei pazienti operati sono risultati maggiori se presente dolore, in modo proporzionale all’intensità del dolore. In generale, i tempi di risposta per il lato operato sono risultati maggiori rispetto all’arto non operato. Discussione La condizione di un recente intervento chirurgico ortopedico può alterare lo schema corporeo dell’arto inferiore e può essere influenzata da fattori intrinseci (età, scolarità̀) o acquisiti (presenza di dolore). L’impostazione del trattamento riabilitativo dei pazienti con un deficit motorio conseguente a un intervento ortopedico dovrebbe tener conto non solo delle limitazioni articolari e dei deficit stenici a carico dell’arto operato, ma anche eventuali modificazioni della rappresentazione corporea che la patologia emergente potrebbe causare. Conclusione Affinchè l’esercizio riabilitativo sia efficace per il recupero motorio nel paziente con recente intervento chirurgico ortopedico, si deve tenere in considerazione un eventuale deficit di rappresentazione dello schema corporeo che l’intervento stesso potrebbe aver indotto. Bibliografia • Schwoebel J, Coslett HB. Evidence for multiple, distinct representations of the human body. J Cogn Neurosci. 2005 Apr;17(4):543-53. • Schwoebel J, Boronat CB, Branch Coslett H. The man who executed “imagined” movements: evidence for dissociable components of the body schema. Brain Cogn. 2002 Oct;50(1):1-16. • Parsons LM. Temporal and kinematic properties of motor behavior reflected in mentally simulated action. J Exp Psychol Hum Percept Perform. 1994 Aug;20(4):709-30.
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Case-report: un caso di grave scoliosi in giovane adulto
149 CASE-REPORT: UN CASO DI GRAVE SCOLIOSI IN GIOVANE ADULTO Rosa Battaglia (Medico Fisiatra ASP RG); A.Luca Bardaro (Tecnico Ortopedico CT); Sara Lanza (Medico Fisiatra ASP RG); Emiliano Frasca (Chinesiologo RG) INTRODUZIONE Il presente lavoro è un caso-studio riguardante un giovane adulto di 20 anni, con grave scoliosi adolescenziale dorso-lombare sinistro-convessa di 36 gradi Cobb, con curva di compenso dorsale dx 12 gradi, a Risser 5,diagnosticata accidentalmente 15 mesi fa, in seguito ad una radiografia della colonna effettuata perché il paziente lamentava lombalgia. Il ragazzo inoltre presentava inestetiche, a suo dire, asimmetrie del tronco, per migliorare le quali si era recato da un chinesiologo ad effettuare attività fisica adattata ed esercizi posturali. Proprio il chinesiologo ha suggerito al paziente la visita fisiatrica, accortosi che esisteva un problema maggiore alla colonna che andava inquadrato. Pur avendo il paziente superato l’età entro la quale vanno di solito effettuati i trattamenti ortesici, abbiamo ugualmente deciso di intraprendere un percorso ortesico e riabilitativo, condiviso in pieno dal ragazzo. Ci siamo ispirati ad uno studio di Negrini, Zaina e Donzelli, specialisti di ISICO, che nel 2022 hanno presentato, al Meeting annuale della SRS, svoltosi a Stoccolma, i risultati di una ricerca con 1104 pazienti, con Risser 3-4, età compresa tra 10 e 18 anni, e curve comprese tra 30 e 45 gradi Cobb, nei quali il trattamento ortesico con corsetto Sforzesco dava in quasi tutti un evidente miglioramento estetico. Sapendo che molti colleghi, nella loro esperienza clinica, hanno trattato con corsetto/gesso anche pz adulti, abbiamo voluto generalizzare i risultati degli specialisti ISICO. Obiettivo del trattamento pertanto è stato innanzitutto quello di ridurre le asimmetrie estetiche del tronco; in seconda battuta, di ridurre i gradi di scoliosi, allontanandoci, se possibile, dalla soglia dei 30 gradi, valore associato a peggioramento della curva in età adulta. MATERIALI E METODI Il paziente è stato valutato clinicamente e radiograficamente. Per la valutazione clinica, è stato valutato l’appiombo assiale e sono state effettuate misurazioni delle curve sagittali con metro e filo a piombo e calcolato il Sagittal Index; sul piano frontale sono state misurate le asimmetrie del tronco mediante il TRACE, che attribuisce un punteggio numerico alle differenze estetiche di spalle, scapole, fianchi ed emitorace. Inoltre sono stati misurati gli angoli di rotazione del tronco mediante Scoliometro di Bunnel. I punteggi più alti sono stati rilevati a livello dei triangoli della taglia (fianchi), e dei gibbi dorsale e lombare (ATR). Data la gravità della curva, l’età anagrafica e la rilevanza delle asimmetrie estetiche del tronco, è stato prescritto un corsetto super- rigido (lo Sforzesco), a tempo pieno (21h su 24h), per 1 anno, seguito da graduale svezzamento, per consentire la stabilizzazione del risultato. Il corsetto “SFORZESCO”, sviluppato dall’ISICO, nasce con l’intento di superare l’utilizzo del gesso, permettendo di ottenere risultati altrettanto efficaci verificati dalla ricerca scientifica. Questo modello di corsetto nasce dal concetto SPoRT (acronimo di simmetrico, tollerabile, rigido, tridimensionale, attivo). Dopo un mese di utilizzo dell’ortesi, è stata effettuata una radiografia in corsetto, in proiezione antero-posteriore, che mostrava un’ottima riduzione della curva (passava da 36 gradi a 10 gradi). E’ stato prescritto altresì un programma individuale di esercizi posturali, dapprima senza, poi con corsetto, a cura del chinesiologo che aveva inizialmente preso in carico il paziente, con il quale ci siamo interfacciati. RISULTATI Si tratta di un work in progress, ma i risultati ottenuti finora sono soddisfacenti; le prime radiografie in corsetto hanno mostrato un evidente miglioramento del quadro radiografico, riducendo la curva scoliotica da 36 gradi a 10, mentre sul piano clinico si è potuto riscontrare una riduzione dello strapiombo di bacino ( da + 36 mm a sx, a +22 mm a sx); al TRACE la misura del fianco ( l’asimmetria dei triangoli della taglia) è passata da 4 /4 a 2/4; gli angoli di rotazione del tronco hanno pure avuto una riduzione , sia a livello dorsale che lombare. L’ATR iniziale a livello dorsale era 6° con 14 mm di dislivello; a livello lombare 7°con 16 mm. Al controllo si era ridotto a 5°, 10mm dorsale e 3°, 8mm lombare. All’anno dall’arrivo del corsetto, il trattamento proseguirà con l’inizio dello svezzamento dallo stesso. CONCLUSIONI La nostra esperienza clinica con questo caso di scoliosi in giovane adulto, ci apre dei nuovi orizzonti sul trattamento delle scoliosi oltre il RISSER 5, quando facilmente si ritiene non ci sia più molto da fare, ed evidenzia la validità del corsetto Sforzesco nelle curve più gravi e rigide e nel modellamento estetico del tronco. Tuttavia è necessario valutare caso per caso: oltre alla gravità della curva, elementi importanti sono la motivazione e la compliance del paziente, senza i quali il trattamento è destinato a fallire. Naturalmente, sarà necessario perseguire studi di coorte per valutare la reale efficacia ed il rapporto costo-beneficio. BIBLIOGRAFIA: – BRACING IMPROVES CURVES AND AESTHETICS IN RISSER 3-4 ADOLESCENTS WITH 30° TO 45° CURVES. RETROSPECTIVE RESULTS FROM A COHORT OF 1104 CONSECUTIVE PATIENTS. Stefano Negrini M.D.; Fabio Zaina M.D.; Sabrina Donzelli M.D. 57th Annual Meeting Scoliosis Research Society – Stockholm – Linee Guida SOSORT 2016: Il trattamento ortopedico e riabilitativo della scoliosi idiopatica durante la crescita. – Linee Guida nazionali “Trattamento riabilitativo del paziente in età evolutiva affetto da deformità del rachide” . 21/05/2013
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Agopuntura nel dolore da cefalea e cervicalgia: impatto sulla limitazione nel funzionamento globale e sulla qualità di vita
Agopuntura nel dolore da cefalea e cervicalgia: impatto sulla limitazione nel funzionamento globale e sulla qualità di vita. Colonna S1, Sciumè L1, Rogliani R1, Giarda F1, Dalla Costa D1, Beretta G1 1. U.O. Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione, ASST GOM Niguarda, Milano Introduzione In letteratura l’agopuntura ha dimostrato un’efficacia sovrapponibile al trattamento farmacologico nel management della cefalea tensiva. (1) Benchè venga utilizzata nella pratica clinica, risultano ancora scarse le evidenze in merito all’efficacia dell’agopuntura nei trattamenti dei sintomi vasomotori correlati alla menopausa (vampate di calore). Una recente metanalisi ha evidenziato una maggior efficacia di questa rispetto a nessun trattamento. (2) In questo case report viene valutata l’efficacia della sola agopuntura nel trattamento del dolore (cefalea e cervicalgia), miglioramento del funzionamento globale e della qualità di vita percepita in una paziente in climaterio affetta da cefalea e cervicalgia. Materiali e Metodi Si espone un caso di cefalea tensiva e riacutizzazione di cervicalgia cronica con limitazione funzionale al rachide cervicale, entrambe riscontrate nella prima fase del climaterio, caratterizzata da sintomi vasomotori e insonnia. La paziente lamentava dolore in sede tempo-parietale monolaterale sinistra associato a ottundimento e confusione del pensiero comparso da circa un mese e trattato con un ciclo di FANS con parziale beneficio (NRS ridotto da 9/10 a 5/10). Alla valutazione si evidenziava contrattura lieve-moderata della muscolatura paravertebrale cervicale monolaterale sinistra, intensa dolorabilità alla spalla sinistra (corrispondenza con l’agopunto 21 VB), recente avvio verso il climaterio caratterizzato da vampate di calore diurne e notturne (circa 15/die) condizionanti risvegli. Il quadro clinico descritto è stato valutato secondo i principi della Medicina Tradizionale Cinese (MTC) considerando le caratteristica della lingua della paziente fino a formulare una diagnosi energetica: Cefalea con risalita di Yang di Fegato – Interessamento del movimento Legno – Sintomi ed esame della lingua compatibili con segni di Umidità e Catarri – Climaterio come fattore causale, in grado di produrre un deficit dello Yin di Rene- Deficit di Qi di Milza da cui dipende deficit di Sangue. Alla paziente sono stati proposte tre sedute di agopuntura, ognuna a 7-10 giorni dalla precedente. Sono stati trattati i seguenti agopunti: primo trattamento 21 VB – 3 F- 4 GI – 6M – 40 ST; secondo trattamento: 20 VG – 4 VC – 7 C – 6R – 62 VU – 36 ST; terzo trattamento: 20 VG – 7 C – 4 GI – 4 M – 36 ST. Le scale di valutazione utilizzate sono state: ICF Clinical Functioning Information Tool (ClinFIT), Neck Disability Questionnaire, Menopause-specific Quality of Life (MENQOL) Questionnaire e l’SF-36. La valutazione è stata condotta prima del primo trattamento e a fine trattamento. Risultati La paziente ha dimostrato un progressivo miglioramento clinico caratterizzato da risoluzione del dolore da cefalea e della limitazione funzionale al rachide cervicale, progressiva riduzione delle vampate di calore fino alla completa scomparsa del sintomo con conseguente miglioramento del riposo notturno. Al termine del trattamento , si è registrato un punteggio grezzo di 0 all’ ICF ClinFIT Set, per tutti I codici ICF in precedenza alterati (b130 Energy and drive functions – b134 Sleep functions – b280 Sensation of pain – b455 Exercise tolerance functions – b710 Mobility of joint functions – b730 Muscle power functions – d230 Carrying out daily routine – d240 Handling stress and other psychological demands – d640 Doing housework – d710 Basic interpersonal interactions – d850 Remunerative employment). Per il Neck Disability Questionnaire il valore percentuale di disabilità si riduceva da 18% a 5%. Anche nei domini alterati del Menopause-specific Quality of Life (MENQOL) Questionnaire si assisteva a una riduzione dei punteggi, più evidente per vampate di calore (da 5 a 0), sudorazioni notturne (da 6 a 1), sudorazione (da 5 a 1), difficoltà nel dormire (da 6 a 1) e dolore alla schiena, al collo o alla testa (da 4 a 1). Anche per la valutazione condotta con SF- 36 si evidenziava un miglioramento nei domini di: funzionamento fisico (da 85% a 95%), limitazioni correlati alla salute fisica (da 75% a 100%), energia/fatigue (da 60%a a 80%), dolore (da 57,5% a 77,5%), salute generale (da 65% a 85%) e modifica dello stato di salute (da 25% a 100%). Conclusioni La valutazione globale è pratica comune in ambito riabilitativo. Il caso clinico ha dimostrato coerenza tra il beneficio post-trattamento e la valutazione condotta secondo la MTC e le scale di valutazione con strumenti ICF, le scale di disabilità e qualità di vita. Il trattamento con agopuntura individualizzato sulla paziente ha portato ad un miglioramento globale del quadro clinico, delle funzioni corporee e della qualità di vita percepita, dimostrando che l’agopuntura può essere considerata un’opzione terapeutica non indirizzata al sintomo ma al miglioramento globale dello stato di salute e funzionamento del paziente. Bibliografia (1) Linde K, Allais G, Brinkhous B, et al.- Acupuncture for tension type headache – Cochrane Database Syst Rev 1: CD007587, 2009. (2) Dodin S, Blanchet C, Marc I, Ernst E, Wu T, Vaillancourt C, Paquette J, Maunsell E. Acupuncture for menopausal hot flushes. Cochrane Database Syst Rev. 2013 Jul 30;2013(7):CD007410. doi: 10.1002/14651858.CD007410.pub2. PMID: 23897589; PMCID: PMC6544807.
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Machine learning e sensoristica indossabile: supporto all’inquadramento diagnostico nella Malattia di Parkinson e Sindromi Parkinsoniane
MACHINE LEARNING E SENSORISTICA INDOSSABILE: SUPPORTO ALL’INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO  NELLA MALATTIA DI PARKINSON E SINDROMI PARKINSONIANE D’Ascanio I. 1, Palmerini L. 1,2 , Giannoni A.1 , Chiari L. 1,2 , Cortelli P. 3,4 , Lopane G. 3 1. Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione, Università degli Studi di Bologna 2. Centro Interdipartimentale Scienze della Vita dell’Università di Bologna (CIRI-SDV) 3. IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, Bologna, Italy 4. Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, Università degli studi di Bologna Introduzione La diagnosi differenziale tra Malattia di Parkinson (MP) e Sindromi Parkinsoniane (SP), può essere difficile, specie all’esordio. Le SP, quali la Paralisi Sopranucleare Progressiva (PSP) o l’Atrofia Multisistemica (MSA), sono patologie rare che possono presentare inizialmente un quadro clinico simile, ma l’evoluzione, il trattamento e la prognosi sono molto diversi [1]. Negli ultimi anni nella pratica clinica e nella ricerca sono stati introdotti test strumentali (es., Timed Up and Go, iTUG [2]) che tramite l’utilizzo di sensori indossabili inerziali sono in grado di fornire una valutazione oggettiva della risposta motoria alle levodopa (LD). Obiettivo L’obiettivo di questo studio è analizzare i dati ottenuti dal test iTUG combinati con i vari parametri clinici, per la creazione di un modello di machine learning che possa essere uno strumento di supporto alla diagnosi differenziale precoce tra MP e SP, necessario all’individuazione di strategie riabilitative mirate e precoci. Materiali e Metodi 94 pazienti (71 PD, 23 SP) sono stati reclutati per il monitoraggio cinetico dinamico della LD. • Risposta motoria della LD valutata mediante iTUG con singolo sensore posto a livello lombare ed eseguito prima (fase OFF) e 60 minuti dopo la somministrazione (fase ON). • Assorbimento del farmaco valutato analizzando i prelievi ematici • Pazienti valutati clinicamente attraverso MDS-UPDRS parte III, Hoehn and Yahr (H&Y) Le informazioni demografiche, cliniche, farmacologiche e motorie sono state utilizzate per addestrare un modello di machine learning per la classificazione automatica dei pazienti in base alla diversa diagnosi. • Dataset di training (70%) • Dataset di testing (30%) Risultati • L’età e la gravità dei sintomi sono risultati significativamente più elevati nei pazienti con SP (p<0.001). • La variazione percentuale mediana tra il punteggio UPDRS in stato OFF e di ON è migliore nei pazienti con PD (- 31%) rispetto ai pazienti con AP (- 12%). • Le prestazioni motorie sono risultate peggiori nei pazienti con SP, sia prima che dopo l’assunzione della levodopa. • Il modello di machine learning implementato ha mostrato un’accuratezza dell’82% e un punteggio F1 del 88% nel dataset di testing. Conclusioni Questa analisi preliminare mostra differenze quantitative nella risposta motoria al trattamento a base di LD in pazienti con MP e SP. I parametri iTUG estratti sono sensibili alla terapia farmacologica e alle due diverse popolazioni analizzate. Il modello implementato presenta una buona sensibilità, seppur addestrato su una popolazione ristretta e sbilanciata rispetto alle due classi considerate. L’analisi di un numero maggiore di pazienti e l’uso di diversi algoritmi di machine e deep learning potrà portare all’implementazione di un algoritmo di classificazione più accurato. L’utilizzo di questo stesso sistema di classificazione può fornire elementi preziosi per l’inquadramento diagnostico e la creazione di progetti riabilitativi specifici per il cammino per le diverse forme di malattia. Bibliografia [1] McFarland N.R., “Diagnostic Approach to Atypical Parkinsonian Syndromes”. 2016; Movement Disorders:1117-1142. [2] Ortega-Bastidas P., “Instrumented Timed Up and Go Test (iTUG) – More than assessing time to predict falls: a systematic review”, Sensors 2023; 23(7), 3426
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I parametri della terapia con onde d’urto extracorporee correlano alla compliance e ai risultati del trattamento nei pazienti con fascite plantare. Risultati di una meta-analisi e meta-regressione.
Introduzione La fascite plantare è una comune patologia muscolo-scheletrica, caratterizzata da dolore e compromissione funzionale [1,2]. La terapia con onde d’urto (Extracorporeal Shockwave Therapy – ESWT) ha riscosso un crescente interesse nel trattamento della fascite plantare [3], sia come ESWT focale (f-ESWT, che concentra l’energia su un punto o un bersaglio specifico), che come ESWT radiale (r-ESWT, che diffonde l’energia verso l’esterno man mano che raggiunge l’area bersaglio). Ciò nonostante, la regolazione ottimale del programma di ESWT è ancora dibattuta. Pertanto, questa revisione sistematica con metanalisi e meta-regressione mira a fornire una valutazione approfondita dell’efficacia e della tollerabilità della ESWT nella gestione della fascite plantare. Materiali e Metodi Nel febbraio del 2023, una ricerca sistematica è stata effettuata in cinque database (PubMed/Medline, Scopus, Web of Science, Cochrane Central Register of Controlled Trials e PEDro) per studi randomizzati controllati (randomized controlled trial – RCT), su pazienti adulti con fascite plantare trattati con ESWT. L’outcome primario era la tollerabilità della ESWT, misurata in base all’aderenza al trattamento, ai dropout e alla sicurezza in termini di eventi avversi. Gli outcomes secondari erano l’intensità del dolore e gli esiti funzionali. Sono state eseguite una metanalisi e una meta-regressione per esaminare la relazione tra le caratteristiche del protocollo ESWT ed i risultati del trattamento. La qualità degli studi inclusi è stata valutata utilizzando la scala Jadad e lo strumento Cochrane risk-of-bias (RoB2). PROSPERO: CRD42023409664. Risultati Undici studi hanno soddisfatto i criteri di inclusione e sono stati inclusi nell’analisi, per un totale di 1081 soggetti. Il numero dei partecipanti randomizzati a ricevere solo l’intervento di ESWT era 555 (516 a fine follow-up). L’età media dei partecipanti variava da 50,1 a 59,3 anni, il rapporto tra uomini e donne era di 407/611; l’Indice di Massa Corporea variava da 29,7 a 32,6 kg/m². La durata dei sintomi della fascite plantare variava da <3 mesi a 33,4 mesi. La r-ESWT è stata somministrata a 334 soggetti, mentre la f-ESWT a 306 soggetti. Gli interventi sono stati eseguiti sia come trattamenti singoli che all'interno di protocolli; i gruppi di controllo includevano: proloterapia, kinesiotaping, stretching, infiltrazioni di plasma ricco di piastrine e di corticosteroidi, terapia laser, ultrasuoni, fotobiomodulazione. La metanalisi ha dimostrato che la ESWT da sola è efficace nel ridurre l'intensità del dolore valutato mediante Visual Analogue Scale (VAS) [f-ESWT: -2,818 (SE 0,803, -4,393, -1,244; p < 0,0001; r-ESWT: -3,038 (SE 0,428, -3,878, -2,199; p < 0,0001)]. L'analisi di meta-regressione ha indicato una relazione positiva tra i parametri specifici della f-ESWT (frequenza, numero di impulsi e densità del flusso di energia) e r-ESWT (frequenza, numero di impulsi e pressione), l'intensità del dolore (tutti p < 0,05) e i dropout (tutti p < 0,05). La valutazione della qualità secondo la scala Jadad ha mostrato un'alta qualità per tutti gli RCT inclusi (n=11, 100%). Il rischio di bias valutato mediante RoB2 ha valutato 8 studi (72,73%) con alcune preoccupazioni, mentre 3 studi (27,27%) sono stati valutati a basso rischio. Conclusioni La ESWT sembra essere un trattamento tollerabile ed efficace per la fascite plantare, ma i parametri specifici della ESWT influenzano sia l'aderenza al programma di trattamento che i benefici sul dolore. Le caratteristiche del singolo paziente dovrebbero essere considerate per regolare in maniera ottimale i parametri di ESWT. Sono necessari ulteriori studi di alta qualità per stabilire il protocollo ESWT ideale nella gestione della fascite plantare. Bibliografia • Rhim HC, Kwon J, Park J, Borg-Stein J, Tenforde AS. A Systematic Review of Systematic Reviews on the Epidemiology, Evaluation, and Treatment of Plantar Fasciitis. Life (Basel). 2021;11(12). • Rabadi D, Seo S, Wong B, Chung D, Rai V, Agrawal DK. Immunopathogenesis, early Detection, current therapies and prevention of plantar Fasciitis: A concise review. Int Immunopharmacol. 2022;110:109023. • Roerdink RL, Dietvorst M, van der Zwaard B, van der Worp H, Zwerver J. Complications of extracorporeal shockwave therapy in plantar fasciitis: Systematic review. Int J Surg. 2017;46:133-45.
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Stimolazione elettrica funzionale adattativa kinesiterapica (afesk) nel training del cammino nel paziente affetto da lesione midollare: un case report
Valentina Gentile1, 2, Marco Battaglia1, 2, Lucia Cosenza1, 2, Lara Torgano1, 2, Marco Invernizzi1, 3, Alessio Baricich1, 2 1.Medicina Fisica e Riabilitativa, Dipartimento di Scienze della Salute, Università del Piemonte Orientale, Novara 2.SCDU Medicina Fisica e Riabilitativa, AOU “Maggiore della Carità”, Novara, Italia 3.Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione (DAIRI), Medicina Traslazionale, Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, Alessandria, Italy. STIMOLAZIONE ELETTRICA FUNZIONALE ADATTATIVA KINESITERAPICA (AFESK) NEL TRAINING DEL CAMMINO NEL PAZIENTE AFFETTO DA LESIONE MIDOLLARE: UN CASE REPORT Introduzione Paziente maschio, 54 anni, vittima di trauma stradale con fratture vertebrali D5-D8 e falda di ematoma epidurale D5-D7. Veniva sottoposto ad intervento neurochirurgico di stabilizzazione D3-D11. Successivamente, il paziente veniva ricoverato presso l’Unità Spinale dell’Ospedale di Novara per il trattamento riabilitativo intensivo. All’ingresso si rilevava quadro neuromotorio di paraplegia AIS incompleta D livello T4 con motilità accennata agli arti inferiori, deambulazione impossibile e passaggi posturali completamente dipendenti. La valutazione con PEM e PESS agli arti inferiori riportava lieve disturbo di conduzione motoria e sensitiva, maggiori all’arto inferiore destro. Il paziente avviava training del cammino con esoscheletro in sospensione di peso. A 4 mesi dalla lesione, all’arto inferiore destro si rileva flesso-estensione e abduzione-adduzione di anca, dorsi-plantiflessione di caviglia possibili in sgravio (MRC 2), flesso-estensione di ginocchio possibili contro gravità (MRC 3). L’arto inferiore sinistro presenta stenia con motilità possibile contro lieve resistenza in tutti i segmenti (MRC 4). Il paziente è funzionalmente autonomo nei passaggi posturali e nella percorrenza di tratti brevi con ausilio di deambulatore 4 ruote e AFO a destra, nei trasferimenti per lunghi tratti usa carrozzina. Lo schema del passo è caratterizzato da alterata clearance dell’arto inferiore destro in oscillazione conseguente a deficit della dorsiflessione di caviglia, iperestensione del ginocchio destro in fase terminale di appoggio e caduta dell’emibacino sinistro in fase di singolo appoggio a destra. Persiste facile affaticabilità nella marcia e necessità di elevato livello di attenzione nel controllo dell’arto inferiore destro in tutte le fasi del passo. Tali deficit inducono pattern di cammino compensatori e maladattativi con incremento del dispendio energetico, riduzione dell’efficienza della marcia, deficit dell’equilibrio e rischio di lesioni articolari al ginocchio. Pertanto, è necessario ricorrere a strategie terapeutiche dedicate. Recentemente si è posta sempre maggior attenzione nella stimolazione elettrica sia terapeutica che funzionale (FES) nel contesto di pazienti affetti da disabilità di origine neurologica. La recente letteratura suggerisce che l’associazione tra FES ed esecuzione o ideazione del gesto porti a maggiori fenomeni di neuroplasticità, e che vi sia una correlazione tra durata della seduta di trattamento e mantenimento degli effetti funzionali nel tempo. Obiettivo di questo case report è indagare l’eventuale riduzione dell’iperestensione di ginocchio in fase centro-terminale di appoggio e la riduzione della fatica nella deambulazione in relazione a training del cammino associato a Stimolazione Elettrica Funzionale Adattativa Kinesiterapica (AFESK). Materiali e Metodi L’intervento consiste nel cammino su treadmill associato a stimolazione elettrica erogata tramite il dispositivo VIK16 Workstation (VIKTOR Srl, Milano, Italia). Tale apparecchio agisce tramite la tecnica AFESK, erogando elettrostimolazione muscolare di intensità variabile su 16 canali (deltoide anteriore e posteriore, bicipite e tricipite brachiale, retto dell’addome, glutei, quadricipite femorale, paravertebrali, ischiocrurali). Per ogni gruppo muscolare coinvolto, lo stimolo elettrico può essere finemente regolato e viene erogato con timing adeguato alla fisiologica sequenza di attivazione, coerentemente alle relazioni sinergiche tra gruppi muscolari agonisti e antagonisti in ogni fase di esercizio. Al fine di innescare la stimolazione con timing adeguato il sistema prevede l’utilizzo di un accelerometro indossabile. Il paziente è stato sottoposto a cinque sedute di training del cammino su treadmill associato ad AFESK della durata di 30 minuti ciascuna a velocità 1,3 km/h. Le variazioni dell’angolo di iperestensione sono state valutate tramite videoregistrazione e la fatica è stata misurata con Scala BORG CR10. Risultati Dopo 5 sedute di trattamento si rileva una riduzione dell’iperestensione di ginocchio in fase terminale di appoggio, passata da +5° a -5°. Tale risultato persiste anche dopo il termine delle sedute di trattamento durante il cammino su suolo. Inoltre, il paziente riferisce minor impegno attivo nel controllo del ginocchio e minor affaticamento (BORG CR10: 1) durante il training con Viktor, rispetto al cammino su treadmill senza associazione di elettrostimolazione (BORG CR10: 4), a parità di tempo e velocità di marcia. Conclusioni Nel caso in esame, coerentemente con i dati presenti in letteratura, la stimolazione AFESK erogata con VIK16 risulta uno strumento valido per il training del cammino nel paziente affetto da lesione midollare incompleta. Tale strumento può essere utilizzato anche in associazione a sospensione di peso (completa o parziale) in caso le condizioni del paziente lo richiedano. L’esecuzione di studi randomizzati è necessaria per una migliore chiarificazione di queste implicazioni funzionali. Bibliografia Alessandro Scano, Robert Mihai Mira, Guido Gabbrielli, Franco Molteni and Viktor Terekhov. Whole-Body Adaptive Functional Electrical Stimulation Kinesitherapy Can Promote the Restoring of Physiological Muscle Synergies for Neurological Patients. Sensors 2022, 22 (4), 1443; DOI: 10.3390/s22041443 Matei Teodorescu, Marius-Nicolae Popescu, Luminiţa Dumitru, Mihai Berteanu. Approach to rehabilitation treatment of gait disorders in patients with genu recurvatum. Health, Sports & Rehabilitation Medicine Vol. 20, no. 2, April-June 2019, 79–84. DOI:10.26659/pm3.2019.20.2.79. Loredana Cavalli, Maria Elena Arcangeli, Angela Paladini, Roberto Riccioni and Giovanna Lazzeri. Importance of motor rehabilitation (R.I.C) in medullary lesions in chronic phase. Giusti Center, private Institute of Physical Medicine and Rehabilitation, Florence, Italy. Surg Case Rep Rev, 2019. Volume 3: 1-3. ISSN: 2516-1806. DOI: 10.15761/SCRR.1000134
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Crioterapia compressiva con glicole versus crioterapia compressiva con ghiaccio e crioterapia standard, nel trattamento in post acuto di pazienti sottoposti ad artroprotesi di anca e di ginocchio
Introduzione L’artroprotesi totale di ginocchio (PTG) e di anca (PTA) rappresentano un importante opzione nella gestione dell’osteoartrosi severa. Nonostante gli ottimi risultati a lungo termine di entrambe, l’immediato periodo postoperatorio è spesso associato a dolore, sanguinamento con ematoma, edema con conseguente riduzione della capacità di ampiezza del movimento. È stato dimostrato che la crioterapia1,2 fornisce un certo beneficio nel risolvere questi fattori, così come la crioterapia compressiva3 con l’utilizzo di acqua o ghiaccio veicolati tramite bendaggi anatomici. Questo studio si propone di esaminare il beneficio derivante da una crioterapia compressiva che utilizzi una tecnologia di raffreddamento terapeutico senza ghiaccio o acqua, ma con glicole raffreddanti atossiche precaricate, compressioni intermittenti e temperature controllabili. Tutto ciò per valutare se la sua applicazione possa determinare un maggiore miglioramento rispetto agli altri tipi di crioterapia nei confronti del controllo del dolore, del sanguinamento ed ematoma e dell’edema post chirurgico, permettendo una migliore omeostasi ed articolarità locale dell’arto operato. Materiali e Metodi Sono stati reclutati 42 pazienti, 21 con protesi di ginocchio e 21 con protesi di anca. Ognuno dei due gruppi è stato nuovamente diviso in tre: 7 sono stati trattati con la crioterapia compressiva con glicole, 7 tramite crioterapia compressiva con ghiaccio e 7 tramite la crioterapia locale applicata in superficie. I pazienti sono stati trattati e valutati nell’immediato periodo post-chirurgico (2 giorni +/-1 dopo l’intervento) (T1) e alla fine della crioterapia (T2) a seguito di un protocollo che prevedeva tre giorni di trattamento con applicazioni di 30 minuti a distanza di 6 ore. La scala VAS è stata utilizzata per valutare il dolore prima e dopo il trattamento, una valutazione centimetrica per il controllo del volume dell’edema, una valutazione fotografica per documentare gli effetti sull’ematoma intorno all’articolazione coinvolta ed infine è stata registrata la richiesta di antidolorifici al bisogno da parte del paziente al di fuori del consueto trattamento farmacologico. Risultati L’utilizzo della crioterapia compressiva con glicole ha dimostrato un migliore effetto sul controllo del dolore percepito dal paziente rispetto alla sola crioterapia locale ed anche rispetto alla crioterapia compressiva con ghiaccio, una significativa riduzione nella richiesta di antidolorifici al bisogno e una riduzione delle dimensioni dell’ematoma e del volume dell’edema che non è stata riscontrata con gli altri metodi presi in esame. Conclusioni La crioterapia compressiva con glicole può essere un valido alleato del medico riabilitatore e del fisioterapista nella gestione dei pazienti che hanno subito un intervento di protesi totale di anca e di ginocchio, nell’immediato periodo post operatorio, tramite un effetto analgesico, un aumento della microcircolazione locale e una diminuzione della rigidità dei tessuti. Tutto ciò riduce le difficoltà per il paziente ad intraprendere un percorso riabilitativo più rapido ed efficace possibile. Bibliografia 1Cryotherapy Treatment After Unicompartmental and Total Knee Arthroplasty: A Review. Morad Chughtai, Nipun Sodhi, Michael Jawad, Jared M Newman, Anton Khlopas, Anil Bhave , Michael A Mont. PMID: 28802778 DOI: 10.1016/j.arth.2017.07.016 2Efficacy of continuous local cryotherapy following total hip arthroplasty. Iwakiri K, Kobayashi A, Takeuchi Y, Kimura Y, Ohta Y, Nakamura H. SICOT J. 2019;5:13. doi: 10.1051/sicotj/2019010. Epub 2019 May 3. PMID: 31050337; PMCID: PMC6498864. 3Compressive cryotherapy versus cryotherapy alone in patients undergoing knee surgery: a meta-analysis. Song M, Sun X, Tian X, Zhang X, Shi T, Sun R, Dai W. Springerplus. 2016 Jul 13;5(1):1074. doi: 10.1186/s40064-016-2690-7. PMID: 27462522; PMCID: PMC4943919.
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Percezione dell’usabilità e della sicurezza nella riabilitazione con dispositivi robotici e realtà virtuale da parte dell’operatore: applicazione di un questionario dedicato in uno studio pilota
PERCEZIONE DELL’USABILITÀ E DELLA SICUREZZA NELLA RIABILITAZIONE CON DISPOSITIVI ROBOTICI E REALTÀ VIRTUALE DA PARTE DELL’OPERATORE: APPLICAZIONE DI UN QUESTIONARIO DEDICATO IN UNO STUDIO PILOTA Cira Fundarò, Michelangelo Bartolo, Silvia Traversoni, Antonio Nardone, Roberto Maestri, Chiara Ferretti, Giovanni Arbasi, Daniela Fantoni, Marco Nobile, Claudio Pluderi, Roberto Casale, Michelangelo Buonocore, Anna Giardini ICS Maugeri Istituti Montescano Pavia, Habilita Zingonia, Ciserano, Bergamo Introduzione L’efficacia di un intervento riabilitativo non è solo frutto della qualità del servizio offerto, ma anche dell’incontro relazionale tra operatore e paziente e delle caratteristiche personali dei soggetti coinvolti. L’introduzione di dispositivi robotici applicati alla riabilitazione ha aperto nuovi scenari negli interventi riabilitativi disponibili e nella relazione tra paziente-operatore-dispositivi. A nostra conoscenza, non esistono al momento in letteratura questionari strutturati specificatamente costruiti per valutare la percezione/valutazione dell’operatore nella riabilitazione con dispositivi robotici/tecnologici. Scopo dello studio è applicare un questionario di nostra formulazione dedicato alla percezione da parte degli operatori dell’applicazione di dispositivi tecnologici riabilitativi con realtà virtuale al fine di comprendere l’esperienza del terapista durante il programma riabilitativo motorio. Materiali e Metodi Si tratta di uno studio osservazionale pilota, multicentrico. Ha avuto una durata di 6 mesi durante i quali è stato somministrato un questionario dedicato agli operatori coinvolti nel trattamento riabilitativo con dispositivo tecnologico Lokomat® (Hocoma). Il trattamento riabilitativo è stato effettuato tre sedute a settimana per 6 settimane per 30 minuti (impostazione del training: allevio 50% peso, velocità del treadmill più gradita al paziente, applicazione di esercizi di realtà aumentata, forza guida 100% bilaterale). È stato applicato alla riabilitazione delle seguenti patologie: Malattia di Parkinson, ictus, mielolesioni. I centri dove è stato applicato il questionario sono il Centro ICS Maugeri di Montescano e il Centro Habilita di Zingonia. Alla fine del trattamento riabilitativo dei pazienti, l’operatore coinvolto nel training ha risposto al questionario. Il questionario è stato denominato Robot Aided Rehabilitation-Virtual Reality Impact on Health Care Professional (RAR-V-HCP); è uno strumento di valutazione multidimensionale progettato per valutare l’esperienza di un operatore in relazione all’attività riabilitativa con dispositivi robotici con realtà virtuale. È un questionario autosomministrato multi-item (7 item) a risposta chiusa secondo una scala Likert a 4 gradi volto ad indagare nell’operatore l’utilità, l’usabilità, la sicurezza, la soddisfazione, il ruolo della realtà virtuale e la possibilità da parte del dispositivo di fornire misure della prestazione motoria. Per l’operatore sono stati inoltre raccolti i seguenti dati: età, sesso, anzianità professionale. Risultati Gli operatori delle due Istituzioni, formati all’uso del dispositivo robotico, avevano i medesimi anni di esperienza con questo tipo di riabilitazione essendo stata introdotta nelle due strutture nello stesso periodo. Sono stati raccolti 32 questionari (13 da ICS Maugeri Montescano e 19 da Habilita Zingonia). L’età media degli operatori era di 35,2 (DS 9,1, range 23-51 anni). Gli anni di esperienza lavorativa nel campione di operatori valutati era 11,2 (DS 8,0, range 1-28 anni). I due gruppi di operatori erano omogenei per età ed anni di esperienza lavorativa (rispettivamente 36,8±9,2 e 12,4±8,3 per ICS Maugeri; 34,1±9,2 e 10,4±7,8 per Habilita Zingonia; età p=0,45; anni di esperienza p=0,54). La grande maggioranza degli operatori ha confermato l’utilità del dispositivo robotico per allenare il paziente (molto o abbastanza, 81%), ha avuto la sensazione di lavorare in sicurezza (molto o abbastanza, 100%), ha trovato piacevole fare utilizzare il dispositivo ai pazienti (molto o abbastanza, 94%), ha trovato cha la realtà virtuale sia un valore aggiunto (molto o abbastanza, 100%), ha trovato importante utilizzare il dispositivo come strumento di valutazione (molto o abbastanza, 91%), non ha trovato difficile spiegare al paziente l’utilizzo del dispositivo (poco o per niente, 91%) e non ha evidenziato difficoltà nei pazienti ad apprendere l’uso del dispositivo (poco o per niente, 84%). Non è stata osservata alcuna associazione tra le risposte al questionario e l’età e gli anni di esperienza lavorativa degli operatori (p>0,62 per tutte le risposte). Conclusioni Dai dati emersi da questo studio pilota sembra delinearsi che i dispositivi tecnologici/robotici per la riabilitazione siano universalmente ben accolti dai fisioterapisti indipendentemente dall’età anagrafica e dagli anni di esperienza e che invece sia la continuità d’uso ad essere un fattore più determinante nella percezione dell’usabilità e della sicurezza. Bibliografia -Boman IL, Bartfai A. The first step in using a robot in brain injury rehabilitation: patients’ and health care professionals’ perspective. Dis and rehabil Ass tech. 2015; 1085): 365-270. -Kang CG, Chung MH, Chang MC, Kim W, Do KH. Views of physiatrists and physical therapists on the use of gait training robots for stroke patients.2016. J Phys ther Sci 28: 202-206 -Fundarò C, Casale R, Maestri R, Traversoni S, Colombo R, Salvini S, Ferretti C, Bartolo M, Buonocore M, Giardini A. Technology Assisted Rehabilitation Patient Perception Questionnaire (TARPP-Q): development and implementation of an instrument to evaluate patients’ perception during training. J Neuroeng Rehabil. 2023 Mar 24;20(1):35.
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La pre-abilitazione nel paziente candidato a trapianto polmonare: presentazione di un caso clinico
DIPARTIMENTO MEDICINA FISICA E RIABILITATIVA USL TOSCANA CENTRO -PESCIA- La pre-abilitazione nel paziente candidato a trapianto polmonare: presentazione di un caso clinico Boni M, Falossi F, Ieri L, Gattai R, Lange S, Bertuccelli L, Lorenzini R, Lombardi B Introduzione: Il trapianto polmonare rappresenta una opzione terapeutica nel paziente affetto da patologie polmonari croniche alla stadio terminale come la BPCO, la fibrosi polmonare, la fibrosi cistica e l’ipertensione polmonare. L’inserimento di un paziente in lista d‘attesa per trapianto polmonare avviene a seguito di una complessa procedura che tiene conto di specifici criteri di inclusione e esclusione nonché il grado di urgenza del trapianto. Uno dei criteri per il mantenimento in lista d’attesa è la partecipazione a un programma di riabilitazione respiratoria. La letteratura infatti conferma l’importanza della pre-abilitazione, intesa come riabilitazione pre-operatoria nel paziente candidato a trapianto, come strategia per ridurre i sintomi respiratori, ridurre la disabilità, incrementare la qualità di vita. Tuttavia ancora oggi non sono presenti delle linee guida specifiche o dei protocolli standardizzati sulla pre-abilitazione nel trapianto polmonare. Scopo di questo lavoro è quello di presentare il caso clinico e il programma di pre-abilitazione di una paziente candidata a trapianto polmonare. Caso clinico: Donna di 59 anni. APR: polineuropatia prevalentemente motoria all’età di 15 anni. Malattia da reflusso gastro-esofageo. Piccole cisti epatiche, fibromatosi uterina. Ex fumatrice. Dal 2012 rilievo di BPCO severa tipo enfisema con cuore polmonare. Negli ultimi anni multipli ricoveri per insufficienza respiratoria e riacutizzazione di BPCO. Dal marzo 2018 in lista trapianto polmonare. Ad aprile 2020 pneumotorace spontaneo dx sottoposto a drenaggio pleurico. A dicembre 2021 la paziente giunge c/o nostro Day Service di Riabilitazione Respiratoria, su segnalazione del Centro Trapianti , in OTLT a 2L/min, in grado di deambulare senza ausili per tratti brevi, ipostenia diffusa, mMRC 5. Programma riabilitativo Il programma riabilitativo proposto ha avuto come obiettivi il miglioramento della tolleranza allo sforzo e della gestione dei sintomi respiratori, l’ottimizzazione della gestione della terapia farmacologica, il miglioramento della qualità di vita percepita. E’ stato eseguito un riadattamento fisico tramite attività a circuito con ripetute di cammino, tappeto ruotante, cicloergometro a braccia, tecniche di drenaggio bronchiale con pressione positiva e tosse guidata, individuazione ausili. A febbraio 2022 la distanza percorsa al test del cammino era di 220 m. A marzo 2022 il programma è stato interrotto per riacutizzazione necessitante di ricovero ospedaliero (7 giorni di degenza e dimissione con necessità di incremento dell’OTLT a 4 L/min e incremento della terapia corticosteroidea). Dopo 10 giorni dalla dimissione è stato ripreso il programma riabilitativo con progressiva riduzione della necessità di O2 (2L/min). Il programma è terminato a maggio 2022 ed è stato redatto un programma di autotrattamento domiciliare. Risultati: La paziente ha proseguito i controllo c/o Centro Trapianti e a giugno 2023 è stata sottoposta a trapianto polmonare. Al momento è ricoverata in struttura ad alta intensità riabilitativa. Appena possibile sarà nuovamente presa in carico dal nostro Day Service per valutazione e impostazione di un programma riabilitativo ambulatoriale. Conclusioni: Il trattamento riabilitativo respiratorio è importante nel ridurre i sintomi respiratori, ridurre la disabilità e più in generale incrementare la qualità di vita anche nel paziente candidato a trapianto polmonare. La pre-abilitazione è efficace nell’accompagnare il paziente al trapianto nelle migliori condizioni possibili, contribuendo al mantenimento in lista del candidato a trapianto ed è in grado di influenzare positivamente l’outcome post operatorio. Bibliografia: – M. Hoffman et al. Effects of pulmonary rehabilitation in lung transplant candidates: a systematic review. BMJ Open 2017;7:e013445 – L. Martino, E. Privitera. Raccomandazioni italiane sulla pneumologia riabilitativa. Evidenze scientifiche e messaggi clinico-pratici. Documento AIPO-ITS/ARIR. Capitolo13. Il trapianto polmonare. Rassegna di Patologia dell’Apparato Respiratorio 2022;37(suppl.1):S42-S45
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L’instabilità atlanto-assiale e l’aumentato rischio di tetraplegia nelle persone con sindrome di Down: case report
L’INSTABILITA’ ATLANTO-ASSIALE E L’AUMENTATO RISCHIO DI TETRAPLEGIA NELLE PERSONE CON SINDROME DI DOWN: CASE REPORT Gaia Harder1, Cecilia Perin1, Adriana Cassinis2, Michele Spinelli2 1 Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano Bicocca, 20126 Milano, Italia 2 Unità Spinale Unipolare, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, 20126 Milano, Italy. Introduzione L’instabilità atlantoassiale (IAA) si verifica in persone con sindrome di Down (SD) con una prevalenza del 10-20%. Si tratta di una condizione che provoca un aumento di mobilità della colonna cervicale a livello di C2 rispetto a C1 e può condurre ad una mielopatia sintomatica nell’1-2%, che si manifesta con impaccio motorio progressivo sino alla tetraplegia (1). Lassità legamentosa e ipotono muscolare, caratteristici della SD, contribuiscono ad aumentare la fragilità in caso di traumatismo cervicale. Si descrive in questo case report il caso di una donna affetta da SD portatrice di IAA esitata in tetraplegia e si presenta un progetto riabilitativo, la cui stesura è risultata particolarmente articolata e composita in un contesto così complesso. Materiali e Metodi D.D., f, aa 44, affetta da trisomia 21, viene ricoverata a gennaio 2023 in Unità Spinale in seguito ad un intervento di decompressione e stabilizzazione per dislocazione atlanto-assiale, condizionante una tetraplegia insorta gradualmente dall’11/2022. La decompressione è stata eseguita per via posteriore occipito cervicale, come da letteratura (2,3). La presa in carico riabilitativa è stata eseguita utilizzando il core-set per lesione midollare (LM) post-acuta della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF). Risultati Dal Profilo ICF (Core set spinal cord injury) sono stati estrapolati i codici maggiormente passibili di investimento riabilitativo. (Figura 1) Conclusioni Con questo case report si vuole: • evidenziare come la manifestazione di una lesione midollare possa essere subdola in pazienti con altra patologia preesistente e con problemi cognitivi (in questo caso SD), per l’insorgenza progressiva di deficit, inizialmente spesso sfumati e non conclamati e, pertanto, non presi in considerazione in tempi rapidi; • fare emergere le difficoltà nel definire il progetto riabilitativo individuale (PRI), in particolare per quanto riguarda le strutture e funzioni respiratorie, stante le tipiche alterazioni morfologiche; • discutere del ruolo del team e degli aspetti a maggior richiesta di esperienza; • ribadire l’importanza della prevenzione e della diagnostica precoce. La gestione di questa paziente e l’impostazione del PRI sono risultati particolarmente impegnativi per l’assenza di letteratura in merito. È importante sottolineare la necessità di reperire dati sulle LM in generale che siano più certi e affidabili, più confrontabili e globali e che possano essere utilizzati per la ricerca, per l’assistenza clinica e per le politiche sanitarie. Bibliografia Calota A, Feldman AG, Levin MF. Spasticity measurement based on tonic stretch reflex threshold in stroke using a portable device. Clinical Neurophysiology: Official Journal of the International Federation of Clinical Neurophysiology. 2008 Oct; 119(10):2329-2337. DOI: 10.1016/j.clinph.2008.07.215. Feldman, Anatol G. Referent control of action and perception. Challenging Conventional Theories in Behavioral Neuroscience (2015). Levin MF, Selles RW, Verheul MH, Meijer OG. Deficits in the coordination of agonist and antagonist muscles in stroke patients: implications for normal motor control. Brain Res. 2000 Jan 24; 853(2):352-69. DOI:10.1016/s0006-8993(99)02298-2. PMID: 10640634.
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Un raro caso di osteoporosi fratturativa e concomitante linfedema primario insorti in gravidanza
Introduzione L’osteoporosi associata a gravidanza e allattamento (PLO) rappresenta una rara entità patologica caratterizzata da riduzione della densità minerale ossea, talvolta complicata anche da fratture da fragilità (per lo più vertebrali) nel terzo trimestre gestazionale e nel primo periodo post-partum; diversi studi riportano casi riconducibili a osteoporosi gravidica, sebbene la patogenesi di tale condizione non sia completamente nota – ma verosimilmente associata ad alterazioni dell’assetto ormonale caratterizzanti tale periodo (1, 2). Più carenti sono i dati relativi a casi di linfedema primario slatentizzato durante la gestazione benché, anche in questo caso, gli ormoni sessuali risulterebbero implicati nel meccanismo trigger (3). In letteratura non sono descritti case report ove la coesistenza di osteoporosi conclamata e linfedema primario insorti in gravidanza potrebbe configurare una vera e propria sindrome. Materiali e Metodi Descriviamo il caso di una paziente di 38 anni, primipara, giunta alla nostra attenzione nel post-partum in seguito alla comparsa, durante la gravidanza, di edema all’arto inferiore sinistro esteso a piede e dita; cinque anni prima aveva riportato un episodio di linfangite a entrambi gli arti inferiori. La paziente ha altresì sviluppato un quadro di osteoporosi gravidica, complicata da cedimenti vertebrali multipli (D11, L1, L2, L3, L4) trattati con vertebroplastica. L’esame obiettivo ha evidenziato linfedema maggiore distalmente all’arto inferiore sinistro, squilibrio posturale con asimmetria dei triangoli della taglia e atteggiamento in anteposizione delle spalle. La somministrazione del questionario per la valutazione della disabilità secondo Ricci ha permesso di classificare il grado di disabillità della paziente in un range lieve-moderato. L’esame ecografico di cute e sottocute ha confermato la presenza di edema distale a livello malleolare e al dorso del piede sinistro, sfumato edema distale nel sottocute anche controlateralmente. La scintigrafia linfatica ha mostrato, a sinistra, severo rallentamento del drenaggio linfatico a riposo. Per quanto riguarda la diagnostica della fragilità ossea, la MOC DXA in sede femorale (scansione vertebrale non eseguibile per la presenza di cedimenti vertebrali a carico di tutti i metameri di riferimento) ha mostrato Z-score inferiore al range atteso per sesso ed età; la biopsia ossea eseguita durante la procedura di vertebroplastica non ha rilevato esiti patologici, così come un’ecografia addominale eseguita a complemento delle indagini. Risultati È stato impostato un Progetto Riabilitativo Individuale finalizzato al controllo della sintomatologia algica, alla correzione dell’asimmetria posturale, alla riduzione dell’edema e all’educazione terapeutica della paziente per la gestione domiciliare. Il programma riabilitativo individuale ha quindi previsto un ciclo di rieducazione motoria individuale, un ciclo di massoterapia per drenaggio linfatico degli arti inferiori associato a pressoterapia sequenziale e a bendaggio adesivo elastico + linfotape; sono inoltre stati prescritti tutori elastocompressivi a trama piatta (II classe a sinistra, I classe a destra). La paziente ha mostrato ottima compliance ai trattamenti riabilitativi proposti. Per quanto riguarda il trattamento della fragilità ossea, per il momento è stata impostata unicamente supplementazione con calcio e colecalciferolo data la giovane età della paziente; prevediamo comunque uno stretto follow-up finalizzato al costante monitoraggio della situazione e all’ottimizzazione delle terapie (anche farmacologiche). Conclusioni L’insolito riscontro di due rare condizioni patologiche slatentizzate contemporaneamente in corso di gravidanza impone un ulteriore approfondimento diagnostico al fine di escludere correlazione con quadri sindromici di origine genetica. Per quanto riguarda il trattamento, mentre nel caso del linfedema primario i protocolli adottati per il management di tale condizione sono consolidati, ciò non vale per l’osteoporosi gravidica; diverse opzioni farmacologiche sono infatti state proposte, sebbene molti fattori devono essere considerati per la scelta del trattamento migliore, in primis in termini di safety tenendo conto dei possibili effetti sul feto e dell’età fertile delle pazienti: si renderanno quindi necessari ulteriori studi per implementare solide raccomandazioni utili alla gestione della PLO in futuro. Bibliografia 1. Qian Y, Wang L, Yu L, Huang W. Pregnancy – and lactation – associated osteoporosis with vertebral fractures: a systematic review. BMC Musculoskelet Disord. 2021; 22: 926. 2. Lujano-Negrete AY, Rodríguez-Ruiz MC, Skinner-Taylor CM, Perez-Barbosa L, Cardenas de la Garza JA, García-Hernández PA, Espinosa-Banuelos LG, Gutierrez-Leal LF, Jezzini-Martínez S, Galarza-Delgad DA. Bone metabolism and osteoporosis during pregnancy and lactation. Arch Osteoporos. 2022; 17(1): 36. 3. Senger JLB, Kadle RL, Skorack RJ. Current Concepts in the Management of Primary Lymphedema. Medicina (Kaunas). 2023; 59(5): 894.
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La trombolisi sistemica come fattore prognostico nel recupero funzionale nei soggetti con ictus ischemico in fase post-acuta: uno studio osservazionale retrospettivo
La trombolisi sistemica come fattore prognostico nel recupero funzionale nei soggetti con ictus ischemico in fase post-acuta: uno studio osservazionale retrospettivo. Matteo Bertone1, Anita Botticelli1, Paola Pietropoli1, Lucia Scilanga1, Michelangelo Turazzini2, Valentina Maria Rubino1, Marta Fonzo1, Sara Liguori3, Irene Chignola1. 1 Dipartimento di Riabilitazione, UOC Recupero e Rieducazione Funzionale, Ospedale San Biagio di Bovolone (VR, Italia) 2 Dipartimento delle specialità mediche UOC Neurologia Ospedale Mater Salutis di Legnago (VR, Italia) 3 Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” Napoli. Introduzione Per i pazienti ricoverati a seguito di un ictus ischemico, la riabilitazione intensiva è raccomandata in fase subacuta, sebbene la trombolisi sistemica precoce migliori sensibilmente gli esiti funzionali, soprattutto se in presenza di deficit lieve (National Institutes of health Stroke Scale-NIHSS ≤ 5) [1-2]. Dal punto di vista riabilitativo, il grado di autonomia delle attività di vita quotidiana (AVQ) al momento del ricovero sembrerebbe essere il fattore prognostico più importante per stimare l’indipendenza funzionale nell’ictus ischemico in fase post-acuta [3]. Tuttavia, non è chiaro se la stessa trombolisi sistemica determini un ulteriore beneficio ai fini del recupero funzionale e dell’autonomia nelle AVQ nei pazienti sottoposti alla riabilitazione intensiva. Pertanto, lo scopo del nostro studio è stato determinare se il trattamento con trombolisi sia associato ad una migliore prognosi in termini di recupero delle AVQ dopo due mesi di riabilitazione intensiva rispetto ai soggetti che non hanno ricevuto trombolisi a causa dei criteri temporali. Materiali e Metodi Questo studio osservazionale retrospettivo ha incluso i dati di cartelle cliniche relative a soggetti affetti da ictus ischemico inizialmente ricoverati presso l’Unità Operativa Complessa (UOC) di Neurologia dell’Ospedale “Mater Salutis” di Legnago (VR) successivamente trasferiti presso l’UOC di Recupero e Rieducazione Funzionale (RRF) dell’Ospedale “San Biagio” Bovolone (VR) in regime di riabilitazione intensiva dal 2021 al 2022. L’outcome primario è stato valutare il grado di indipendenza nelle AVQ di base, tramite Barthel Index (BI), alla dimissione dalla UOC di Neurologia (T0) ed alla dimissione dalla UOC di RRF (T1). Outcome secondari sono stati la valutazione del recupero motorio tramite Motricity Index (MI) e dell’equilibrio e della andatura tramite Performance Oriented Mobility Assessment (POMA) al T0 e T1. Abbiamo diviso i soggetti in due gruppi: gruppo A (pazienti che hanno effettuato trombolisi), gruppo B (pazienti che non hanno effettuato trombolisi). Sono stati esclusi i soggetti con demenza. Risultati Abbiamo raccolto i dati relativi a 71 pazienti con età media di 70 11,30 anni e indice di Barthel medio di 29,99. Nel gruppo A abbiamo incluso 34 pazienti mentre nel gruppo B 37 pazienti. Dal confronto tra tempi, entrambi i gruppi hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo degli outcome primari e secondari tra il T0 ed il T1 (p<0.005). Nel confronto tra differenze ottenute agli outcome divise per i due gruppi, il gruppo B ha mostrato un miglioramento statisticamente significativo superiore al gruppo A nell’outcome MI-AASS (p<0.005). Conclusioni Il trattamento con trombolisi non sembrerebbe essere associato ad una modifica della prognosi in termini di recupero delle autonomie delle AVQ e del recupero motorio dopo due mesi di riabilitazione intensiva. Il nostro studio pertanto suggerisce che la riabilitazione intensiva può essere efficace nei sopravvissuti all'ictus con forte perdita di indipendenza nelle AVQ, indipendentemente dal trattamento di trombolisi. Bibliografia [1] National Institute for Health and Care Excellence. Stroke and transient ischaemic attack in over 16s: diagnosis and initial management. Apr 2022 [2] SISTEMA NAZIONALE LINEE GUIDA DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ. Terapie di rivascolarizzazione dell’ictus ischemico acuto. Linea guida pubblicata nel Sistema Nazionale Linee Guida. Roma, 13 gennaio 2023 [3] Wei-Chieh Chen, Ming-Yen Hsiao, Tyng-Guey Wang. Prognostic factors of functional outcome in post-acute stroke in the rehabilitation unit. Journal of the Formosan Medical Association 121 (2022); 670e678.
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Fattibilità di un programma riabilitativo multidisciplinare per pazienti con disabilità secondaria a mesotelioma pleurico maligno: uno studio pilota
FATTIBILITÀ DI UN APPROCCIO COMPLETO DI RIABILITAZIONE IN PAZIENTI CON MESOTELIOMA PLEURICO MALIGNO: UNO STUDIO PILOTA Lorenzo Lippi1,2, Arianna Folli1, Stefano Moalli1, Enrico Cavallo1, Cristina Di Tommaso1, Biagio Polla3, Alessandro de Sire4, Marco Invernizzi1,2 1 Medicina Fisica e Riabilitativa, Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, Novara 2 Medicina Traslazionale, Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione (DAIRI), Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, Alessandria 3 Dipartimento di Riabilitazione, Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, Alessandria 4 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro Introduzione Il mesotelioma pleurico maligno (MPM) è una neoplasia rara, con prognosi infausta, la cui incidenza è in aumento a causa del largo impiego di asbesto negli anni passati [1]. Ad oggi, il trattamento conservativo di prima linea consiste in una terapia combinata con inibitori della sintesi dei folati e composti del platino [2], mentre l’approccio chirurgico è mirato al controllo della sintomatologia invalidante [3]. In questo contesto, la riabilitazione ha un potenziale ruolo nel controllo dei sintomi e nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti con MPM. Tuttavia, non sono ad oggi disponibili studi che valutino la fattibilità e la sicurezza di un protocollo riabilitativo in un campione omogeneo di pazienti con MPM. Pertanto, l’obiettivo di questo studio pilota è stato valutare gli effetti di un programma individualizzato di riabilitazione polmonare sulla funzione fisica e respiratoria di pazienti affetti da MPM. Materiali e metodi È stato valutato un gruppo consecutivo di pazienti trattati chirurgicamente per MPM, afferenti al Servizio di Riabilitazione Cardiopolmonare dell’Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo tra marzo 2021 e febbraio 2023. Sono stati inclusi pazienti di età superiore ai 18 anni con diagnosi di MPM, sottoposti a pleurodesi e talcaggio o pleurectomia. Sono stati esclusi pazienti con un Karnofsky Performance Status inferiore al 60%, con controindicazioni assolute per l’attività fisica, con metastasi cerebrali o ossee. Lo studio è stato approvato dal comitato etico dell’Azienda Ospedaliera Nazionale SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, Alessandria (ASO.RiabCR.21.02; numero di protocollo: SAFE-MESO). Ai partecipanti è stato proposto un programma di riabilitazione multidisciplinare composto da counseling e terapia educazionale, fisiokinesiterapia e fisioterapia respiratoria. In particolare, la fisiokinesiterapia era composta da 3 sessioni domiciliari a settimana da 50-60 minuti (riscaldamento, esercizio aerobico, stretching e mobilizzazione articolare attiva). I pazienti sono stati supervisionati da un fisioterapista dedicato per le prime tre sessioni; è stato fornito un opuscolo illustrato a supporto delle sessioni condotte in autonomia. La fisioterapia respiratoria comprendeva training della muscolatura respiratoria, addestramento al corretto reclutamento parenchimale e alla corretta gestione delle secrezioni bronchiali, con l’ausilio del dispositivo Temporary Positive Expiratory Pressure (TPEP® ONE), due volte al giorno per 15 minuti (Figura 2). Le valutazioni sono state condotte all’avvio del programma (T0), a un mese (T1) e dopo 6 mesi, ovvero al termine del programma (T2). L’outcome primario era la fattibilità del programma di riabilitazione, sulla base del numero di persone che hanno abbandonato il programma, la sicurezza dell’intervento proposto e la scala dell’effetto globale percepito (GPE). Risultati Fra i 14 pazienti valutati, 12 soddisfacevano i criteri di inclusione e sono stati inclusi nello studio. Tra questi, 5 partecipanti hanno abbandonato lo studio a causa della revoca del consenso informato o peggioramento delle condizioni oncologiche (Figura 1). Dopo 6 mesi, 7 pazienti hanno completato lo studio e sono stati inclusi nell’analisi. Il campione era composto da 6 maschi e 1 femmina, con un’età media di 67±6 anni e un BMI medio di 26.05±5.04 kg/m2. Il tasso medio di aderenza al programma di fisiokinesiterapia è stato del 93,43% al T1 e dell’82,56% al T2. È stato registrato un tasso di aderenza più elevato nel programma di fisioterapia respiratoria, con il 96,2% delle sessioni completate al T1 e il 92,5% delle sessioni completate al T2. Non sono stati segnalati eventi avversi di rilievo; pochi gli effetti collaterali minori: tosse (T1: n= 2; T2: n= 4), vertigini (T1 n= 1) e dolore muscolare transitorio (T1: n= 1; T2: n= 1), con una media di effetti collaterali di 0,57±0,53 al T1 e 0,71±0,76 al T2. Il punteggio GPE al T1 era 1.83±1.17, indice di elevata soddisfazione, che si è mantenuta tale al T2 (punteggio GPE: 2±1.15). Conclusioni Il mesotelioma pleurico maligno (MPM) è una neoplasia rara, con prognosi infausta, la cui incidenza è in aumento a causa del largo impiego di asbesto negli anni passati [1]. Ad oggi, il trattamento conservativo di prima linea consiste in una terapia combinata con inibitori della sintesi dei folati e composti del platino [2], mentre l’approccio chirurgico è mirato al controllo della sintomatologia invalidante [3]. In questo contesto, la riabilitazione ha un potenziale ruolo nel controllo dei sintomi e nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti con MPM. Tuttavia, non sono ad oggi disponibili studi che valutino la fattibilità e la sicurezza di un protocollo riabilitativo in un campione omogeneo di pazienti con MPM. Pertanto, l’obiettivo di questo studio pilota è stato valutare gli effetti di un programma individualizzato di riabilitazione polmonare sulla funzione fisica e respiratoria di pazienti affetti da MPM. Bibliografia [1] Rossini M, Rizzo P, Bononi I, Clementz A, Ferrari R, Martini F, et al. New Perspectives on Diagnosis and Therapy of Malignant Pleural Mesothelioma. Front Oncol. 2018. [2] Santoro A OBM, Stahel RA, Nackaerts K, Baas P, Karthaus M, Eberhardt W, Paz-Ares L, Sundstrom S, Liu Y, Ripoche V, Blatter J, Visseren-Grul CM, Manegold C. Pemetrexed plus cisplatin or pemetrexed plus carboplatin for chemonaïve patients with malignant pleural mesothelioma: results of the International Expanded Access Program. J Thorac Oncol. 2008. [3] Scherpereel A, Astoul P, Baas P, Berghmans T, Clayson H, de Vuyst P, et al. Guidelines of the European Respiratory Society and the European Society of Thoracic Surgeons for the management of malignant pleural mesothelioma. Eur Respir J. 2010.
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Fattori predittivi e impatto della sepsi sul recupero riabilitativo: uno studio multicentrico
Fattori predittivi e impatto della sepsi sul recupero riabilitativo: uno studio multicentrico. Pietro Arcuri1, Elisa Cazzaniga2, Marco Iacobacci2, Jacopo Lanzone3, Margherita Alberoni1, Anna Bianchi1, Daniela Maria Cabrini1, Elena Calabrese1, Angela Comanducci1, Elisabetta Farina1, Francesco Marenco1, Jorge Solano Navarro1, Alessandro Viganò1. • IRCCS Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, Milano • Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Milano. • IRCCS Istituti Clinici Scientifici Salvatore Maugeri, Milano Introduzione Le infezioni ospedaliere, e in particolare le batteriemie sintomatiche o sepsi, rappresentano una frequente complicanza nella pratica clinica dei pazienti ospedalizzati nei reparti di riabilitazione intensiva. Con il termine sepsi si fa riferimento ad una massiva risposta sistemica ad una infezione severa, la cui incidenza oscilla tra i 50 e i 100 casi per 100000 abitanti nei paesi sviluppati. (1) Il ruolo della sepsi è stato ampiamente analizzato, in particolare per la sua importanza in termini di sopravvivenza o mortalità, nei reparti di terapia intensiva (2), e a questo riguardo è stata dimostrata l’efficacia di un trattamento riabilitativo precoce e individualizzato durante il decorso in terapia intensiva sulla durata della degenza (1). L’impatto che la sepsi riveste nei reparti di riabilitazione, tuttavia, come evidenziato dai pochi lavori presenti in letteratura, è stato poco analizzato, ad accezione degli studi condotti su pazienti con grave cerebrolesione acquisita (3). In setting riabilitativo, episodi sintomatici di shock settico causano un prolungamento dei tempi di degenza media e una riduzione del recupero riabilitativo (3) Tuttavia, anche le sepsi non associate a shock determinano un impatto sul paziente nel percorso riabilitativo, ma vi sono pochi dati sull’effetto di un’emocoltura positiva sull’outcome riabilitativo alla dimissione del paziente. Con il presente studio ci proponiamo di investigare questo argomento, ipotizzando che la presenza di un’emocoltura positiva durante il ricovero riabilitativo possa correlare negativamente con l’outcome riabilitativo, in termini di disabilità, misurata mediante la scala di Barthel modificata. Materiali e Metodi Sono stati analizzati i dati clinici relativi a tutti i pazienti ricoverati consecutivamente presso l’Unità Operativa di Neurologia Riabilitativa dell’IRCCS Santa Maria Nascente, Fondazione don Gnocchi di Milano e presso l’UO di Medicina riabilitativa neuromotoria dell’IRCCS Maugeri di Milano, da gennaio 2021 a dicembre 2022. Di ogni paziente sono stati isolati i dati demografici e quelli relativi alla presenza di sepsi, alla presenza e al numero di emocolture positive durante il ricovero (ad esclusione di quelle considerate contaminazioni, a giudizio dell’infettivologo) e al numero totale di giorni di antibioticoterapia effettuati. Per quantificare il percorso riabilitativo è stata usata la scala di Barthel modificata (BIM), sia come punteggio grezzo alla dimissione che come differenza tra la BIM alla dimissione e all’ingresso, come indice di miglioramento. Inoltre, abbiamo considerato il numero di neutrofili e linfociti ed il rapporto neutrofili/linfociti (NLR) all’ingresso, il rapporto neutrofili/linfociti alla prima infezione, l’eventuale colonizzazione ed eventuali comorbidità come possibili fattori di predizione dello sviluppo della sepsi. Test di comparazione e le analisi di correlazione tra gruppi sono stati eseguiti con test parametrici o non parametrici, a seconda del risultato dell’analisi di Shapiro-Wilk. Il test di Fisher o il Chi-quadro sono stati usati per le variabili categoriche. Il modello ANOVA per misure ripetute è stato usato per evidenziare differenze del decorso tra pazienti con e senza sepsi. Infine, un modello multivariato, costruito con la Discriminant Function Analysis (DFA), è stato utilizzato per valutare i predittori di sviluppo di sepsi. Risultati Abbiamo reclutato 189 pazienti nel corso di 12 mesi, di cui 113 uomini. L’età media è stata di 67,22 ±14,08. Le principali diagnosi di accettazione sono state ictus ischemico, polineuropatia, trauma cranico, mielopatia ed emorragia cerebrale tipica (che nel loro insieme rappresentavano i 2/3 di tutti i pazienti). Il punteggio BIM medio all’ingresso e alla dimissione è stato rispettivamente 35.22 ±23.76 e 65.42 ±28.19. Il delta di miglioramento tra ingresso è dimissione è stato di 30.20 ±23.57. Ventotto pazienti hanno presentato almeno un’emocoltura positiva durante la degenza (16 casi con un batterio MDR). I pazienti con sepsi hanno avuto un decorso peggiore con un punteggio BIM minore all’ingresso (17.28±16.46 vs. 38.35±23.49) e un punteggio BIM minore alla dimissione (38.89 ±29.75 vs. 70.04±25.29). rispetto a quelli senza (F[1, 187]=4.45, p=0.036). Abbiamo trovato una correlazione negativa tra il numero dei giorni di terapia antibiotica e, rispettivamente, il punteggio BIM all’ingresso (R=-0.29, p<0.0001), alla dimissione (R=-0.36, p<0.000001), il delta BIM (R=-0.23, p=0.001), e una correlazione positiva con i giorni di ospedalizzazione (R=0.25, p<0.001). Il punteggio BIM all’ingresso ha correlato negativamente con il NLR (R=-0.20, p=0.0057). LA DFA ha prodotto un modello in cui in ordine decrescente la BIM in ingresso, il genere maschile, il numero di neutrofili all’ingresso, la diagnosi eziologica (con lo stroke ischemico come fattore di rischio principale), e la presenza di colonizzazione predicono lo sviluppo di sepsi (F(5,182)=6.285, p<0.00001), con un’accuratezza dell’ 85%. Conclusioni Le sepsi sembrano non solo condizionare l’outcome riabilitativo, causando un peggioramento della funzionalità globale, espressa in punteggio alla scala di Barthel modificata alla dimissione, ma sembrano svilupparsi in determinati pazienti con fattori di rischio identificabili all’ingresso (sesso maschile, basso BIM, colonizzazioni, diagnosi di stroke ischemico). L’impatto delle sepsi sul recupero è stato direttamente proporzionale ai giorni di terapia antibiotica. L’alterazione di indici come i neutrofili e il NLR potrebbe aiutare a identificare una disregolazione dell’assetto immunitario di questi pazienti. Bibliografia 1.Sakai Y, Yamamoto S, Karasawa T, Sato M, Nitta K, Okada M, Takeshige K, Ikegami S, Imamura H, Horiuchi H. Effects of early rehabilitation in sepsis patients by a specialized physical therapist in an emergency center on the return to activities of daily living independence: A retrospective cohort study. PLoS One. 2022 Mar 31;17(3):e0266348. doi: 10.1371/journal.pone.0266348. PMID: 35358285; PMCID: PMC8970360. 2.Ferré C, Llopis F, Martín-Sánchez FJ, Cabello I, Albert A, García-Lamberechts EJ, Del Castillo JG, Martínez C, Jacob J. The utility of the Barthel index as an outcome predictor in older patients with acute infection attending the emergency department. Australas Emerg Care. 2022 Dec;25(4):316-320. doi: 10.1016/j.auec.2022.03.003. Epub 2022 Apr 6. PMID: 35398013. 3.Bellaviti G, Balsamo F, Iosa M, Vella D, Pistarini C. Influence of systemic infection and comorbidities on rehabilitation outcomes in severe acquired brain injury. Eur J Phys Rehabil Med. febbraio 2021;57(1):69–77.
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Nascere con linfedema: la gestione di un neonato con linfedema congenito primario.
Nascere con linfedema: la gestione di un neonato con linfedema congenito primario. Ariani G.1, Oldani F.1, Bonfadini Bossi C.1, Giarda F.2, Ciriolo S.2 , Beretta G.3 1 Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Milano 2 U.O. di Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione, ASST GOM Niguarda, Milano 3 Direttore U.O. di Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione, ASST GOM Niguarda, Milano INTRODUZIONE Il sistema linfatico è costituito da una rete di vasi dotati di strutture valvolari. La linfa origina nei capillari linfatici grazie ad un meccanismo di riassorbimento dei fluidi interstiziali. Un inadeguato drenaggio della linfa dai tessuti è responsabile della comparsa di linfedema, una patologia cronica a carattere evolutivo. Questo può essere: primitivo, secondario o parte di espressione di una sindrome (es. S. di Hennekam, S. di Klippel-Trenaunay). Il linfedema primitivo, a sua volta, può essere classificato in base all’età di comparsa in: congenito (LCP) se esordisce prima dei 2 anni (10% dei casi) (1), a esordio precoce se compare tra i 2 e i 35 anni (80%) o a esordio tardivo se compare dopo i 35 anni (10%). Questa patologia interessa principalmente il sesso femminile. Può colpire uno o entrambi gli arti inferiori (80%) e, meno frequentemente, un arto superiore, il viso o i genitali esterni. L’esordio è in genere distale. Tra le cause del LCP troviamo mutazioni del gene VEGFR3, sporadiche o ereditarie. Il sospetto è clinico, mentre la conferma diagnostica si basa sui risultati ottenuti alla linfoscintigrafia. Le possibili complicanze sono la trasformazione della componente linfatica in tessuto fibrotico, dato il suo alto contenuto di proteine e grassi (2), e le linfangiti, entrambi possibili cause di disabilità. Il LCP può, in alcuni casi, essere associato a versamento pleurico e tamponamento cardiaco fin dalla età gestazionale, con conseguente sviluppo di idrope fetale (3). In questo case report viene valutata l’efficacia del programma riabilitativo proposto a una neonata di soli 3 anni a cui è stata posta diagnosi di LCP. MATERIALI E METODI Presentiamo il caso di C., nata a termine da parto eutocico. A 20 settimane di gestazione veniva operata di shunt toraco-amniotico per comparsa di idrope fetale non immune, associato a versamento pleurico, deviazione mediastinica, peritoneale e sottocutanea ed edema degli arti inferiori. La successiva analisi genetica risultava positiva per una variante del gene VEGFR3. Alla nascita: parametri auxologici regolari, edema degli arti inferiori e displasia congenita dell’anca. Dopo aver escluso le possibili diagnosi alternative, si poneva diagnosi di LPC. Nel corso dei primi 3 anni la bambina ha acquisito fisiologicamente tutte le tappe dello sviluppo neuromotorio. Giungeva, quindi, alla nostra attenzione. All’E.O. in ingresso: linfedema distale degli arti inferiori bilaterale, colorito e termotatto normali, consistenza lievemente aumentata a destra (mostrato nella Figura 2 e 3). I risultati della misurazione centimetrica (eseguita ogni 5 cm, invece degli abituali 10 cm) sono riportati in Tabella A. Dopo valutazione fisiatrica è stato impostato un trattamento riabilitativo intensivo con un approccio multidisciplinare finalizzato a ridurre l’edema, prevenire le complicanze, preservare le abilità motorie ed educare i genitori. La paziente è stata sottoposta quotidianamente per un numero totale di 12 sedute a bendaggi multistrato con bende all’ossido di zinco e cumarina e drenaggio linfatico manuale, seguiti da una fase di mantenimento con uso di tutori elastocompressivi di seconda classe , a trama piatta su misura (mostrati nella Figura 1) . RISULTATI I trattamenti sono stati ben tollerati. La paziente ha mostrato un progressivo miglioramento clinico con riduzione graduale della circonferenza di coscia, ginocchio, gamba, caviglia e piede, bilateralmente (vedi Tabella A). A completamento è stato prescritto un tutore elastocompressivo su misura. CONCLUSIONI Il LPC è una patologia con possibile impatto sullo sviluppo motorio e psicologico del bambino. La presenza di una variante genetica conferma la predisposizione allo sviluppo della malattia. La cronicizzazione del linfedema rende la persona più suscettibile allo sviluppo di complicanze, con conseguente maggior rischio di disabilità. I risultati ottenuti con una precoce presa in carico riabilitativa hanno dimostrato l’efficacia di un trattamento riabilitativo multimodale e personalizzato fin dal primo periodo post-natale. Bibliografia (1) Depairon M, Lessert C, Tomson D, Mazzolai L. Lymphœdème primaire [Primary lymphedema]. Rev Med Suisse. 2017 Dec 6;13(586):2124-2128. (2) Irrthum A, Karkkainen MJ, Devriendt K, Alitalo K, Vikkula M. Congenital hereditary lymphedema caused by a mutation that inactivates VEGFR3 tyrosine kinase. Am J Hum Genet. 2000 Aug;67(2):295-301. (3) Daniel-Spiegel E, Ghalamkarpour A, Spiegel R, Weiner E, Vikkula M, Shalev E, Shalev SA. Hydrops fetalis: an unusual prenatal presentation of hereditary congenital lymphedema. Prenat Diagn. 2005 Nov;25(11):1015-8.
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Uno studio per valutare se l’affaticamento rappresenta un fattore di rischio per la rottura del legamento crociato anteriore
UNO STUDIO PER VALUTARE SE L’AFFATICAMENTO RAPPRESENTA UN FATTORE DI RISCHIO PER LA ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE Clara Gallinari, Nicola De Blasi1, Andrea Bruzzone1, Nicolò Paiaro1, Paolo Carucci1, Luca Meloni1, Manuela Bartesaghi, Cesare Maria Cornaggia1, Cecilia Perin1, Cristiano Alessandro2 Introduzione L’eziopatogenesi della lesione al legamento crociato anteriore (LCA) è multifattoriale, dovuta all’interazione tra fattori di rischio modificabili e non(1,2,3). Tra i fattori di rischio modificabili viene riconosciuta la fatica: è stato ipotizzato che il soggetto affaticato abbia una riduzione della forza muscolare con conseguente modifica delle strategie motorie che potrebbero aumentare il carico sul LCA (1). Materiali e Metodi È stata eseguita la revisione di articoli che analizzano le dinamiche nella lesione del LCA, evidenziandone i principali fattori di rischio. Sono state identificate in particolare le strategie motorie associate ad un maggiore carico al legamento. È stato ricercato attraverso una revisione della letteratura se la fatica influenzasse in maniera significativa le strategie motorie analizzate, trovando poca coerenza fra gli studi. Viste le limitazioni riscontrate all’interno di questi studi, si è promosso un progetto di ricerca che possa evidenziare se l’affaticamento rappresenti o meno un fattore di rischio per la lesione del LCA.

Risultati Principali fattori di rischio cinetici e cinematici per la rottura del LCA: • maggiore estensione del ginocchio in fase di spinta/atterraggio; • eccessivi momenti di abduzione al ginocchio. • aumento della forza di reazione al suolo e l’eccessiva attivazione del quadricipite e del gastrocnemio (1,3). La letteratura esaminata ha mostrato risultati discordanti sull’influenza della fatica sulle strategie motorie, dovuta presumibilmente alla mancanza di standardizzazione dei protocolli di affaticamento in relazione al fitness dei partecipanti (1,3). Per superare queste limitazioni, è stato redatto un protocollo sperimentale suddiviso in due fasi: • Identificazione del livello di fitness del partecipante tramite test da sforzo cardiopolmonare con conseguente individuazione della soglia anaerobica; • Valutazione dei fattori di rischio biomeccanici associati alla lesione del LCA durante l’esecuzione di movimenti, prima e dopo una sessione di affaticamento su cicloergometro a potenza costante, modulata rispetto alla soglia ventilatoria precedentemente identificata (110% della potenza alla soglia).   I movimenti vengono monitorati tramite un sistema di motion capture, due pedane di forza e 16 sonde elettromiografiche bipolari, e consistono nei seguenti compiti motori: • Cambi di direzione: i soggetti corrono frontalmente ed eseguono un cambio di direzione di 45 gradi;  • Single leg drop jump (SLDJ): i soggetti si lasciano cadere da uno scalino con un solo piede di appoggio e, atterrando, eseguono un salto verticale massimale;  • Single leg hop for distance (SLHD): i soggetti eseguono un salto monopodalico massimale in direzione orizzontale.  • Stabilometria: I soggetti mantengono l’equilibrio su un solo piede a occhi chiusi. Conclusioni L’obiettivo è valutare se il soggetto affaticato esibisca: • un’aumentata estensione di anca e ginocchio; • un aumentato momento di abduzione del ginocchio (valgismo); • maggiori forze di reazione al suolo. Similmente, si valuta se l’affaticamento causi un aumento dell’attività del quadricipite e/o del gastrocnemio, muscoli antagonisti al LCA. Scopo finale del progetto è l’individuazione di strategie di allenamento e ripristino funzionale applicabili al progetto riabilitativo individuale che possano permettere all’atleta un recupero ottimale e un ritorno all’attività sportiva in sicurezza.  Bibliografia • Is Fatigue a Risk Factor for Anterior Cruciate Ligament Rupture?- Matthew N. Bourne et al. • Understanding and preventing ACL injuries: Current biomechanical and considerations-update 2010 – Timothy E Hewett et al. • Biomechanical Measures of Neuromuscular Control and Valgus Loading of the Knee Predict Anterior Cruciate Ligament Injury Risk in Female Athletes A Prospective Study – Timothy E Hewett et al.
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L’applicazione delle linee guida ICS nel trattamento dell’incontinenza urinaria mista nella donna: un caso clinico
L’APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA ICS NEL TRATTAMENTO DELL’INCONTINENZA URINARIA MISTA NELLA DONNA: UN CASO CLINICO E. Cremona1, A. Vetere1, A. Robecchi Majnardi1 e.cremona@auxologico.it 1 IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative, Milan, Italy Introduzione L’incontinenza urinaria (I.U.) femminile è un problema molto diffuso con ripercussioni importanti sulla qualità di vita delle donne che ne soffrono. I dati epidemiologici, per quanto variabili, mostrano una prevalenza maggiore nella popolazione femminile over 65 con valori attorno al 50%. Le recenti linee guida ICS – International Continence Society indicano come approccio di prima linea quello conservativo e sottolineano l’importanza di un trattamento multimodale che affianchi la riabilitazione a interventi di modifica dello stile di vita e all’eventuale terapia farmacologica.1 Questo caso clinico si propone di confermare l’applicabilità dell’algoritmo per la presa in carico della paziente attuando il contenuto delle linee guida. Materiali e Metodi La paziente è una donna di 68 anni con una diagnosi di incontinenza urinaria mista. Accede nel giugno 2023 all’ambulatorio di riabilitazione vescico-sfinterica con prescrizione medica specialistica. STORIA Il problema di incontinenza è insorto nel 2018 a seguito di un intervento di cistopessi per cistocele manifestandosi con sintomi di urgenza, per cui ha effettuato terapia con Solifenacina con relativo beneficio. Nel 2020 si sono associati sintomi da sforzo con peggioramento del quadro clinico. In anamnesi due parti vaginali di cui il primo operativo con manovra di Kristeller e lacerazione spontanea del perineo. VALUTAZIONE CLINICA Al momento della presa in carico presentava quotidiani episodi di incontinenza di media/grave entità per cui utilizzava sempre presidi assorbenti. Gli episodi di incontinenza sono conseguenti sia ad urgenza sia a sforzo (i.e. tosse, starnuto, sforzi fisici). Il diario minzionale mostrava una frequenza minzionale aumentata (8/10 diurne, 0/1 notturna), inoltre riferiva difficoltà ad evacuare: tempi prolungati e importante utilizzo del torchio addominale. Il residuo vescicale post minzione misurato con scanner vescicale era di 30ml. Sono stati somministrati l’International Consultation on Incontinence Questionnaire-Urinary Incontinence Short Form (ICIQ-UI SF) per la frequenza e la severità dell’I.U. (punteggio di 16/21) e l’International Consultation on Incontinence Questionnaire Lower Urinary Tract Symptoms Quality of Life (ICIQ-LUTSqol) per l’impatto sulla qualità di vita (punteggio di 58/76). Alla valutazione funzionale si osservano: assenza di guarding reflex al colpo di tosse con stress test negativo e assenza di descensus. Al testing perineale muscolare (Artibani et al.1996) effettuato per via vaginale, ottiene un punteggio di 5/9 con riduzione in particolare dell’endurance (2-5s). Buona isolabilità della contrazione della muscolatura perineale, rilassamento post contrazione completo. Si segnala: difficoltà a coordinare lo sforzo con la respirazione e debolezza della muscolatura addominale. MANAGEMENT La paziente ha eseguito una prima seduta di valutazione e 7 successive sedute di trattamento di 45’ ciascuna, inizialmente con cadenza bi-settimanale e poi, con il miglioramento del quadro clinico, mono-settimanale. Il trattamento ha incluso: applicazione di Transcutaneous Tibial Nerve Stimulation (TTNS)2 per i sintomi di urgenza, esercizi di propriocezione per la muscolatura pelvica con biofeedback3 elettromiografico, esercizi di rinforzo della muscolatura del pavimento pelvico con carichi progressivi, esercizi di rinforzo della muscolatura addominale e del core, esercizi di coordinazione respiratoria ed interventi educazionali rispetto alla corretta modalità di minzione, defecazione ed assunzione dei liquidi. In più alla paziente sono stati assegnati degli esercizi da svolgere a domicilio quotidianamente per circa 30’. Risultati La paziente ha effettuato otto sedute in sei settimane. A partire dalla quarta seduta non ha riferito alcun episodio di incontinenza per cui ha abbandonato progressivamente i presidi assorbenti. I sintomi di urgenza sono scomparsi e si è ridotta la frequenza minzionale (6 minzioni diurne). Viene riferito un miglioramento nella gestione dell’evacuazione in termini di tempo e necessità di spinta. Il punteggio del ICIQ-UI SF è stato di 0/21 e quello dell’ICIQ-LUTSqol di 20/76 dove per entrambi una riduzione del punteggio è indice di miglioramento. Al testing perineale finale ha ottenuto 7/9 con un aumento dell’endurance a 5s. La paziente riferisce inoltre, di aver ripreso fiducia in sé stessa e non ritiene più di dover limitare in alcun modo le sue attività per il problema di I.U. Conclusioni Questo caso clinico sembra dimostrare l’importanza di un approccio riabilitativo multidimensionale secondo le recenti linee guida dell’ICS, nel trattamento dell’incontinenza urinaria mista nella donna. La corretta applicazione dell’algoritmo ha due vantaggi: guida il professionista nella presa in carico e nella gestione della paziente e, con la creazione di un percorso incentrato sulla persona, favorisce l’adesione della paziente al percorso riabilitativo. Bibliografia • Booth, J., Cacciari, L., Campbell, P., Dumoulin, C., Hagen, S., Homsi, J., Morin, M., Marked, S., Nahon, I., Pang, R., Panicker, J., Vesentini, G., Wallace, S., & Yamanishi, T. (2023). Conservative management of UI and POP in adults including neurological patients. In L. Cardoza, E. S. Rovner, A. S. Wagg, & A. J. Wein (Eds.), Incontinence (7th ed., Vol. 1). International Continence Society. • Sayner, A.M., Rogers, F., Tran, J., Jovanovic, E., Henningham, L., Nahon, I. Transcutaneous Tibial Nerve Stimulation in the management of overactive bladder: A Scoping Review. Neuromodulation. 2022 Dec;25(8):1086-1096. • Alouini, S., Memic, S., Couillandre, A. Pelvic floor muscle training for urinary incontinence with or without biofeedback or electrostimulation in women: A Systematic Review. Int J Environ Res Public Health. 2022 Feb 27;19(5):2789.
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Percorso riabilitativo di una paziente pediatrica con sindrome infiammatoria multisistemica (MISC) post Covid19 case report
51° Congresso Nazionale SIMFER La riabilitazione tra passato, presente e futuro. Chi eravamo, chi siamo, chi vorremmo essere. 12-15 Ottobre 2023 Percorso riabilitativo di una paziente pediatrica con sindrome infiammatoria multisistemica (MISC) post Covid19: case report 
Federica Pauciulo1, Emanuela Tavernese2, Enrico Castelli2, Donatella Lettori2, Barbara Latini2, Antimo Moretti1 
1 Department of Medical and Surgical Specialties and Dentistry, University of Campania “Luigi Vanvitelli”, Italy 
2 Area clinica <>, U.O.C. di Neuroriabilitazione, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Introduzione La sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica (MIS-C) da Sars-Cov2 è una malattia diffusasi con l’avvenire della variante Omicron. Secondo i criteri del CDC statunitense (età <20 anni, febbre ≥38°C per ≥ 24ore, aumento degli indici infiammatori, necessità di ricovero ospedaliero ed esclusione di altre cause infettive) i pazienti MIS-C presentano un coinvolgimento multisistemico (≥2 sistemi: cardiaco, renale, respiratorio, ematologico, gastrointestinale, dermatologico, neurologico). I bambini con MIS-C hanno un’età compresa tra 1 e 19 anni con maggior frequenza tra 5 e 13 anni. Il 60% dei pazienti segnalati è di sesso maschile. L'età media è di 9 anni. (1) Nella maggior parte dei casi i pazienti affetti da MIS-C sono trattati con immunoglobuline per via endovenosa, di solito utilizzate per i pazienti con Sindrome di Kawasaki. Altri trattamenti riguardano l’uso di agenti biologici come anakinra, glucocorticoidi e.v., terapie anti-interleuchina 6 e inibitori del fattore di necrosi tumorale. (2) Il case report riguarda una paziente di 16 anni ricoverata presso il reparto di Neuroriabilitazione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sede di Palidoro per esiti di infezione da Sars-Cov2, stroke nel territorio dell'ACM di destra, infarto cerebellare sinistro, insufficienza cardiaca e renale, pericardite e pleurite bilaterale e sindrome compartimentale dell’arto inferiore destro. Materiali e Metodi Al suo arrivo nel reparto di Neuroriabilitazione la paziente presentava un quadro funzionale di emiparesi brachio crurale sinistra, gli esiti della fasciotomia della gamba destra, ipotrofia muscolare diffusa, mano sinistra non funzionale. A livello degli arti inferiori l’atteggiamento dei piedi era in equino bilateralmente con assenza completa dei movimenti distali di flesso estensione, a destra per asportazione dei muscoli tibiale anteriore e peronieri e tibiale posteriore. Presentava, inoltre, una marcata dolorabilità all’arto inferiore destro prevalentemente distale. È stata somministrata la scala GMFM-88(Gross Motor Function Measure) per valutare il livello funzionale. Il percorso riabilitativo ha avuto una durata di 6 mesi durante i quali la paziente è stata sottoposta a training neuromotorio intensivo, percorso di terapia occupazionale e costante supporto psicologico. Il progetto riabilitativo individuale ha avuto i seguenti obiettivi: riduzione delle sinergie patologiche, controllo del dolore, integrazione dell’arto superiore sinistro, raggiungimento della stazione eretta, deambulazione in autonomia con ausili, recupero dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana, prevenzione delle complicanze secondarie. La paziente è stata costantemente valutata da un team multidisciplinare durante tutte le fasi del programma riabilitativo, sono state confezionate delle ortesi gamba piede per garantire il corretto allineamento dell’asse gamba piede e la prevenzione di deformità muscolo scheletriche, oltre che per garantire i passaggi posturali ed i trasferimenti in sicurezza. Il training riabilitativo è stato interrotto in due fasi diverse: la prima per l’intervento di tenotomia del muscolo flessore lungo dell’alluce sinistro e la seconda per una riattivazione della pericardite che ha necessitato di un ricovero nel reparto di Cardiologia dove è stata sottoposta a biopsia cardiaca e nuovo ciclo di trattamento con Immunoglobuline e.v. Risultati L’evoluzione è stata positiva in tutte le aree con notevole riduzione del dolore, progressivo recupero funzionale ed acquisizione della deambulazione autonoma senza ortesi ma con necessità di supervisione ed ausilio di 2 bastoni canadesi. A livello dell’arto superiore sinistro buona integrazione nelle attività bimanuali pur persistendo il deficit della manipolazione fine. Infine, è stato dimostrato un buon livello di autonomia nelle attività quotidiane. La scala GMFM-88 iniziale aveva un punteggio pari a 10.7%, al momento della dimissione abbiamo riscontrato un notevole miglioramento con un punteggio pari a 70%. Conclusioni La MIS-C è una rara complicanza post-infettiva dell’infezione da Sars-Cov2 che colpisce soprattutto bambini ed adolescenti. Ad oggi non esistono linee guida sulla gestione della MIS-C ma protocolli terapeutici basati su patologie con caratteristiche sovrapponibili. Inoltre, nessuno studio ha riportato il percorso riabilitativo per i bambini affetti da esiti neurologici di MIS-C. Per tale motivo, sono necessari ulteriori studi affinché si possa stabilire un corretto trattamento basato sulla fisiopatologia e meccanismi di risposta immunitaria. Infine, ogni paziente necessita di una presa in carico multidisciplinare che includa un’unità di malattie infettive pediatriche, terapia intensiva cardiologia, immunologia, reumatologia, ortopedia, medicina fisica e riabilitativa. (3) Bibliografia 1.Centers for Disease Control and Prevention. Multisystem inflammatory syndrome. 2020. https://www.cdc.gov/mis-c/hcp/ (accessed July 16, 2020). 2. Dionne A, Son MBF, Randolph AG. An Update on Multisystem Inflammatory Syndrome in Children Related to SARS-CoV-2. Pediatr Infect Dis J. 2022 Jan 1;41(1):e6-e9. doi: 10.1097/INF.0000000000003393. PMID: 34889873; PMCID: PMC8658063. 3. Jiang L, Tang K, Levin M, Irfan O, Morris SK, Wilson K, Klein JD, Bhutta ZA. COVID-19 and multisystem inflammatory syndrome in children and adolescents. Lancet Infect Dis. 2020 Nov;20(11):e276-e288. doi: 10.1016/S1473-3099(20)30651-4. Epub 2020 Aug 17. Erratum in: Lancet Infect Dis. 2022 Oct;22(10):e279. PMID: 32818434; PMCID: PMC7431129.
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Polmonite ab ingestis e liquidi addensati in disfagia post-stroke: 24 mesi di follow up
51° Congresso Nazionale SIMFER Bologna 12-15 ottobre 2023 POLMONITE AB INGESTIS E LIQUIDI ADDENSATI IN DISFAGIA POST-STROKE: 24 MESI DI FOLLOW UP M. Boselli, I. Scola, L. Cuttitta, G. Alfano, C. Ferretti Istituti Clinici Scientifici Maugeri – IRCCS Montescano (PV) Introduzione La gestione della disfagia orofaringea post-stroke ha compreso da tempo l’assunzione di cibi a consistenza modificata e l’addensamento dei liquidi tra le strategie per rendere l’alimentazione per os più sicura, prevenendo in particolare la polmonite ab ingestis, di cui risulta una elevata incidenza. I compensi dietetici, nonostante i dubbi sulla loro reale efficacia e l’influenza negativa sulla qualità di vita dei pazienti e dei care givers, sono ampiamente prescritti personalizzandoli dopo precise valutazioni clinico-strumentali (1-3). Intento della presente ricerca è stato verificare in un gruppo di pazienti affetti da prolungata disfagia post-stroke per i liquidi gestita con addensanti l’eventuale insorgenza di polmonite ab ingestis e la compliance alla dieta consigliata. Materiali e Metodi La ricerca è stata condotta analizzando retrospettivamente i casi clinici di 23 pazienti (17 uomini e 6 donne) con esiti di stroke, ricoverati presso il nostro Istituto per la prima presa in carico riabilitativa e dimessi con persistente disfagia per i liquidi gestita con liquidi addensati a varie consistenze e rivisti a controllo. I pazienti sono stati seguiti per almeno 24 mesi; successivamente solo 16 sono giunti a follow up fino a 36 mesi (2 deceduti, 5 gestiti da altre strutture). L’età media era 69.5 anni (SD 10.4, range 44-82 anni). 13 pazienti avevano avuto un iniziale periodo di coma, 7 erano portatori di cannula tracheale all’ingresso. Relativamente alla sede ed all’eziologia dell’evento ictale: 15 pazienti avevano un danno sopratentoriale (11 ischemici ed 2 emorragici) e 8 un danno tronco encefalico (4 ischemici e 4 emorragici). E’ stato applicato un percorso valutativo /riabilitativo di reparto, multiprofessionale, relativo alla gestione della disfagia nell’ottica di recuperare quanto prima un’alimentazione orale efficace e sicura. Dopo la dimissione erano stati effettuati periodici controlli clinico-strumentali per la persistente disfagia e raccolti dati clinico-anamnestici relativi ad episodi infettivi polmonari e stato nutrizionale. Sono stati analizzati inoltre i dati clinici relativi alla presenza di penetrazione/inalazione alla VFS, di disturbi del linguaggio, BPCO e patologie cardiache. Risultati Al primo ricovero nessuno dei pazienti assumeva acqua libera per os: 12 pazienti (52,2%) erano alimentati per via enterale mentre i restanti 11 assumevano acqua a consistenza modificata: a budino 9 (39,1 %) e crema 2 (8,7 %). Dopo il primo ricovero riabilitativo i pazienti erano stati dimessi con persistente disfagia per i liquidi: tutti presentavano alcuni dei fattori clinici considerati predittivi per scarso recupero quali penetrazione/inalazione alla VFS (69,6%), gravità iniziale della disfagia (52,2% DOSS=1) e coesistenza di disturbi del linguaggio (56,5%). Dopo quasi un anno una paziente, sospesa autonomamente l’assunzione di acqua addensata, aveva presentato un episodio di polmonite ab ingestis. Al controllo dopo dodici mesi solo 1 paziente era ancora in nutrizione enterale (4,3%), i restanti erano migliorati, idratati per os con acqua a minore grado di addensamento: 5 a budino (21,7 %), 3 a crema (13,1 %) e 14 a sciroppo (60,9 %). Dopo 24 mesi solo 1 paziente assumeva ancora acqua gelificata a budino (4,3%) mentre tutti gli altri erano idratati con acqua a sciroppo (95,7%). Tra il primo ed il secondo anno di assunzione di liquidi addensati due pazienti avevano presntato una polmonite ab ingestis, uno dei quali aveva autonomamente sospeso i liquidi addensati poi ripresi. Entrambi erano affetti da BPCO. In sintesi si erano verificati 3 casi di polmonite ab ingestis in 24 mesi di assunzione di liquidi a consistenza modificata (13% dei pazienti). Considerando i 16 pazienti con follow up a 36 mesi, permaneva necessità di addensare i liquidi a sciroppo nella maggior parte dei casi, mentre 3 pazienti erano peggiorati necessitando di acqua addensata a budino/crema. Tra i 24 e i 36 mesi altri due pazienti avevano presentato polmonite ab ingestis ed entrambi, affetti da BPCO, avevano sospeso l’assunzione di addensanti. Conclusioni Nel piccolo gruppo di pazienti con disfagia post-stroke monitorati per 24-36 mesi, i casi di polmonite ab ingestis si sono verificati dopo diversi mesi di idratazione con liquidi addensati, soprattutto in chi ne aveva sospeso l’assunzione. La compliance alla dieta modificata è risultata buona nella maggior parte dei casi. Considerate le note controversie della letteratura, la presente ricerca rappresenta un’esperienza clinica a favore della gestione della disfagia post-stroke per i liquidi con prodotti addensanti per la prevenzione di polmoniti ab ingestis. Si conferma la necessità di periodiche rivalutazioni cliniche e strumentali per una prescrizione individualizzata del grado di addensamento necessario, anche per favorire la compliance dei pazienti. Bibliografia 1)Dziewas R, Michou E, Trapl-Grundschober M, Lal A, Arsava EM, Bath PM, Clavé P, Glahn J, Hamdy S, Pownall S, Schindler A, Walshe M, Wirth R, Wright D, Verin E. European Stroke Organisation and European Society for Swallowing Disorders guideline for the diagnosis and treatment of post-stroke dysphagia. Eur Stroke J. 2021 Sep;6(3):LXXXIX-CXV. doi: 10.1177/23969873211039721. Epub 2021 Oct 13. PMID: 34746431; PMCID: PMC8564153. 2)Beck AM, Kjaersgaard A, Hansen T, Poulsen I. Systematic review and evidence based recommendations on texture modified foods and thickened liquids for adults (above 17 years) with oropharyngeal dysphagia – An updated clinical guideline. Clin Nutr. 2018 Dec;37(6 Pt A):1980-1991. doi: 10.1016/j.clnu.2017.09.002. Epub 2017 Sep 9. PMID: 28939270. 3)Feng MC, Lin YC, Chang YH, Chen CH, Chiang HC, Huang LC, Yang YH, Hung CH. The Mortality and the Risk of Aspiration Pneumonia Related with Dysphagia in Stroke Patients. J Stroke Cerebrovasc Dis. 2019 May;28(5):1381-1387. doi: 10.1016/j.jstrokecerebrovasdis.2019.02.011. Epub 2019 Mar 9. PMID: 30857927.
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Lesione midollare e percorso di presa in carico riabilitativa dall’Unità Spinale al Territorio: case report
51° Congresso Nazionale SIMFER LA RIABILITAZIONE TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO 12-15 ottobre 2023 Introduzione La lesione midollare (SCI) è secondaria a un trauma spinale e si suddivide nel 75% in traumatica (53,8% incidenti della strada, cadute dall’alto/infortuni sportivi) e nel 25% non traumatica (cause neoplastiche, vascolari, infiammatorie, degenerative, infettive). L’80% dei soggetti sono giovani tra i 10 e i 40 anni, con rapporto M/F 4:1 [1]. La scala ASIA (American Spinal Injury Association), distingue il livello e l’estensione della lesione, se completa (assenti le funzioni motorie e sensoriali a livello S4-S5) o incompleta (presenti alcune funzioni motorie e sensoriale al di sotto del livello della lesione, includendo i segmenti sacrali S4-S5, rilevanti dal punto di visto prognostico). La mielolesione ha un importante impatto sociale, ambientale, socio-economico a causa della gravità e irreversibilità, dell’età, del livello e grado della lesione, la disponibilità e la tempistica delle risorse e dei servizi. Il miglioramento delle possibilità terapeutiche ha aumentato la sopravvivenza post-lesionale dall’evento acuto alla cronicità [2]. La riabilitazione del paziente mieloleso avviene dalla fase acuta al trasferimento nelle Unità Complesse di Neuroriabilitazione grazie a un team multidisciplinare e a programmi riabilitativi complessi, proseguendo al domicilio con presa in carico territoriale, reinserimento sociale e lavorativo [3]. Caso clinico G. A., uomo, di 44 anni, condotto in PS il 17/05/2021 per politraumatismo da caduta da 15 m (lancio con paracadute): frattura mielica a scoppio di L1, coinvolgimento cono-cauda e avulsione poliradicolare a sx (intervento di stabilizzazione-decompressione dorso-lombare D12-L1), frattura di T5 e T12, frattura pilone tibiale dx e sx (intervento di osteosintesi con placca dx e sx), trauma toracico e ricovero in Rianimazione per instabilità respiratoria ed emodinamica. Dal 07/06 al 14/12/2021 ricovero c/o l’Unità Spinale del “Presidio Borsalino” dell’A.O. “SS Antonio e Biagio” di Alessandria. In ingresso: ipostenia mm prossimale AISX (F:1.5/5 MRC scale), cenni di movimento del m.EPA. Ipoestesia tattile-dolorifica con parestesie AISX da L1. Assonopatia AISX in evoluzione. Parzialmente autonomo, sfinteri conservati. Progressivo carico agli AAII con busto ortopedico e avvio del cammino con due canadesi. FIM 58/126, Barthel 1/20, ASIA D: livello neurologico L3, SCIM 16/100. In dimissione: recupero motorio AIDX, dolore neuropatico all’AISX. Carico completo agli AAII da settembre 2021, algodistrofia ginocchio sx (stiramento/strappamento delle fibre nervose radicolari) in evoluzione. Autonomo nelle ADL primarie e secondarie. Cammino paraparetico per brevi tragitti con due canadesi, recurvatum di ginocchio sx, utilizzo di rialzo calcaneare. Prescritta terapia per os per dolore neuropatico, supplementazione neurotrofica e con Vit.D. FIM 116/126, Barthel 18/20, ASIA D: livello neurologico L3, SCIM 91/100. Dal 24/01/2022 a oggi presa in carico c/o Ambulatorio di Medicina Riabilitativa del Presidio Ospedaliero “Santo Spirito” di Casale M.to, ASL-AL (80+4 sedute di rieducazione neuromotoria e terapia strumentale). Al controllo a 12 mesi deficit di reclutamento m.QF sx, cedimento del ginocchio in fase di stance e rischio di caduta. Cammino con un canadese per tratti medi (>50 m). Al controllo a 18 mesi ipotrofia mm.prossimale, ipostenia m.QF sx (F: 2.5-3/5 MRC scale), cammino autonomo senza ausili con andatura falciante, recurvatum di ginocchio sx. Prescritti plantari ortopedici correttivi (eterometria per dx200 m e corsa>100 m. Monitoraggio EMG/ENG (0-24 mesi): plessopatia lombo-sacrale sx, all’onset attività di denervazione a riposo a livello di m.QF sx e assenza di attività volontaria, attività di denervazione al m.TA bilat (sx>dx). Al controllo a 24 mesi scomparsa di segni di denervazione in atto al m.tensore della fascia lata sx, comparsa di segni di reinnervazione terminale al m.vasto laterale, marcati segni di reinnervazione collaterale nei m.IP, m. TA sx. Ulteriore controllo EMG/ENG a 30 mesi. Conclusioni I miglioramenti del paziente mieloleso, come il recupero funzionale motorio, sensitivo, delle ADL e del cammino descritti nel caso clinico, si possono mantenere nel tempo, avvalendosi di una rete di riferimento di continuità territoriale che permette la prosecuzione della riabilitazione in regime ambulatoriale sul territorio, con attività di rieducazione, monitoraggio e valutazione clinica e strumentale in Equipe Multidisciplinare. Nel caso descritto, a distanza di due anni dal trauma, è stato possibile un reinserimento familiare, lavorativo e a livello sociale del paziente, oltre al recupero dell’autonomia nel cammino e la ripresa di attività sportiva non agonistica in sicurezza, grazie anche a prescrizione e adozione di ortesi personalizzate. Bibliografia [1] Lotta S., La riabilitazione del soggetto mieloleso, Medicina riabilitativa. Capitolo 41, Idelson-Gnocchi. Seconda edizione, 2009. [2] SIMFER. Prospettive internazionali sulla lesione del midollo spinale, 2015. [3] JHA Bloemen-Vrencken et al. “Follow-up care for persons with spinal cord injury living in the community: a systematic review of interventions and their evaluation” Spinal Cord (2005) 43, 462-475
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Linfedema secondario a tumore della mammella operato: analisi retrospettiva di casi
Bardelli R, Marini A, Lai MS, Cocco M, Frau N, Allegri K, Braina P SC Recupero e Riabilitazione Funzionale Dir. Dott. P. Braina P.O. BUSINCO ARNAS G. BROTZU Cagliari LINFEDEMA SECONDARIO A TUMORE DELLA MAMMELLA OPERATO: ANALISI RETROSPETTIVA DI CASI INTRODUZIONE La patologia oncologica ed i suoi trattamenti rappresentano la principale causa di linfedema nei paesi industrializzati. Il tumore della mammella è la neoplasia con la più alta incidenza di linfedema secondario. L’introduzione della tecnica di biopsia del linfonodo sentinella (LNS), quando applicabile, ha permesso una riduzione dell’incidenza ma non una scomparsa della patologia. Scopo di questa analisi retrospettiva è di valutare l’incidenza del linfedema secondario a tumore della mammella operato, il timing di insorgenza dall’intervento chirurgico, la correlazione con la tipologia di intervento a cui sono stati sottoposti i pazienti e di dettagliare la presa in carico riabilitativa successiva. MATERIALI E METODI Abbiamo provveduto ad una analisi retrospettiva delle cartelle cliniche dei pazienti afferenti consecutivamente alla S.C. Recupero e Riabilitazione Funzionale del P.O. Businco, ARNAS Brotzu di Cagliari per tumore della mammella dal 1 Gennaio 2014 al 31 Dicembre 2016. In particolare abbiamo rilevato i dati anagrafici, antropometrici, il tipo di intervento (e le eventuali complicanze), l’eventuale sviluppo di linfedema e timing di sviluppo ed analizzato la correlazione con il tipo di intervento a cui i pazienti sono stati sottoposti. In seconda battuta, per i pazienti che hanno sviluppato linfedema, abbiamo inoltre analizzato la tipologia di presa in carico riabilitativa eseguita. RISULTATI E’ stato possibile raccogliere i dati di 1108 pazienti (1098 donne e 10 uomini): 499 sottoposti a quadrantectomia (QUART) e LNS, 295 a mastectomia e linfadenectomia ascellare (LA), 219 a QUART e LA, 95 a mastectomia e LA. I pazienti che hanno avuto accesso al nostro servizio per linfedema secondario nel triennio indicato sono stati 248, pari al 22,4% del campione analizzato, ed in particolare nel 40,6% (89) erano pazienti sottoposti a QUART e LA, nel 37,3% (110) a mastectomia e LA, nel 8,4% (7) a QUART e LNS e nel 7,4% (42) a mastectomia e LNS. Considerando la correlazione con la procedura diretta sui linfonodi si osserva che hanno avuto accesso al nostro servizio per linfedema secondario il 38,7% dei pazienti sottoposti a LA ed il 7,3% dei pazienti sottoposti a LNS. Nei 248 pazienti che hanno ricevuto diagnosi di linfedema secondario il 53.6% (133) è stato sottoposto a Trattamento Decongestivo Combinato (TDC) completo, il 14.1% (35) a prescrizione di tutore elastocontenitivo e il 32.3% (80) ad altre terapie variamente combinate (ad esempio linfodrenaggio manuale e/o kinesiotaping). CONCLUSIONI Questa analisi retrospettiva ha permesso di confermare i dati della letteratura sulla incidenza di sviluppo del linfedema secondario in pazienti operati per tumore alla mammella e di correlarlo con la tipologia di intervento eseguito ed in particolare con il tipo di procedura diretta sui linfonodi a cui sono stati sottoposti. La nostra analisi si rileva utile ai fini di poter prevedere e quindi prevenire, monitorare e trattare con solerzia l’insorgenza della patologia e di valutare i risultati dei trattamenti in modo da allocare correttamente le risorse per l’importante impatto che il linfedema ha sulla qualità di vita di un alto numero di pazienti operati per tumore alla mammella e oggi lungo sopravviventi. BIBLIOGRAFIA 1- McLaughlin SA, Brunelle CL, Taghian A. “Breast Cancer Related Lynphedema: risk factors, screening, management and impact of locoregional treatment” J Clin Oncol. 2020 Jul 10;38(20):2341-2350.doi: 10.1200/JCO.19.02896. Epub 2020 May 22. 2- Rafn BS, Christensen J, Larsen A, Bloomquist K “Prospective Surveillance for Breast Cancer-Related Arm Lymphedema: A Systematic Review and Meta-Analysis” J Clin Oncol. 2022 Mar 20;40(9):1009-1026. doi: 10.1200/JCO.21.01681. Epub 2022 Jan 25. 3. Kalemikerakis I, Evaggelakou A, Kavga A, Vastardi M, Konstantinidis T, Govina “Diagnosis, treatment and quality of life in patients with cancer-related lymphedema.” O. J BUON. 2021 Sep-Oct;26(5):1735-1741. PMID: 34761576
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Who helps the helper? Un’indagine preliminare sul carico assistenziale di un campione di caregiver di pazienti colpiti da Ictus Cerebrale
Who helps the helper? Un’indagine preliminare sul carico assistenziale di un campione di caregiver di pazienti colpiti da Ictus Cerebrale 1G. Rocca, 2A. Caroprese, 2M. Tagliaferri, 3R. Antenucci, 4G. Cascio, 5A.M. Barbieri, 6D. Zaino, 6D. Guidetti 1Neuropsicologo A.L.I.Ce. Piacenza e Neuromodulation lab Piacenza 2Psicologa Neuromodulation lab Piacenza 3Fisiatra Unità Spinale, Neuroriabilitazione e Medicina Riabilitativa Intensiva – Ospedale Fiorenzuola d’Arda, AUSL PC 4Fisioterapista A.L.I.Ce. Piacenza 5Presidente A.L.I.Ce. Piacenza 6Neurologa Ospedale Piacenza, AUSL PC INTRODUZIONE L’ictus cerebrale è la prima causa di disabilità, la seconda causa di morte dopo i 65 anni e la seconda causa di demenza. 1/3 dei pazienti perde la propria autonomia nelle attività di vita quotidiana e 1/3 va incontro a depressione oltre a possibili disturbi comportamentali. Di coloro che sopravvivono quasi 2/3 necessitano dell’assistenza di un caregiver, che nella maggior parte dei casi è rappresentato da un membro della famiglia, che spesso vive un vero e proprio stravolgimento sia sul piano emotivo che rispetto alla qualità di vita. Nella provincia di Piacenza sono ca. 450 i casi di ictus/anno. L’Ass. A.L.I.Ce. odv attiva sul territorio ha avviato un progetto a loro dedicato con l’obiettivo di fornire sostegno sotto diverse forme e provare così ad alleggerire il carico assistenziale. Coscienti dell’importanza che il ruolo del caregiver assume in tutte le fasi post-ictus e considerato quanto il benessere del paziente e del caregiver possano essere in stretta relazione, si è effettuata una rilevazione sulla qualità di vita e sul carico assistenziale di un campione di caregiver di pazienti colpiti da ictus cerebrale. RISULTATI Al ZBI l’80% dei caregiver ottiene un punteggio totale significativo, indicativo di stress da carico assistenziale, l’unico punteggio indice di uno scarso impatto del caregiving sulla qualità di vita, è stato ottenuto dal soggetto non convivente con l’assistito. Prendendo in esame le risposte ai singoli item della scala, emerge che: – Il 60% dei caregiver riconosce di avere meno tempo da dedicare a sé stesso e che il carico assistenziale condiziona negativamente la propria vita sociale e relazionale; – L’80% dei caregiver ritiene che il proprio assistito dipenda completamente da sé e si mostra fortemente preoccupato per il futuro. – Il 100% dei caregiver afferma tuttavia che non affiderebbe la cura del proprio familiare ad altre persone. Al GHQ-12 tutti i soggetti hanno ottenuto punteggi significativi (>14). E’ stata rilevata una correlazione tra l’età dei soggetti e i punteggi totali ottenuti, in quanto al diminuire dell’età sembra ridursi anche il benessere rilevato al GHQ-12. Analizzando le risposte ai singoli item, si può notare come il 50% dei soggetti riporti una deflessione del tono dell’umore; il 30% riferisce di sentirsi maggiormente sotto pressione. Per ciò che concerne l’intervista semistrutturata, è emerso il bisogno generale di interventi di supporto psicologico per la gestione dello stress connesso al ruolo di assistenza, e di interventi di psicoeducazione sia infase acuta che cronica. Bibliografia MATERIALI E METODI Il campione è costituito da 10 caregiver di soggetti con esiti di ictus; l’età è compresa tra 51 e 80 anni, con media di 60,6, mentre quella dei loro assistiti è compresa tra 55 e 86 anni, con media di 74,2; il 90% del campione è di sesso femminile (9/10 F; 1/10 M). 9 caregiver su 10 convivono con il familiare assistito (9/10). I soggetti appartenenti al campione ricoprono il ruolo di caregiver da un periodo di tempochevada6a12anni. Per valutare le conseguenze del carico assistenziale, è stata somministrata l’intervista strutturata “Zarit Burden Inventory” (ZBI), che si compone di 22 item che indagano l’impatto della disabilità dell’assistito sulla qualità di vita del caregiver. È stato inoltre somministrato il General Health Questionnaire (GHQ-12) che rileva il grado di benessere generale percepito dai caregiver, esplorando la presenza depressione, ansia, disagio sociale, sintomi di inefficienza cognitiva e sintomi somatici. Nella somministrazione del GHQ-12 è stato chiesto esplicitamente ai caregiver di rispondere tenendo in considerazione l’impatto del proprio ruolo di assistenza e cura. È stata poi condotta un’intervista semi-strutturata, al fine di indagare i bisogni e le richieste da parte degli intervistati, nell’ottica di un miglioramento generale della propria qualità di vita e di quella del proprio assistito. CONCLUSIONI I risultati di questa indagine preliminare, mostrano che il lavoro di cura svolto dai caregiver ha un impatto sulla loro qualità di vita, con un aumento dei livelli di stress percepito che ne condiziona il funzionamento anche a livello relazionale e sociale, soprattutto in coloro che convivono con i loro assistiti. Per quanto riguarda l’indagine dei bisogni e delle richieste di supporto da parte dei caregiver, emerge la necessità per gli assistiti di interventi, seppur all’interno di un contesto di socializzazione, più strutturati, che consentano un mantenimento del residuo funzionale e una ricaduta positiva sul tono dell’umore, oltre a permettere ai caregiver di ritagliarsi uno spazio di “sollievo” all’interno della propria giornata in cui “sospendere” momentaneamente il proprio ruolo di cura per occuparsi dei propri bisogni. 1) Sturm JW, Donnan GA, Dewey HM, Macdonell RA, Gilligan AK, Srikanth V, Thrift AG: “Quality of life after stroke: the North East Melbourne Stroke Incidence Study (NEMESIS)” – Stroke 2004; 35: 2340-2345. Epub 2004 Aug 26 2) Tamilyn Bakas, PhD, RN, Michael J. McCarthy, PhD, MSW, Elaine L. Miller, PhD, RN, CRRN: “Systematic Review of the Evidence for Stroke Family Caregiver and Dyad Interventions” – Stroke. 2022; 53:2093–2102 3)Chattat, R., Cortesi, V., Izzicupo, F., Del Re, M.L., Sgarbi, C., Fabbo, A. and Borgonzini, E: “The Italian version of the Zarit Burden interview: a validation study” – International Psychogeriatric, 2011; 23(5):797-805
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Trattamento infiltrativo ecoguidato del dito a scatto con collagene. Iniziali evidenze cliniche
Trattamento infiltrativo ecoguidato del dito a scatto con collagene. Iniziali evidenze cliniche. Arianna Pesaresi1, Vincenzo Ricci2, Fabrizio Gervasoni2, Federico Giarda3, Antonio Robecchi Majnardi4, Arnaldo Andreoli2 1. Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Milano, Milano. 2. U.O. Riabilitazione Specialistica, Ospedale “Luigi Sacco”, ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano. 3. U.O. Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione, ASST GOM Niguarda, Milano. 4. IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative, Ospedale San Luca, Milano. Introduzione La tenosinovite dei tendini flessori delle dita, nella maggior parte dei casi associata alla condizione clinica descritta come “dito a scatto”, è una delle cause più comuni di disabilità della mano. Provoca dolore e difficoltà nelle attività di vita quotidiana e lavorativa, affliggendo circa il 2% della popolazione mondiale con una prevalenza fino al 10% nei pazienti diabetici. Colpisce soprattutto donne in età adulta a carico della mano dominante, in particolare coinvolgendo il terzo e il quarto dito. La tenosinovite dei flessori si verifica quando la puleggia A1 diventa ispessita, impedendo il libero scorrimento dei tendini durante i movimenti di flesso-estensione. È caratteristica la difficoltà a estendere il dito affetto quando viene flesso; il movimento perde di fluidità e si verifica uno “scatto”, a volte doloroso. Lo stato infiammatorio e di ipervascolarizzazione è evidenziabile tramite studio ecografico, anche in regime ambulatoriale. Le opzioni di trattamento possono essere conservative o chirurgiche, in considerazione della gravità della condizione. Non sono attualmente disponibili protocolli conservativi standardizzati, anche se la letteratura riporta diversi algoritmi infiltrativi con sostanze terapeutiche. Obiettivo di questo approfondimento metodologico è illustrare l’utilizzo di un dispositivo medico di classe III a base di collagene suino di tipo I (e.g. MD-Tissue) per via infiltrativa nei quadri clinici di dito a scatto. Materiali e Metodi Dopo diagnosi clinica ed ecografica (Figura 1) si raccoglie il consenso informato scritto del paziente per informarlo sui rischi del metodo, come da prassi ospedaliera. Il paziente viene posto disteso sul lettino per tutela in caso di reazioni vaso-vagali, con la mano in posizione supina. Dopo adeguata disinfezione della cute con soluzione al 10% di iodopovidone (e.g. Betadine) la procedura infiltrativa viene eseguita utilizzando una sonda ad alta frequenza per lo studio delle piccole articolazioni (18 MHz) con copri-sonda sterile. Si consiglia la tecnica in-plane, con sonda e ago (calibro 22G, lunghezza 32 mm) posti in parallelo, per garantire la visualizzazione dell’ago e il corretto raggiungimento del sito di iniezione (Figura 2). L’iniezione peri-tendinea viene praticata nella sede della percezione dello “scatto”, avendo come target la guaina tendinea. L’uniforme distribuzione del device lungo il tendine è possibile grazie alla visualizzazione ecografica della procedura (Figura 3). Risultati A seguito del trattamento, i pazienti trattati (n. 3) hanno riportato un progressivo miglioramento nella percezione di dolore e di rigidità del dito affetto (scale di valutazione somministrate: Quinnell classification, NRS). In considerazione della risposta clinica dei pazienti sono state proposte successive sedute di richiamo, fino a 3 infiltrazioni complessive. Conclusioni Il trattamento infiltrativo del dito a scatto con dispositivi medici a base di collagene suino (e.g. MD-Tissue) è una pratica medica sicura, scevra da controindicazioni e facilmente riproducibile con guida ecografica in un setting ambulatoriale. Saranno necessari ulteriori studi per comprovare l’efficacia di questo trattamento nelle tenosinoviti dei flessori della mano, arruolando una più ampia casistica e impostando definiti protocolli di studio. Figura 1: Immagine ecografica in asse corto della puleggia A1 in una situazione fisiologica (a sinistra) e in una situazione patologica (a destra) in cui è visibile e misurabile l’inspessimento fibroso caratteristico della patologia da dito a scatto. Figura 2: Immagine ecografica in asse lungo ottenuta durante la procedura infiltrativa. Si visualizza a destra la punta dell’ago in tecnica in-plane e a sinistra la raccolta del device medico iniettato. Figura 3: Immagine ecografica in asse corto ottenuta a seguito della procedura di iniezione peri-tendinea. Si visualizza un halo ipoecogeno che circonda la componente tendinea, indice di una corretta e uniforme distribuzione del device medico. Bibliografia 1. Shen PC, Chou SH, Lu CC. Comparative effectiveness of various treatment strategies for trigger finger by pairwise meta-analysis. Clin Rehabil. 2020 Sep;34(9):1217-1229. doi: 10.1177/0269215520932619. Epub 2020 Jun 15. 2. Bianchi S, Gitto S, Draghi F. Ultrasound features of trigger finger: review of the literature. J Ultrasound Med. 2019 Dec;38(12):3141-3154. doi: 10.1002/jum.15025. Epub 2019 May 20. 3. Randelli F, Sartori P, Carlomagno C. The collagen-based medical device MD-Tissue acts as a mechanical scaffold influencing morpho-functional properties of cultured human tenocytes. Cells. 2020 Dec 8;9(12):2641. doi: 10.3390/cells9122641.
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Caratterizzazione muscolo-scheletrica di una coorte di pazienti del sud Italia affetta da NF1
Caratterizzazione muscolo-scheletrica di una coorte di pazienti del sud Italia affetta da NF1 Introduzione La neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) è una patologia genetica a trasmissione autosomica dominante che colpisce 1 su 3000 nati vivi. Sebbene sia caratterizzata da un interessamento principalmente neuro-cutaneo e da una elevata predisposizione all’insorgenza di tumori sia benigni che maligni, possono essere interessati anche altri organi e tessuti, con un coinvolgimento multi-sistemico. La patologia è causata da mutazioni, con perdita di funzione, nel gene NF1 presente sul cromosoma 17q11, che codifica per la proteina neurofibromina. Quest’ultima è coinvolta nel controllo della proliferazione e della differenziazione cellulare, svolgendo un ruolo cruciale nella regolazione di diverse vie di segnalazione.1 Studi recenti hanno evidenziato che la neurofibromina svolge un ruolo fondamentale anche sulla crescita delle cellule muscolari, sulla formazione della matrice extracellulare ossea e sulla regolazione del metabolismo osseo.2 Le alterazioni derivanti dalla sua disfunzione potrebbero quindi avere un ruolo sull’insorgenza dei disturbi muscolo-scheletrici nei pazienti affetti da NF1, quali displasie ossee, ipotonia e debolezza muscolare, che potrebbero influire sul livello di sedentarietà ed avere un impatto negativo sulla qualità di vita di questa popolazione.3 Inoltre, i pazienti affetti da NF1 sembrerebbero presentare un rischio maggiore di fratture per minimi traumi e diagnosi di scarsa densità minerale ossea/osteoporosi4. Tuttavia, il coinvolgimento muscolo-scheletrico in questa popolazione è scarsamente indagato. Pertanto, lo scopo dello studio è stato quello di caratterizzare la compromissione muscolo-scheletrica di una coorte di pazienti del sud-Italia affetta da NF1. Materiali & Metodi In questo studio osservazionale, sono stati reclutati pazienti con diagnosi di NF1, a cui abbiamo somministrato un protocollo valutativo. Il protocollo sperimentale ha incluso: dati antropometrici ed anamnestici quali età, indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) e pregresse fratture da fragilità, la valutazione della forza muscolare mediante dinamometro portatile; la performance fisica utilizzando la Short Physical Performance Battery (SPPB); la qualità di vita mediante la Short Form Health Survey 36 (SF-36) ed il livello di attività fisica mediante l’International Physical Activity Questionnaires (IPAQ), espresso in equivalente metabolico (MET) settimanale (< 700 Met: inattivo; tra 700 e 2519 MET: sufficientemente attivo; >2520 Met: attivo o molto attivo). Sulla base di questi cut-off i pazienti sono stati suddivisi rispettivamente in gruppo 0, gruppo 1 e gruppo 2. È stato, inoltre, valutata la densità minerale ossea il metabolismo osseo dei pazienti mediante esame densitometrico con metodica Dual-energy X-ray Absorptiometry (DXA) (GE Lunar) che ha permesso di valutare: la Bone Mineral Density (BMD) del rachide lombare (L1-L4), del collo del femore sinistro (l-FN) e del total body less head (TBLH). Risultati Abbiamo reclutato 79 pazienti (35 M; 44 F) con età media di 40.05 ± 14.43 anni e BMI medio di 21.09 ± 8.57 kg/m2, affetti da NF1. Sono stati riportati valori medi di 28.16 ± 10.04 kg in termini di forza muscolare di prensione manuale. Dall’analisi del livello di attività fisica, 16 pazienti (20.3%) sono risultati inattivi (gruppo 0), 36 pazienti (45.6 %) sufficientemente attivi (gruppo 1) e 27 pazienti (34.2 %) attivi o molto attivi (gruppo 2) (Tabella 1). Confrontando i tre gruppi, stratificati per attività fisica, differenze statisticamente significative si sono riscontrate per i tre sub-item dell’SPPB tra il gruppo 0 e il gruppo 2 (8.14 versus 10.19; p <0.05) (Tabella 2). Trentatré pazienti (14 M; 19 F) hanno praticato esame densitometrico; di questi, 22 pazienti (66.67%) hanno riportato valori medi compatibili con la norma per sesso e per età, 6 pazienti hanno riportato una diagnosi di osteopenia (18.18%), 1 (3.03%) una diagnosi di osteoporosi e 4 (12.12%) hanno evidenziato valori densitometrici ridotti per sesso e per età. Analizzando i risultati ottenuti all’esame densitometrico per i 33 pazienti suddivisi in base ai cut-off di attività fisica, nel gruppo 0 (7 pazienti), il 57% presentava valori di osteopenia/osteoporosi; nel gruppo 1 (14 pazienti), il 36% mostrava valori di ridotta densità ossea per sesso e per età/osteopenia, mentre nel gruppo 2 (12 pazienti), il 18% mostrava valori di ridotta densità ossea per sesso/osteopenia; tuttavia confrontando i punteggi medi tra gruppi non sono emerse differenze statisticamente significative* (p>0.05) (Tabella 3). Conclusioni La nostra coorte di pazienti ha mostrato valori nella norma in termini di forza e la maggior parte si è rivelata sufficientemente attiva/molto attiva in termini di attività fisica. Più del 50% ha riportato valori densitometrici nella norma per sesso e per età. Inoltre tra i pazienti molto attivi solo il 18% ha mostrato un’alterazione dei parametri di densità ossea. Confrontando i risultati con quanto riportato in letteratura (5), la nostra coorte di pazienti mostra una discreta densità minerale ossea ed un buon livello di attività fisica. Quest’ultima potrebbe aver influito nel rallentare la possibile comparsa di alterazioni densitometriche, confermando un ruolo protettivo sulla salute ossea in questi pazienti. Futuri studi dovrebbero prevedere follow-up seriati per monitorare modifiche della densità minerale ossea associate alla patologia e sue eventuali correlazioni con variazioni del livello di attività fisica. Bibliografia 1. Hirbe AC, Gutmann DH. Neurofibromatosis type 1: a multidisciplinary approach to care. Lancet Neurol. 2014 Aug;13(8):834-43. doi: 10.1016/S1474-4422(14)70063-8. PMID: 25030515. 2. Filopanti M, Verga U, Ulivieri FM, Giavoli C, Rodari G, Arosio M, Natacci F, Spada A. Trabecular Bone Score (TBS) and Bone Metabolism in Patients Affected with Type 1 Neurofibromatosis (NF1). Calcif Tissue Int. 2019 Feb;104(2):207-213. doi: 10.1007/s00223-018-0488-z. Epub 2018 Nov 12. PMID: 30421324. 3. Summers MA, Quinlan KG, Payne JM, Little DG, North KN, Schindeler A. Skeletal muscle and motor deficits in Neurofibromatosis Type 1. J Musculoskelet Neuronal Interact. 2015 Jun;15(2):161-70. PMID: 26032208; PMCID: PMC5133719. 4. Kaspiris, A.; Savvidou, O.D.; Vasiliadis, E.S.; Hadjimichael, A.C.; Melissaridou, D.; Iliopoulou-Kosmadaki, S.; Iliopoulos, I.D.; Papadimitriou, E.; Chronopoulos, E. Current Aspects on the Pathophysiology of Bone Metabolic Defects during Progression of Scoliosis in Neurofibromatosis Type 1. J. Clin. Med. 2022, 11, 444. https://doi.org/10.3390/ 5.Ferrara UP, Tortora C, Rosano C, Assunto A, Rossi A, Pagano S, Falco M, Simeoli C, Ferrigno R, D’Amico A, Di Salvio D, Cangemi G, Pivonello R, Strisciuglio P, Melis D. Bone metabolism in patients with type 1 neurofibromatosis: key role of sun exposure and physical activity. Sci Rep. 2022 Mar 14;12(1):4368. doi: 10.1038/s41598-022-07855-4. PMID: 35288591; PMCID: PMC8921306.
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Ruolo della Riabilitazione nelle disfunzioni dell’area sacrale in pazienti con Sclerosi Sistemica
Introduzione La presenza di LUTS e disturbi gastrointestinali (GI) in pazienti con sclerosi sistemica (SSc) interessa il 70%-90% dei pazienti e sembra essere superiore rispetto ai controlli sani. Sono stati ipotizzati diversi meccanismi correlati alla patologia che possono spiegare il quadro clinico con eziologia multifattoriale e diversa rispetto alla popolazione generale. Purtroppo questi sintomi sono spesso scarsamente indagati e trattati nella pratica clinica ed il loro reale impatto sulla qualità di vita (QoL) resta sostanzialmente sconosciuto, poiché difficilmente separabile dalle manifestazioni che coinvolgono gli altri distretti quali cute e sistema respiratorio, che contribuiscono significativamente alla compromissione della QoL percepita dal paziente. È plausibile che la sintomatologia sia legata a fibrosi tissutale con variazioni del collagene che compromettono la funzione di supporto del pavimento pelvico insieme ad alterazioni biomeccaniche, del sistema nervoso e vascolare. Età e sesso non sembrano incidere sul rischio di LUTS e le patologie urologiche di norma associate sono raramente riportate in SSc, anche la tosse cronica correlata a fibrosi polmonare interstiziale (ILD), spesso presente in SSc, avrebbe un ruolo nella genesi di LUTS, nonostante i sintomi urinari ed in particolare l’incontinenza urinaria (IU) sembrino maggiormente presenti nella forma meno estesa di malattia. Tra le disfunzioni GI è spesso riferita incontinenza fecale (IF), verosimilmente correlata a disfunzione anorettale, con notevole impatto sulla QoL. Obiettivo dello studio è stato valutare la presenza di disturbi GI e LUTS ed il loro impatto sulla QoL percepita, in pazienti Ssc, per migliorarne la presa in carico ed il trattamento. Materiali e Metodi Per valutare la presenza di sintomi gastrointestinali in questi pazienti è stato utilizzato il questionario UCLA Scleroderma Clinical Trial Consortium Gastrointestinal Tract (UCLA SCTC GIT), che indaga 7 domini relativi a reflusso gastrointestinale, gonfiore addominale, diarrea, incontinenza fecale, attività sociali, benessere emotivo e stipsi. Inoltre è stato somministrato il questionario Health Assessment Questionnaire-Disability Index (HAQ-DI) che indaga quanto la patologia incida sulla QoL. Successivamente, per valutare la presenza di LUTS sono stati somministrati i questionari Leicester Cough Questionnaire (LCQ) ed International Consultation on Incontinence Questionnaire–Short Form (ICIQ-SF). Sono stati reclutati 53 pazienti, di cui 5 maschi, affetti da SSc, sono stati raccolti dati demografici, clinici e di laboratorio, eseguite prove di funzionalità respiratoria, inoltre è stata rilevata la presenza di fibrosi come indice di gravità della malattia. Per l’analisi statistica sono stati utilizzati test di correlazione di Spearman, di regressione lineare e logistica. Risultati Nel campione esaminato la presenza di disfunzioni gastrointestinali impatta significativamente sulla qualità della vita e c’è una moderata correlazione con la gravità della malattia di base. Inoltre l’incontinenza fecale interferisce in maniera significativa con le attività sociali. Per i LUTS, invece, non è stata dimostrata nessuna correlazione statisticamente significativa tra i parametri in esame, ma è stata trovata una correlazione statisticamente significativa con alcuni parametri della funzionalità respiratoria. Conclusioni Questo studio fornisce una visione generale della prevalenza dei sintomi correlati a disfunzioni dell’area sacrale in particolare LUTS e IF che si ripercuotono sulla QoL percepita dal paziente. La correlazione significativa tra la sintomatologia esaminata e la funzionalità respiratoria potrebbe suggerire la presenza di una dissinergia addomino-pelvica, anche se questo reperto non rappresentava l’obiettivo principale dello studio. Le osservazioni eseguite hanno spinto il gruppo di lavoro a proporre a tutti i pazienti Ssc una valutazione selettiva dei muscoli del pavimento pelvico con testing perineale manuale e rilevazione di parametri quali forza fasica e tonica, per valutare l’effettiva compromissione della funzione di supporto in un contesto di fibrosi tissutale. Questo permetterebbe di perfezionare l’inquadramento diagnostico ed il trattamento dei disturbi GI ed in particolare di IF e LUTS nel contesto di una patologia multisistemica. La valutazione clinica potrebbe inoltre favorire la proposta di un progetto riabilitativo tailored e l’invio appropriato a specialisti per eventuale valutazione strumentale (es.esame urodinamico, manometria rettale, etc.). L’obiettivo di questa progressiva definizione di un percorso condiviso confluisce in una presa in carico multidisciplinare, che favorisce un approccio al paziente tempestivo e completo per migliorarne la sintomatologia e, quindi, la QoL. Bibliografia – Gualtierotti et al, Reliability and validity of the Italian version of the UCLA Scleroderma Clinical Trial Consortium Gastrointestinal Tract Instrument in patients with systemic sclerosis, Clin Exp Rheumatol 2015 Jul-Aug;33(4 Suppl 91):S55-60. – John G, Avouac J, Piantoni S, Polito P, Fredi M, Cozzi F et al (2017) Prevalence and disease-specific risk factors for lower urinary tract symptoms in systemic sclerosis: an international multicentric study. Arthritis Care Res 70:1218–1227 – Tashkin DP, Volkmann ER, Tseng CH, Roth MD, Khanna D, Furst DE, Clements PJ, Theodore A, Kafaja S, Kim GH, Goldin J, Ariolla E, Elashoff RM. Improved Cough and Cough-Specific Quality of Life in Patients Treated for Scleroderma-Related Interstitial Lung Disease: Results of Scleroderma Lung Study II. Chest. 2017 Apr;151(4):813-820
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Efficacia dell’intervento riabilitativo del paziente con paralisi periferica del faciale
Gestione riabilitativa integrata del paziente con Paralisi Periferica del Faciale Luigi Giordano1, Francesca Elsa Allibrio1 , Sara Liguori1, Marco Paoletta1, Giovanni Iolascon1, Francesca Gimigliano2 , Antimo Moretti1 1 Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli 2 Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli Introduzione Le paralisi periferiche del nervo faciale (PPF) rappresentano una condizione debilitante con una compromissione sia estetica che funzionale che può avere un impatto significativo sull’autonomia e sulla qualità di vita del paziente [1]. La forma idiopatica (Paralisi di Bell), la più frequente, presenta una incidenza di 20-25 casi ogni 100.000 abitanti all’anno [2]. Sebbene molti approcci terapeutici siano sempre più utilizzati nella pratica clinica la gestione riabilitativa ottimale delle PPF rimane ancora oggetto di dibattito [3]. Obiettivo del nostro studio è stato di valutare l’efficacia di un protocollo riabilitativo integrato comprendente Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva (FNP), terapia vibratoria locale (Local Vibration Therapy, LVT) ed elettrostimolazione (Functional Electric Stimulation, FES) sul miglioramento dell’espressione facciale, della forza muscolare, delle limitazioni funzionali e delle autonomie in pazienti con PPF. Materiali e Metodi Abbiamo reclutato pazienti con diagnosi di PPF afferenti presso l’Istituto di Diagnosi e Cura “Hermitage Capodimonte” di Napoli nel periodo aprile-luglio 2023. Ai pazienti è stato somministrato al baseline (T0) un protocollo valutativo comprendente dati anagrafici ed antropometrici, scale di valutazione funzionali (Sunnybrook Facial Evaluation scale, SB; House Brackmann grading system, HB), e della disabilità (Facial Clinimetric Evaluation scale, FACE; Facial Disability Index, FDI). E’ stata inoltre effettuata una misurazione diretta della forza di chiusura delle labbra tramite dinamometro a molla (PESOLA®) 3000 G effettuando tre misurazioni all’angolo dell’emilato affetto e tre misurazioni all’emilato sano e calcolando la media aritmetica per ciascun lato. I pazienti sono stati dunque sottoposti ad un protocollo riabilitativo integrato della durata di 8 settimane (5 sedute a settimana) comprendente 20 min di FNP (Kabat facciale), 20 min di LVT tramite Novafon PRO® e 15 min di FES con correnti esponenziali. I pazienti sono stati rivalutati al termine del trattamento (T1). Risultati Sono stati reclutati 6 pazienti (4 maschi e 2 femmine); di questi 1 ha lasciato lo studio interrompendo il trattamento in corso per problematiche personali. Tutti i pazienti avevano una diagnosi di PPF idiopatica con una durata di malattia variabile da 1 a 4 mesi. I dati preliminari hanno evidenziato un miglioramento di tutti gli outcome considerati per tutti i pazienti con risultati statisticamente significativi per la FDI sia nello score totale che negli score parziali di Physical Function e di Well Being (p < 0.05). I pazienti verranno rivalutati ad 8 settimane dal termine del trattamento (T2) per valutare l’efficacia nel lungo termine. Conclusioni I dati preliminari a nostra disposizione suggeriscono l’efficacia di un approccio riabilitativo integrato nella gestione del paziente con PPF. Sono necessari ulteriori dati su una casistica più ampia di pazienti per avvalorare tale ipotesi e per valutare l’efficacia nel lungo termine. Bibliografia 1. Ho AL, Scott AM, Klassen AF, Cano SJ, Pusic AL, Van Laeken N. Measuring quality of life and patient satisfaction in facial paralysis patients: a systematic review of patient-reported outcome measures. Plast Reconstr Surg. 2012 Jul;130(1):91-99. doi: 10.1097/PRS.0b013e318254b08d. PMID: 22743876. 2. Finsterer J. Management of peripheral facial nerve palsy. Eur Arch Otorhinolaryngol. 2008 Jul;265(7):743-52. doi: 10.1007/s00405-008-0646-4. Epub 2008 Mar 27. PMID: 18368417; PMCID: PMC2440925. 3. Baricich, A., Cabrio, C., Paggio, R., Cisari, C., & Aluffi, P. (2012). Peripheral facial nerve palsy: how effective is rehabilitation?. Otology & neurotology : official publication of the American Otological Society, American Neurotology Society [and] European Academy of Otology and Neurotology, 33(7), 1118–1126. https://doi.org/10.1097/MAO.0b013e318264270e
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Differenze di genere in pazienti con frattura dell’estremo prossimale del femore: handgrip, equilibrio e stato cognitivo.
Differenze di genere in pazienti con frattura dell’estremo prossimale del femore in termini di forza muscolare e performance fisica Introduzione Le fratture di femore rappresentano una delle principali fratture da fragilità con una prevalenza del 19,6% a livello mondiale (1). Tale evento si può associare ad una significativa riduzione delle autonomie ed impairment cognitivi (2). Il tasso di sopravvivenza globale e durante il primo anno dopo l’intervento chirurgico sembrano essere più elevati nelle femmine rispetto ai maschi (3), ed in particolare, pazienti maschi ed anziani con rating ASA di classe 3 o 4 sembrano essere più a rischio di disabilità e mortalità precoce. Tuttavia, pochi sono gli studi che indagano le differenze di genere negli outcome funzionali di tale popolazione. Obiettivo dello studio è la caratterizzazione delle differenze di genere in termini di forza e performance dei pazienti con frattura dell’estremo prossimale di femore. Materiali e Metodi Abbiamo incluso pazienti che avevano subito una frattura da fragilità dell’estremità prossimale del femore sottoposti a riduzione chirurgica e trattamento riabilitativo in regime di ricovero intensivo. La popolazione è stata divisa in due gruppi secondo il sesso. A tutti è stato somministrato un protocollo valutativo ad inizio (T0) ed a fine trattamento riabilitativo a 30 giorni (T1), che includeva la valutazione di forza muscolare mediante Handgrip Strength Test (HGS) e performance mediante la Short Physical Performance Battery (SPPB). Risultati Lo studio ha incluso 4 pazienti di sesso maschile e 4 di sesso femminile. I pazienti maschi avevano una età media di 84 ± 5 anni, BMI medio di 23,74 ± 3,6 kg/m^2, 3 pazienti sono stati trattati con una protesi totale e 1 paziente con chiodo endomidollare. Il gruppo di sesso femminile aveva una media di 82 ± 8,2 anni, e BMI di 20,5 ± 4,2 kg/m^2; 3 pazienti sono stati trattati con una protesi totale e 1 paziente con chiodo endomidollare (Tab. 1). Alla valutazione nei due tempi i risultati sono stati: per il gruppo maschile, HGS (T0: 9,89 kg vs T1: 21,8 kg; Δ=+11,18); SPPB (T0: 0,25 vs T1: 4; Δ=+3,8) (Tab.2); per il gruppo femminile: HGS (T0: 7,33 kg vs T1: 10,5 kg; Δ=+3,13); SPPB (T0: 1 vs T1: 4,5; Δ=+3,5) (Tab. 3). Il confronto delle differenze tra T0 e T1 nei due gruppi ha evidenziato una differenza statisticamente significativa per l’HGS (p=0,028), e non per l’SPPB (p=0,82). Conclusioni In conclusione, dal nostro studio è emerso che, sebbene in entrambi i gruppi si sia riscontrato un miglioramento ad un mese di tutti gli outcome esaminati, il recupero della forza muscolare sembra essere stato maggiore nel sesso maschile rispetto a quello femminile. Non sono state rilevate differenze tra i due gruppi per quanto riguarda la performance fisica. Tuttavia, la ridotta numerosità del campione analizzato non consente di trarre conclusioni definitive.
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Efficacia dell’idrochinesiterapia nella riabilitazione post-intervento di protesi totale di ginocchio: differenze di genere nei pazienti ricoverati in riabilitazione intensiva
Introduzione L’artrosi di ginocchio (Fig.1) è una delle principali cause di disabilità nelle persone di età superiore ai 65 anni (1). L’intervento chirurgico più comune per questa patologia è l’impianto di protesi totale di ginocchio (PTG) (Fig.2) (2). Al fine di consentire un rapido ritorno alle attività di vita quotidiana (AVQ), l’idrochinesiterapia rappresenta uno degli approcci riabilitativi più usati. Tuttavia, ci sono ad oggi poche evidenze sulla sua efficacia e nessuno studio ha indagato le differenze di genere nella risposta a tale trattamento. Pertanto, l’obiettivo dello studio è stato di valutare l’efficacia dell’idrochinesiterapia nell’approccio riabilitativo post-intervento di PTG tra i pazienti ricoverati in riabilitazione intensiva e di analizzare le differenze di genere. Materiali e Metodi Abbiamo incluso pazienti sottoposti ad intervento di PTG per gonartrosi primaria. Il protocollo valutativo ha previsto quattro sezioni: la prima riguardante la raccolta di dati antropometrici ed anamnestici, incluse eventuali comorbidità, valutate tramite la Cumulative Illness Rating Scale (CIRS) nei pazienti > 65 anni e l’Indice di Comorbidità di Charlson (CCI) nei pazienti < 65 anni; la seconda sezione ha valutato il miglioramento in termini di escursione articolare tramite valutazione goniometrica del range of motion (ROM) e della forza muscolare tramite Manual Muscle Testing (MMT); la terza sezione ha analizzato l’intensità del dolore tramite la NRS (Numeric Rating Scale) e le caratteristiche di dolore, rigidità e funzione tramite la WOMAC (Western Ontario and McMaster University); la quarta sezione ha identificato il grado di autonomia durante lo svolgimento delle AVQ tramite l’indice di Barthel. I pazienti sono stati valutati al T0 (inizio dell’idrochinesiterapia) e al T1 (20 giorni dopo l’inizio dell’idrochinesiterapia). Risultati Sono stati arruolati 39 pazienti (19 femmine e 20 maschi) con età media di 68.9 ± 1,14 anni e BMI medio di 29,48 ± 0,48 kg/m2. Al confronto T0-T1, si è assistito ad un miglioramento statisticamente significativo di tutte le misure di outcome indagate (Tabella 1). Suddividendo la popolazione per genere, al T0 i maschi presentavano un peggiore punteggio al subitem dolore della WOMAC rispetto alle donne (Tabella 2); infine, non si osservavano differenze gender-related per tutti gli outcome valutati tra i due tempi (Tabella 3). Conclusioni L’idrochinesiterapia si conferma una metodica riabilitativa efficace in termini di recupero di funzione e miglioramento di dolore e rigidità nei pazienti sottoposti a PTG, senza sostanziali differenze in termini di effectiveness suddividendo la popolazione trattata per genere. Bibliografia 1) Kahlenberg CA, et al. Patient Satisfaction After Total Knee Replacement: A Systematic Review. HSS J. 2018 Jul;14(2):192-201. doi: 10.1007/s11420-018-9614-8. 2018. 2) Foley A, et al. Does hydrotherapy improve strength and physical function in patients with osteoarthritis--a randomised controlled trial comparing a gym based and a hydrotherapy based strengthening programme. Ann Rheum Dis. 2003  
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Utilizzo del Collagene di tipo I nel trattamento della rizoartrosi sintomatica
Utilizzo di Collagene di Tipo I nel trattamento della rizoartrosi sintomatica: risultati preliminari F. Giarda1 , A. Parente2 , F. Cattaneo2 , F. Gervasoni3 , A. Robecchi4 , A. Caronni4,5 1 S.C. Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione, ASST GOM Niguarda, Milano; 2 Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Milano; 3ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano; 4Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative, Ospedale San Luca, IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Milano; 5Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli studi di Milano. Introduzione L’osteoartrosi dell’articolazione trapezio-metacarpale (TM), conosciuta meglio come rizoartrosi, è una patologia che colpisce circa il 20% della popolazione sopra i 50 anni. La sintomatologia si manifesta bilateralmente nel 50% dei casi. Un ruolo considerevole nella patogenesi è rappresentato dall’instabilità della TM, che può essere secondaria a iperlassità legamentosa o a sollecitazione ripetuta in senso radiale della base del I osso metacarpale, condizionante un aumento della forza lussante e progressivo detensionamento dell’apparato capsulo-legamentoso. In particolare, un allentamento del legamento intermetacarpale, teso tra la base del I e II osso metacarpale e limitante il movimento di abduzione del I dito, determina la progressiva sublussazione esterna della base del I osso metacarpale, con conseguente incongruenza delle superfici articolari e progressione dei fenomeni degenerativi [1]. Dal punto di vista clinico, i pazienti presentano dolore localizzato alla base del primo dito, accentuato da movimenti attivi in abduzione radiale e/o passivi in rotazione-opposizione, che può comportare un grado variabile di deficit di forza e limitazione funzionale, a riposo e durante le attività, con conseguente impatto negativo sulla qualità di vita [2]. Studi in vitro hanno dimostrato la capacità del collagene tipo I ad uso infiltrativo di intervenire sulle vie di turnover del collagene, proponendosi come bio-scaffold ad azione riparativa e rigenerativa, mentre diversi lavori in vivo hanno evidenziato miglioramenti in termini di riduzione del dolore e maggiore funzionalità a seguito di un suo utilizzo infiltrativo intra e peri-articolari negli stadi iniziali di artrosi localizzati nei diversi distretti articolari [3]. Lo scopo di questo studio è quello di valutare la possibile efficacia e la sicurezza di impiego dei medical devices a base di collagene tipo I di origine suina nel trattamento della rizoartrosi sintomatica. Materiali e metodi – Sono state arruolate 13 persone [età media 60,4 anni; 11F, 2M] presentanti quadro clinico di rizoartrosi sintomatica, sei delle quali con sintomatologia bilaterale. – I pazienti, nei tre mesi precedenti al reclutamento, non sono stati sottoposti a terapie fisiche o ad altri trattamenti infiltrativi locali. A ciascun soggetto sono state effettuate 5 infiltrazioni intra-articolari e periarticolari a livello dell’articolazione trapezio-metarcarpale, con cadenza settimanale, sotto guida ecografica con ago 27G x 4mm. – E’ stata somministrata la scala VNS a riposo (VNS-R) e durante il movimento (VNS-A) per quantificare la sintomatologia dolorosa e il questionario DASH come indice di impatto funzionale della patologia. – Tutte le misure sono state effettuate prima di iniziare il trattamento (T0), durante ogni singola seduta infiltrativa (T1-T4), a un mese (T5) e a tre mesi (T6) dal termine del trattamento, per analizzare l’insorgenza e la durata di eventuali miglioramenti. Risultati – I nostri risultati hanno evidenziato un effetto statisticamente significativo della sessione F0-F6 (F6,108 = 8.42; p < 0.001), indicando che ci sono differenze significative nel valore di VNS-R nelle diverse sessioni di valutazione, in particolare: l punteggio VNS-R alla sessione risulta significativamente maggiore rispetto alle sessioni 2 (p = 0.036), 3 (p < 0.001), 4 (p < 0.001), 5 (p < 0.001) e 6 (p = 0.022). - I risultati di VNS – A replicano sostanzialmente quelli di VNS – R., con effetto sessione statisticamente significativo. - La DASH alla sessione 0 è ridotta significativamente rispetto a quella raccolta alle sessioni 4 (p <0,001), 5 (p <0,0357) e 6 (p <0,0092). Conclusioni Il trattamento infiltrativo mediante medical device a base di collagene di tipo I può essere rappresentare una valida alternativa nella gestione della rizoartrosi sintomatica, in considerazione della sicurezza, della facilità di impiego e dell’efficacia osservata. Sono, tuttavia, necessarie ulteriori evidenze per meglio definire le indicazioni e i limiti della metodica. Bibliografia [1]. Edmunds JO. Current concepts of the anatomy of the thumb trapeziometacarpal joint. J Hand Surg Am. 2011 Jan;36(1):170-82 [2]. Siviero P, Zambon S, Limongi F, Castell MV, Cooper C, Deeg DJ, Denkinger MD, Dennison EM, Edwards MH, Gesmundo A, Otero Á, Pedersen NL, Peter R, Queipo R, Timmermans EJ, van Schoor NM, Maggi S; EPOSA Research Group. How Hand Osteoarthritis, Comorbidity, and Pain Interact to Determine Functional Limitation in Older People: Observations From the European Project on OSteoArthritis Study. Arthritis Rheumatol. 2016 Nov;68(11):2662-2670 [3]. Brunato F. The treatment of rhizoarthrosis with collagen medical device small joints. Physiological Regulating Medicine, 2021; 3-12 Hao D, Wang J. Fixed-bearing vs mobile-bearing prostheses for total knee arthroplasty after approximately 10 years of follow-up: a meta-analysis. J Orthop Surg Res. 2021 Jul 6;16(1):437. doi: 10.1186/s13018-021-02560-w. PMID: 34229702; PMCID: PMC8259014
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confronto tra pazienti sottoposti ad intervento di PTG a piatto fisso e a piatto mobile, in termini di limitazione funzionale, performance fisica e qualità di vita nel periodo post-operatorio
LI CONGRESSO NAZIONALE SIMFER LA RIABILITAZIONE TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO. CHI ERAVAMO, CHI SIAMO, CHI VORREMMO ESSERE 12-15 OTTOBRE 2023 Confronto tra pazienti sottoposti ad intervento di PTG a piatto fisso e a piatto mobile in termini di limitazione funzionale, performance fisica e qualità di vita nel periodo post-operatorio S. Conversano, F. Giliberti, M. Centaro, A. Silvestri, M. Paoletta, A. Moretti Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli, Italia Introduzione La protesi totale di ginocchio (PTG) è il trattamento di scelta nella gonartrosi che comporta un significativo miglioramento clinico e della qualità di vita del paziente (1). Ad oggi, le protesi di ginocchio prevedono due tipi di piatto, quello fisso (PF) e il piatto mobile (PM). La PTG a PM presenta la possibilità di movimento all’interfaccia tibia-inserto che consente una maggiore congruenza tibiofemorale, riducendo l’usura degli impianti (2). La PTG a PF presenta componenti femorali rotonde che si articolano con una superficie articolare tibiale relativamente piatta, questa configurazione provoca un’elevata sollecitazione da contatto tra la superficie femorale e tibiale. Alcuni studi hanno indagato le differenze in termini di recupero funzionale post-operatorio tra i due tipi di protesi, tuttavia con risultati contrastanti (3). Pertanto l’obiettivo del nostro studio è quello di confrontare l’outcome funzionale in pazienti sottoposti ad intervento di PTG a PF vs PM, in termini di limitazione funzionale, performance fisica e qualità di vita nel periodo post-operatorio. Materiali e metodi Abbiamo reclutato soggetti con diagnosi di gonartosi primaria afferenti presso l’ambulatorio di Ortopedia dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e candidati all’intervento di impianto di protesi di ginocchio. A tutti i pazienti è stato somministrato un protocollo di valutazione comprendente la raccolta di dati anamnestici e antropometrici (età, sesso, BMI), ed una valutazione funzionale riassunta in Tabella 1. Tale protocollo valutativo è stato somministrato prima dell’intervento (T0), ed a tre mesi (T1) dopo l’intervento. I pazienti sono stati selezionati secondo i criteri di inclusione riassunti in Tabella 2. Risultati Sono stati reclutati quattro soggetti (3 maschi, una femmina) di età compresa tra 60 e 80 anni di cui due sono stati sottoposti ad impianto di PTG a PF e due sono stati sottoposti a impianto di PTG a PM. In tutti i pazienti, al T1 si è riscontrato un miglioramento di tutti i parametri analizzati rispetto al T0. In particolar modo i confronti tra le differenze medie nei due gruppi a 3 mesi (T1-T0) dall’intervento hanno evidenziato i risultati mostrati in Tabella 3. Conclusioni I risultati preliminari dello studio sembrano riportare un maggiore recupero a 3 mesi nei pazienti sottoposti ad impianto di protesi di ginocchio a piatto mobile in termini di dolore, funzione e qualità di vita. Tale risultati potrebbe essere ascrivibile al design di questa protesi che consentirebbe uno scorrimento migliore tra i componenti protesici ed un recupero funzionale più rapido. Tuttavia, la numerosità del campione esaminato è ancora troppo ridotta per poter trarre delle conclusioni definitive. Bibliografia • Hao D, Wang J. Fixed-bearing vs mobile-bearing prostheses for total knee arthroplasty after approximately 10 years of follow-up: a meta-analysis. J Orthop Surg Res. 2021 Jul 6;16(1):437. doi: 10.1186/s13018-021-02560-w. PMID: 34229702; PMCID: PMC8259014. • Callaghan JJ, Insall JN, Greenwald AS, Dennis DA, Komistek RD, Murray DW, Bourne RB, Rorabeck CH, Dorr LD. Mobile-bearing knee replacement: concepts and results. Instr Course Lect. 2001;50:431-49. PMID: 11372345. • Aglietti P, Baldini A, Buzzi R, Lup D, De Luca L. Comparison of mobile-bearing and fixed-bearing total knee arthroplasty: a prospective randomized study. J Arthroplasty. 2005 Feb;20(2):145-53. doi: 10.1016/j.arth.2004.09.032. PMID: 15902852.
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Realtà virtuale e brain-computer interface per migliorare le capacità di guida della carrozzina elettronica in bambini con paralisi cerebrale
Realtà virtuale e brain-computer interface per migliorare le capacità di guida della carrozzina elettronica in bambini con paralisi cerebrale S.Orlandi1*, K. Marcaccini1,2, V. A. Arcobelli1,L. Dellarole3, A. Groppi4, F.R. Pulvirenti3, F. Giorgi3, S. Tortora5,6, L. Tonin5,6, F. Torelli1, F. Pierotti1, G. Piermaria1, F. Tampellini1, L. Chiari1, and A. Cersosimo3 1.Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione – Guglielmo Marconi(DEI), Università di Bologna; 2.Laboratorio di bioingegneria della riabilitazione, istituito delle scienze neurologiche di Bologna; 3.UOC Medicina Riabilitativa Infantile, IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna; 4.DATeR UA Ospedale Maggiore – AUSL di Bologna; 5.Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università di Padova; 6.Padova Neuroscience Center, Università di Padova, Padova *silvia.orlandi9@unibo.it Introduzione Il 10-40% dei 65 milioni di persone che necessitano di una carrozzina non può utilizzare una carrozzina elettronica (CE) a causa di disturbi sensoriali, motori e neurocognitivia. Imparare a guidare una CE richiede un addestramento molto faticoso per poter garantire condizioni di guida sicure. La realtà virtuale (VR) è una soluzione alternativa per l’addestramento alla guida sicura. I simulatori VR esistenti utilizzano joystick o hand tracker non sempre utilizzabili da persone con gravi disabilità motorie. Le interfacce Brain-computer interface (BCI) basate su elettroencefalogramma (EEG) ed elettro-oculogramma (EOG) rappresentano una alternativa per controllare la VR. Obiettivi 1 Verificare l’efficacia di tecnologie VR per valutare e migliorare le competenze di guida della CE. 2 Sviluppare e valutare una BCI ibrida EOG-EEG per controllare un simulatore di guida per CE basato su VR. Metodi 1 Il simulatore VR controlla una CE virtuale in un ambiente tridimensionale e valuta le prestazioni di guida tramite una versione virtuale del power mobility program (PMP). Due pazienti (P1, P2) con paralisi cerebrale infantile (PCI) hanno effettuato 1 sessione di 20 prove immersive (imm) per valutare le loro abilità di guida. 2 La EOG-EEG BCI (32 canali, ANT Neuro eegoTMsports) permette di controllare il simulatore VR attraverso l’immaginazione di movimentib. Due individui neurotipici (C1, C2) hanno svolto 1 prova con 10 ripetizioni in modalità semi immersiva (semi-imm). C1 ha svolto anche 10 ripetizioni immersive (imm), indossando il visore. Risultati 1. P1 e P2 non hanno riscontrato fastidio nell’uso del simulatore VR. 2. C1 e C2 hanno portato a termine tutte le ripetizioni previste con il sistema BCI controllando il simulatore VR. Conclusioni • Il simulatore VR può essere utilizzato per simulare la guida in carrozzina. Per validarne l’efficacia per il PMP occorrerà aumentare la casistica. • La BCI permette il controllo del simulatore VR ma il carico di lavoro mentale rappresenta una barriera al suo utilizzo. Bibliografia a. Fehr L. et al. (2000). Adequacy of power wheelchair control interfaces for persons with severe disabilities: A clinical survey. Journal of rehabilitation research and development, 37(3), 353-360. b. Tortora S. et al. (2022). Neural correlates of user learning during long-term BCI training for the Cybathlon competition. Journal of NeuroEngineering and Rehabilitation, 19(1), 1-19. Ringraziamenti Questo studio è stato finanziato da Fondazione CARISBO – Bando Ricerca Medica e Alta Tecnologia 2022, IRCCS delle Scienze Neurologiche di Bologna – Fondi Ricerca Corrente 2022 – Ministero della Salute e PRIN 2022 (2022BCZ52A) – Ministero dell’Università e della Ricerca.
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Considerazioni sull’appropriatezza relativa ai ricoveri in riabilitazione intensiva nella malattia di Parkinson secondo DM 8 agosto 2021: la nostra esperienza
Considerazioni sull’appropriatezza relativa ai ricoveri in riabilitazione intensiva nella Malattia di Parkinson secondo DM 8 Agosto 2021: la nostra esperienza Tomasello S.a, Giordano A.a, Picelli A.a, Smania N.a, Bulighin C.b, c E-mail: antonio.giordano237@gmail.com (a) Centro di Ricerca in Riabilitazione Neuromotoria e Cognitiva, (b) Società Scientifica della Riabilitazione, (c) Casa di Cura Privata Centro Riabilitativo Veronese INTRODUZIONE Negli ultimi anni sono avvenuti cambiamenti normativi riguardo la SDO Riabilitativa volti a migliorare la descrizione dei pazienti candidabili al ricovero. Il DM 8 agosto 2021 “Criteri di appropriatezza dell’accesso ai ricoveri riabilitazione” prevede l’inserimento obbligatorio dei punteggi di specifiche scale di valutazione adatte alla definizione del fabbisogno riabilitativo nei vari setting di ricovero; per i ricoveri cod.56 ritroviamo la Scala Rankin per indagare la funzionalità premorborsa, la Barthel Index (BI) per la disabilità e la Rehabilitation Complexity Scale – Extended (RCS-E) per la complessità clinica. Uno studio di Rodà, Brianti et al. (2015) ha validato una versione italiana di quest’ultima scala che appare uno strumento adeguato a quantificare il consumo di risorse. SCOPO DELLO STUDIO Obiettivo primario: valutare l’appropriatezza dei ricoveri ordinari di pazienti affetti da Morbo di Parkinson (MP) attraverso la funzionalità premorbosa (Rankin scale), la disabilità (BI) e la complessità (RCS-E) all’ingresso e alla dimissione dal reparto. Obiettivo secondario: verificare l’applicabilità di una batteria di criteri per definire il setting riabilitativo più idoneo nei pazienti affetti da Parkinson. Criteri di inclusione • Età maggiore di 18 anni; • Diagnosi d’ingresso: malattia di Parkinson; • Ricovero in regime ordinario dal 01/01/2020 al 31/12/2022 nell’ Unità Operativa di Medicina Fisica e Riabilitazione della Casa di Cura Privata Centro Riabilitativo Veronese (CRV). Criteri di esclusione • Pazienti affetti da MP ma ricoverati per eseguire riabilitazione in seguito ad altre patologie (es. deficit deambulatorio in protesi di anca, fratture di femore…). Valutazione Medica (ingresso, dimissione) • Hoehn e Yahr; • Disabilità (Barthel Index- BI); • Funzionalità premorborsa (Rankin scale); • Complessità (Rehabilitation Complexity Scale – Extended – RCS-E). Raccolta dati demografici • Età • Sesso DISCUSSIONE In questo studio si è osservato un miglioramento dei punteggi alla BI, alla scala Rankin e alla scala RCS-E che dunque ha evidenziato un aumento delle autonomie raggiunte dai pazienti affetti da malattia di Parkinson e, contestualmente, una riduzione dei loro bisogni assistenziali al momento della dimissione. Sebbene si tratti di uno studio retrospettivo monocentrico e con un campione di pazienti di ridotte dimensioni si intravede come l’introduzione della scala RCS-E V13 – insieme alla già diffusa BI e Scala Rankin – possa essere un elemento importante sia sul piano organizzativo che su un piano operativo per definire il setting riabilitativo più appropriato e ottimizzare le risorse a disposizione. In base ai dati preliminari ad oggi disponibili non è possibile definire quale sia il punteggio limite che definisca l’appropriatezza del ricovero per ogni iter riabilitativo, ma la prospettiva futura è quella di poter individuare una batteria di criteri standardizzata per indirizzare il paziente affetto da Parkinson verso il setting riabilitativo più idoneo. BIBLIOGRAFIA [1] F. Rodà, M. Agosti, E. Corradini, F. Lombardi, M. Maini, R. Brianti, Cross-cultural adaptation and preliminary test-retest reliability of the Italian version of the Complexity Rehabilitation Scale-Extended (13th version). Eur J Phys Rehabil Med 2015;51:439-46. [2] G. Galeoto, A. Lauta, A. Palumbo, S.F. Castiglia, R. Mollica, V. Santilli et al. The Barthel Index: Italian translation, adaptation and validation. Int J Neurol Neu- rother 2015;2:1-7. [3] S. Bargellesi, Le nuove linee guida per la compilazione e la codifica della scheda di dimissione ospedaliera per i ricoveri di riabilitazione (reparti cod. 28, 56, 75) in Giornale italiano di Medicina Riabilitativa, Vol. 38 – N. 2 Giugno 2022
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Effetti di un trattamento intensivo multidisciplinare ambulatoriale versus un programma di auto-trattamento domiciliare nella Malattia di Parkinson: risultati preliminari
EFFETTI DI UN TRATTAMENTO INTENSIVO MULTIDISCIPLINARE AMBULATORIALE VERSUS UN PROGRAMMA DI AUTO-TRATTAMENTO DOMICILIARE NELLA MALATTIA DI PARKINSON: RISULTATI PRELIMINARI Andrea Parente2, Francesca Lea Saibene1, Federico Merlo1, Anna Salvatore1, Silvia Gobbo1, Anna Castagna1, Elisabetta Farina1, Margherita Alberoni1, Elena Calabrese1, Thomas Bowman1, Denise Anastasi1, Davide Cattaneo1,3 , Jorge Navarro1, Chiara Arienti1, Pietro Arcuri1 e Mario Meloni1,4 1 IRCCS Fondazione Don Carlo Gnocchi, Milan, Italy; 2 Scuola di Specializzazione Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Milano; 3 University of Milan, Italy; 4 UOC Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Cagliari, Italy Introduzione La Malattia di Parkinson (MP) è una patologia neurodegenerativa lentamente ingravescente, caratterizzata da sintomi motori (triade sintomatologica: tremore, rigidità e bradicinesia) e non-motori. Sebbene siano ormai presenti diversi studi sul miglioramento di diversi domini e abilità [1, 2] nelle Persone con Malattia di Parkinson (PcMP) dopo aver effettuato un programma riabilitativo intensivo multidisciplinare (in associazione alla terapia farmacologica dopaminergica), non ci sono informazioni complete sui fattori che possano avere maggiore impatto sulla risposta al trattamento riabilitativo. L’obiettivo principale del presente studio è stato quello di valutare se le PcMP, assegnate al trattamento riabilitativo ambulatoriale giornaliero intensivo multidisciplinare (Gruppo Sperimentale, EXP), mostrassero effetti a breve (T1) e a medio (T2) termine su domini motori e/o cognitivi e/o sulla Qualità della Vita auto-percepita diversi rispetto alle PcMP assegnate ad un programma di auto-trattamento domiciliare di stretching (Gruppo di Controllo, CTRL). L’obiettivo secondario è stato quello di valutare in entrambi i gruppi eventuali variazioni e/o correlazioni dei fattori trofici biomolecolari, in particolare il BDNF, quale marker di neuroplasticità cerebrale promossa e modulata dall’esercizio fisico. Materiali e metodi Sono state arruolate 56 Persone affette da Malattia di Parkinson (PcMP) [25 Gruppo di controllo (CTRL) / 31 Gruppo sperimentale (EXP); 28F/28M; Età (anni): 70,38 ± 7; mH&Y: 1,5-3; Durata malattia (anni): 7,15 ± 4,43]. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a valutazione neurologica e neuropsicologica all’ingresso (T0), dopo 6 settimane di trattamento (T1) e a distanza di 3 mesi dalla conclusione del trattamento (T2). Le PcMP del Gruppo EXP sono state inserite in un programma riabilitativo ambulatoriale, giornaliero, intensivo e multidisciplinare erogato in regime di Macro Attività Complessa (MAC); ciascun paziente è stato sottoposto quotidianamente (5giorni/settimana per 6 settimane consecutive) ad attività riabilitative multidisciplinari (neuromotoria, neuropsicologica, logoterapia, terapia occupazionale) della durata di 160’/giorno ciascuna (80′ motoria, 40′ riabilitazione cognitiva e 40′ logopedica) per 3 giorni/settimana e 180’/giorno (80′ motoria,60′ cognitiva e 40′ logopedica) per 2 giorni/settimana. Il gruppo EXP ha ricevuto 18 sedute (3 volte alla settimana) in cui è previsto un lavoro aerobico su treadmill della durata di 20 minuti, esercizi di equilibrio e rinforzo funzionale (20 minuti). Le PcMP allocate nel Gruppo CTRL hanno svolto un programma di auto-trattamento domiciliare per 40’/giorno per 6 settimane consecutive, consistente in esercizi di stretching muscolare e di mobilizzazione attiva. Il funzionamento motorio complessivo è stato valutato attraverso l’MDS-UPDRS-Parte III [3], mentre quello cognitivo complessivo tramite il Montreal Cognitive Assessment (MoCA Test). E’ stato valutato il mantenimento dell’equilibrio dinamico durante il cammino attraverso il Modified Dynamic Gait Index (mDGI) e la Qualità della vita auto-percepita attraverso la PDQ-39 (Parkinson’s Disease Questionnaire-39). I pazienti di entrambi i gruppi sono stati sottoposti, inoltre, a prelievi ematici per valutare i livelli sierici ed esosomiali del BNDF al (T0), a fine ciclo riabilitativo (T1) e al follow-up (T2). Risultati • Il Gruppo EXP-PcMP ha avuto, al T1, una riduzione pari 4.61 punti (p=0.027) al MDS-UPDRS-III rispetto al Gruppo CTRL-PcMP. • Sul campione complessivo di PcMP arruolate si è osservato un miglioramento significativo della PDQ-39 (p˂0.001) solo tra T1vsT0 mentre non tra T2vsT0, senza effetto ‘Gruppo’ di appartenenza. • Al Modified Dynamic Gait Index si è evidenziato un miglioramento significativo nel punteggio complessivo nel Gruppo EXP-PcMP rispetto al gruppo CTRL-PcMP sia al T1vs T0 [2.94 punti (p=0.008)] sia al T2 vs T0 [2.63 punti (p=0.045)]. • Il valore del BDNF esosomiale ha riscontrato un incremento significativo nel Gruppo EXP-PcMP in T2, con un aumento in media di 2,16 punti rispetto al gruppo controllo (p= 0.034). • Non è stato riscontrato alcun effetto statisticamente significativo sul punteggio al MoCA Test nel EXP-PcMP rispetto al CTRL-PcMP (p=0.61). Conclusioni I nostri risultati suggeriscono come un trattamento riabilitativo quotidiano, ambulatoriale, intensivo e multidisciplinare rivolto alle persone affette da Malattia di Parkinson possa determinare un miglioramento significativo della sintomatologia motoria e delle problematiche di equilibrio rispetto ad un programma di auto-trattamento domiciliare di stretching e mobilizzazione attiva. Tale miglioramento risulta rilevante anche nei pazienti con funzioni motorie lievemente compromesse alle valutazioni pre-trattamento, sottolineando l’importanza della presa in carico riabilitativa fin dalle prime fasi di malattia. L’incremento significativo del fattore neurotrofico BDNF nel gruppo sperimentale al T2 testimonia come un trattamento riabilitativo intensivo multidisciplinare inneschi, a distanza di qualche tempo, meccanismi di neuroplasticità cerebrale. Infine, sia la presa in carico ambulatoriale sia quella domiciliare determinano nei pazienti un beneficio riscontrato nell’aumento della qualità di vita percepita. Bibliografia [1] Meloni, M., Saibene, F. L., Di Tella, S., Di Cesare, M., Borgnis, F., Nemni, R., & Baglio, F. (2021). Functional and Cognitive Improvement After an Intensive Inpatient Multidisciplinary Rehabilitation Program in Mild to Severe Parkinson’s Disease: A Retrospective and Observational Study. Frontiers in Neurology, 12, 626041.  [2] Ferrazzoli, D., Ortelli, P., Zivi, I., Cian, V., Urso, E., Ghilardi, M. F., … & Frazzitta, G. (2018). Efficacy of intensive multidisciplinary rehabilitation in Parkinson’s disease: a randomised controlled study. Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry, 89(8), 828- 835.  [3] Goetz, C. G., Tilley, B. C., Shaftman, S. R., Stebbins, G. T., Fahn, S., Martinez‐Martin, P., … & LaPelle, N. (2008). Movement Disorder Society‐sponsored revision of the Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (MDS‐UPDRS): scale presentation and clinimetric testing results. Movement disorders: official journal of the Movement Disorder Society, 23(15), 2129-2170
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Qualità di vita e hand grip strength nell’anziano con fragilità scheletrica.
Qualità di vita e forza muscolare nell’anziano 
con fragilità scheletrica 

Robin Kuruvila Sentinella, Aurelio Di Palma, Sara Liguori, Angela Palomba, Antimo Moretti 

Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Mediche, Chirurgiche ed Odontoiatriche, 
Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli INTRODUZIONE La popolazione anziana presenta una riduzione delle capacità senso-motorie e mentali ed un aumento del rischio di patologie quali demenza e depressione. Tale declino dà luogo ad un circolo vizioso di progressiva sedentarietà, perdita di massa ossea e riduzione della forza muscolare con aumento del rischio di mortalità e ripercussioni sulla qualità di vita. La qualità di vita rappresenta un’importante misura di outcome relativa al benessere dell’individuo, tuttavia dati relativi a sue correlazioni con la forza muscolare nella popolazione anziana affetta da fragilità scheletrica sono scarni. Pertanto, l’obiettivo di questo studio è stato quello di indagare una possibile correlazione tra la forza muscolare e la qualità di vita in pazienti con fragilità scheletrica MATERIALI E METODI Abbiamo effettuato una analisi retrospettiva sul database relativo ai pazienti afferenti all’ambulatorio dell’UOC Medicina Fisica e Riabilitazione dell’AOU “Luigi Vanvitelli”. Abbiamo incluso i pazienti di età > 60 anni, con diagnosi di osteoporosi secondo la definizione radiologica della OMS, ovvero con un Ts ≤-2,5 alle acquisizioni lombari o femorali ottenute da esame MOC-DEXA, sottoposti ad una misurazione della forza mediante l’HGS con dinamometro tipo Jamar ed ai quali fosse stato somministrato ambulatorialmente il questionario EQ-5D per la valutazione della qualità di vita. Sono stati effettuate analisi statistiche descrittive e correlazioni tra i dati relativi all’HGS e all’EQ-5D. Si è, inoltre, suddivisa la popolazione femminile a seconda dei dati HGS in due sottogruppi («ridotta» o «normale» forza muscolare; gruppo 1 e 2 rispettivamente)[4] e si sono verificate le differenze tra questi sottogruppi in termini di qualità di vita. RISULTATI La nostra ricerca ha identificato 207 pazienti eleggibili (10 uomini e 197 donne), con età media di 69,7±6,24 anni e BMI 24,61±3,56kg/m2 (Tabella 1). È stata riscontrata una correlazione significativa dei dati relativi all’HGS con i dati relativi alla qualità di vita emersi dall’EQ-5D, sia per lo score totale (p= 0,002) che per la valutazione globale dello stato di salute con scala visuo-analogica (EQ-5D VAS, p= 0,015) (Tabella 2). Dal confronto dei punteggi medi relativi agli scores sulla qualità di vita ed ai parametri densitometrici dei sottogruppi divisi per valori di HGS, è emersa una differenza statisticamente significativa in termini EQ-5D VAS (p= 0,001), seppur non dello score complessivo dell’EQ-5D (p=0.833) (Tabella 3). CONCLUSIONI Questo studio condotto su una popolazione di pazienti anziani con osteoporosi ci ha permesso di sottolineare una correlazione significativa tra qualità di vita e forza muscolare. La riduzione di quest’ultima apporta infatti una differenza statisticamente significativa in termini di stato di salute percepito. Questo risultato sottolinea l’importanza di promuovere interventi volti al miglioramento della forza muscolare nell’anziano fragile al fine di favorire una percezione positiva del proprio stato di salute ed una buona qualità di vita. BIBLIOGRAFIA 1. Lips P, van Schoor NM. Quality of life in patients with osteoporosis. Osteoporos Int. 2005 May;16(5):447-55. doi: 10.1007/s00198-004-1762-7. Epub 2004 Dec 18. PMID: 15609073. 2. Kim GR, Sun J, Han M, Park S, Nam CM. Impact of handgrip strength on cardiovascular, cancer and all-cause mortality in the Korean longitudinal study of ageing. BMJ Open. 2019 May 9;9(5):e027019. doi: 10.1136/bmjopen-2018-027019. Erratum in: BMJ Open. 2019 Jun 11;9(6):e027019corr1. PMID: 31072857; PMCID: PMC6527975. 3. Pan, PJ., Hsu, NW., Lee, MJ. et al. Physical fitness and its correlation with handgrip strength in active community-dwelling older adults. Sci Rep 12, 17227 (2022). https://doi.org/10.1038/s41598-022-21736-w 4.Cruz-Jentoft AJ, Bahat G, Bauer J, Boirie Y, Bruyère O, Cederholm T, Cooper C, Landi F, Rolland Y, Sayer AA, Schneider SM, Sieber CC, Topinkova E, Vandewoude M, Visser M, Zamboni M; Writing Group for the European Working Group on Sarcopenia in Older People 2 (EWGSOP2), and the Extended Group for EWGSOP2. Sarcopenia: revised European consensus on definition and diagnosis. Age Ageing. 2019 Jan 1;48(1):16-31. doi: 10.1093/ageing/afy169. Erratum in: Age Ageing. 2019 Jul 1;48(4):601. PMID: 30312372; PMCID: PMC6322506.
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L’elastosonografia shear wave combinata con l’elettromiografia per valutare l’effetto della tossina botulinica sulla distonia spastica dopo l’ictus: studio pilota
L’ELASTOSONOGRAFIA SHEAR-WAVE COMBINATA CON L’ELETTROMIOGRAFIA PER VALUTARE L’EFFETTO DELLA TOSSINA BOTULINICA SULLA DISTONIA SPASTICA DOPO L’ICTUS: STUDIO PILOTA William Campanella1,2, Angelo Corazza3, Luca Puce1, Laura Privitera1, Riccardo Pedrini1,2 Laura Mori1,2, Leonardo Boccuni4, Giovanni Turtulici5, Carlo Trompetto1,2, Lucio Marinelli1,2 1 Università di Genova, Italia; 2 IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova, Italia; 3 Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano, Italia; 4 Institut Guttmann, Barcelona, Spagna; 5 Ospedale Evangelico Internazionale, Genova, Italia 1. INTRODUZIONE L’elastosonografia shear-wave (SWE) è una metodica utilizzata per effettuare una valutazione quantitativa delle proprietà meccaniche dei tessuti molli in termini di rigidità. Nei pazienti in esiti di ictus cerebrale, i muscoli paretici possono sviluppare ipertono a causa sia di meccanismi neuro-mediati sia di alterazioni strutturali con conseguente rimodellamento muscolare di tipo fibro-adiposo. Sulla base di questi presupposti, in questo studio pilota, l’obiettivo principale è stato quello di valutare l’effetto della tossina botulinica su pazienti post-ictus con distonia spastica utilizzando sia l’elettromiografia di superficie (sEMG) che la SWE, allo scopo di confermare che la riduzione dell’ipertono muscolare si rifletta nella riduzione dell’attività elettromiografica muscolare e della velocità di propagazione dell’onda di taglio (SWV). Inoltre, abbiamo voluto indagare la capacità della SWE di stimare le modificazioni muscolari in termini di elasticità negli arti paretici, per via del contributo dell’ipertono riflesso alla rigidità complessiva. 2. MATERIALI E METODI Sono stati reclutati 14 pazienti adulti con distonia spastica in seguito a ictus. L’ipertono muscolare è stato valutato clinicamente utilizzando la scala di Ashworth modificata (MAS). L’attivazione muscolare è stata misurata mediante sEMG con il muscolo selezionato sia in posizione accorciata (distonia spastica) sia in posizione allungata (riflesso da stiramento dinamico). La SWE è stata eseguita sia su un muscolo del lato paretico, sia sul suo controlaterale non paretico per calcolare le SWV lungo e attraverso le fibre muscolari (Fig.1). È stato inoltre determinato il pattern della scala di Heckmatt modificata (MHS). Tutte le valutazioni sono state eseguite poco prima (T0) e un mese dopo (T1) le iniezioni ecoguidate di BoNT-A. 3. RISULTATI Tutte le SWV dei muscoli paretici sono risultate superiori a quelle dei muscoli controlaterali non paretici (p < 0,01). Dopo l'iniezione di BoNT-A, è stata osservata una riduzione significativa delle misure di MAS (p = 0,0018) (Fig.2), distonia spastica (p = 0,0043) (Fig.3) e SWE longitudinale, sia quando il muscolo è in posizione accorciata (p = 0,001) che allungata (p = 0,0029). Non sono stati osservati cambiamenti significativi nella SWV dei muscoli non paretici. La SWV è risultata più elevata lungo la direzione delle fibre muscolari rispetto a quella trasversale (p = 0,001) (Figg. 4 e 5). Non sono emersi cambiamenti nelle valutazioni della MHS dopo la BoNT-A. È stata riscontrata una correlazione positiva tra i punteggi MHS e i valori di SWV mentre il muscolo era in posizione accorciata, ma non con la distonia spastica registrata mediante sEMG. 4. CONCLUSIONI Questo è il primo studio che valuta l'effetto della BoNT-A sull'ipertono muscolare dopo l'ictus, valutata sia con SWE che con sEMG. Questi risultati supportano la SWE come metodica utile per rivelare il rimodellamento muscolare intrinseco, indipendentemente dall'effetto della distonia spastica, in particolare quando i muscoli sono stati valutati in posizione non allungata. Le misurazioni SWE della rigidità muscolare non sono in grado di distinguere l'ipertonia muscolare riflessa da quella intrinseca. È interessante notare che quando l'attività sEMG è molto limitata, come nei muscoli spastici tenuti in posizione accorciata, la SWE può fornire una misura della rigidità dovuta quasi completamente a cambiamenti muscolari intrinseci. Questi dati suggeriscono che, insieme alla sEMG, la SWE potrebbe essere considerata utile nella valutazione della risposta ai trattamenti della spasticità. 5. BIBLIOGRAFIA • Trompetto C, Currà A, Puce L, Mori L, Serrati C, Fattapposta F, et al. Spastic dystonia in stroke subjects: prevalence and features of the neglected phenomenon of the upper motor neuron syndrome. Clin Neurophysiol. (2019) 130:521–7. doi: 10.1016/j.clinph.2019.01.012 • Lehoux M-C, Sobczak S, Cloutier F, Charest S, Bertrand-Grenier A. Shear wave elastography potential to characterize spastic muscles in stroke survivors: Literature review. Clin Biomech (Bristol, Avon). (2020) 72:84– 93. doi: 10.1016/j.clinbiomech.2019.11.025 • Miller T, Ying M, Sau Lan Tsang C, Huang M, Pang MYC. Reliability and validity of ultrasound elastography for evaluating muscle stiffness in neurological populations: a systematic review and meta-analysis. Physical Therapy. (2021) 101:pzaa188. doi: 10.1093/ptj/pzaa188
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LA GESTIONE INTESTINALE NELLA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA: UN METODO SEMPLICE PER MIGLIORARE LA QUALITA’ DELLA VITA DEI PAZIENTI
Introduzione La disfunzione intestinale neurogenica (NBD) può manifestarsi in associazione a differenti patologie neurologiche. La NBD si manifesta principalmente con incontinenza fecale e/o stitichezza. Le malattie neurologiche più comuni e meglio studiate correlate alla NBD includono la lesione midollare, la sclerosi multipla, l’ictus ed il morbo di Parkinson. La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce le cellule nervose del cervello e del midollo spinale. Nella letteratura è riportato che nella SLA laterale ci sono spesso disfunzioni nel sistema enterico e alterazioni nel microbioma intestinale che possono portare alla NBD, con prevalenza di stitichezza rispetto all’incontinenza fecale . Tuttavia, i sintomi gastrointestinali nei pazienti affetti da SLA sono stati in gran parte ignorati o sottovalutati e non esistono indicazioni specifiche sulla gestione intestinale per questi pazienti. Lo scopo di questo studio è riportare una soluzione semplice ed efficace per la gestione intestinale in un paziente affetto da SLA, diffondendo una strategia di successo e facilitandone l’adozione di questa da parte di altri centri. Materiali e Metodi Presentiamo il caso di una donna di 54 anni affetta da SLA, variante bulbare, diagnosticata nel 2016. La paziente è tetraparetica e completamente dipendente nelle attività della vita quotidiana dal 2021. Riferiva progressiva e ingravescente stitichezza negli ultimi 12 mesi, per cui evacuava solo una volta a settimana utilizzando sessioni di idrocolonterapia (ICT) in una clinica privata (1 seduta ogni 7 giorni). Durante le sedute di ICT evacuava feci di tipo 1-2 secondo la Scala di Bristol (BSS). La gestione intestinale era quindi completamente dipendente dall’ICT. Nei mesi precedenti aveva provato a utilizzare farmaci lassativi (polietilenglicole, bisacodile, derivati della senna) senza alcun beneficio. Risultati Inizialmente abbiamo valutato la funzione intestinale eseguendo una radiografia addominale semplice evidenziando un quadro di severa coprostasi con dilatazione delle anse coliche. Abbiamo quindi deciso di effettuare una toilette intestinale intensiva utilizzando una preparazione per colonoscopia a basso volume (PEG ad alta dose). Dopo la pulizia intestinale chimica, abbiamo avviato una terapia lassativa orale con PEG 4000, 1 bustina al giorno, e probiotici, una bustina al giorno (VSL#3), e abbiamo programmato evacuazioni ogni due giorni con un clistere. Con questo schema, la paziente ha evacuato ogni due giorni ma ha segnalato la presenza di evacuazioni incomplete (BSS 4) e di importante gonfiore (bloating) addominale. Pertanto, abbiamo posto indicazione ed iniziato l’irrigazione transanale (TAI) con un sistema ad alto volume (Qufora Irrisedo Flow), dopo aver escluso patologie del colon con una colonoscopia. Abbiamo iniziato a utilizzare la TAI inizialmente una volta al giorno e, dopo 15 giorni, siamo passati a giorni alterni. L’infermiere di riferimento ha istruito il caregiver della paziente all’uso della TAI. Abbiamo mantenuto in terapia il PEG una volta al giorno ed i probiotici una volta al giorno (VSL#3). Con questo schema, la paziente ha evacuato ogni due giorni con la sensazione di evacuazione completa (BSS 4). Dopo 40 giorni abbiamo eseguito una radiografia addominale semplice confermando l’assenza di impatto fecale e una riduzione della dilatazione delle anse coliche. Alla fine, sia la paziente che il caregiver hanno riportato una grande soddisfazione ed un notevole miglioramento della qualità della vita. Conclusioni La gestione intestinale descritta ha permesso alla paziente di programmare le evacuazioni a casa senza l’idrocolonterapia con i seguenti vantaggi: 1) il caregiver è autonomo; 2) l’approccio adottato migliora la qualità della vita; 3) la procedura è conveniente dal punto di vista economico; 4) sia il paziente che il caregiver apprezzano molto l’approccio. Questo caso mette in luce l’importanza di considerare e gestire la NBD nella SLA con un approccio semplice e personalizzato per il paziente, che può essere adottato con successo da altri centri dotati di team multidisciplinari.
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Attivazione muscolare durante l’immaginazione e l’osservazione di un movimento: protocollo di studio EMGrafico di superficie e risultati preliminari
“ATTIVAZIONE MUSCOLARE DURANTE L’IMMAGINAZIONE E L’OSSERVAZIONE DI UN MOVIMENTO: PROTOCOLLO DI STUDIO EMGRAFICO DI SUPERFICIE E RISULTATI PRELIMINARI” Pasquinelli Elena,1 Brambatti Jacopo, 1 Mengarelli Alessandro, 2 Tigrini Andrea, 2 Rosati Giacomo, 1 Silvia Vada, 1 Rago Giovanna, 1 Alessandra Marotta, 1 Benedetti Maria Grazia, 3 Ceravolo Maria Gabriella, 1 Federica Verdini, 2 Marianna Capecci. 1 1 Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Clinica di Neuroriabilitazione. Università Politecnica delle Marche 2 Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione. Università Politecnica delle Marche 3 Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie. Università degli Studi di Bologna 51° CONGRESSO NAZIONALE S.I.M.F.E.R. La riabilitazione tra passato, presente, futuro 12-15 ottobre 2023 INTRODUZIONE L’Immaginazione Motoria (MI) e l’Osservazione dell’Azione (AO) sono caratterizzate rispettivamente dall’esecuzione mentale di un’azione e dall’osservazione del gesto eseguito da altri, senza produzione di alcun movimento. È stato dimostrato che sia la MI che l’AO integrati in un programma riabilitativo promuovono l’apprendimento motorio mediante un’attivazione neurofisiologica delle aree cerebrali corrispondenti alla pianificazione motoria e all’esecuzione del movimento volontario, che tra loro sono in parte sovrapponibili, ma non identiche. [1-3] È noto che interventi di AO e MI, ripresi dalla prospettiva visiva in prima persona, ottimizzano le variabili cinetiche e cinematiche del gesto successivamente eseguito e promuovono l’apprendimento motorio rispetto alla prospettiva estrinseca. [2] Durante la MI e l’AO anche le vie cortico-spinali vengono attivate ed a livello muscolare si possono registrare attività elettriche congrue con il gesto immaginato o osservato. Gli studi che dimostrano un’attivazione muscolare indotta dalla MI sono numerosi e concordi nei risultati: la MI è accompagnata da attività EMG sottosoglia di movimento, specifica e selettiva per entità e localizzazione rispetto al tipo di gesto, al tipo di contrazione (i.e. concentrica, eccentrica o isometrica) ed alla forza da imprimere. [1-3] Pochi dati non conclusivi sono invece presenti rispetto all’EMG durante l’AO: alcuni autori ritengono che si verifichi un comportamento simile a quello osservato nella MI, altri non hanno registrato alcune attività EMG durante l’AO. [2] OBIETTIVI Questo studio è stato progettato per cercare un protocollo di studio utile ed approfondire i meccanismi neurofisiologici periferici alla base dell’AO rispetto al gesto volontario eseguito, alla MI ed al riposo in termini di attività EMG. MATERIALI E METODI SOGGETTI e METODI. Sei partecipanti (3 uomini e 3 donne, di età compresa tra i 27 e i 35 anni, media = 29.7 ± 4,1; 1 mancina) hanno partecipato allo studio previo consenso informato, nessuno soffriva di disturbi neuromuscolari e non riportavano lesioni muscolari recenti. • Durante la procedura sperimentale, i partecipanti sono stati fatti sedere, in un ambiente silenzioso, comodamente su una sedia poggiando l’avambraccio destro su un tavolo posto di fronte sul quale era posizionato un’ unità inerziale (IMU, G-SENSOR, BTS Bioengineering,70x40x18mm; peso 37gr). • Dopo aver preparato la cute, sono stati posizionati tre coppie di elettrodi wireless (FREEEMG 1000 – BTS Bioengineering – Fig 1) rispettivamente sui muscoli: opponente del primo dito (OID), flessore radiale del carpo (FRC) e bicipite brachiale (BB) dell’arto destro, secondo le raccomandazioni SENIAM (Surface ElectroMyoGraphy for the Non-Invasive Assessment of Muscles) (Hermens et al., 2000). (Fig. 2 e 3) • I partecipanti hanno svolto 4 differenti sessioni sperimentali, ciascuna 3 volte e tutte randomizzate tra loro. • Sessione di esecuzione dell’azione (ES): al partecipante è stato richiesto di eseguire il gesto di afferrare l’oggetto con la mano destra e portarlo verso la spalla omolaterale senza alzare il gomito dal tavolo compiendo una rotazione ed una flessione dell’avambraccio sul braccio e poi tornare alla posizione di partenza lasciando sul tavolo l’oggetto. Il movimento completo veniva eseguito 5 volte ed il gesto avveniva a ritmo di un metronomo, settato a 43 Hz: i partecipanti venivano addestrati ad eseguire la sequenza di movimenti al ritmo del metronomo scomponendo la sequenza in prensione, rotazione dell’avambraccio, flessione dell’avambraccio sul braccio ed estensione con rilascio dell’oggetto. (Fig 3) • Sessione di mental imagery (MI): è stato chiesto immaginare mentalmente se stessi mentre compivano lo stesso movimento della sessione ES, ripetuto 5 volte e sincronizzato col metronomo. Uno sperimentatore addestrato e non visto dal partecipante eseguiva il gesto con IMU contestualmente sincronizzandosi mediante il metronomo. • Sessione di action observation (AO): è stato chiesto di osservare l’azione eseguita di un operatore intento a svolgere la stessa sequenza di movimento utilizzando la IMU e sincronizzato al metronomo. • Sessione di riposo (Rest ): ai partecipanti è stato inoltre chiesto di effettuare tre prove di in cui rimaneva a riposo col braccio poggiato sul tavolo vuoto per 20 secondi. La sequenza delle prove è stata randomizzata ed almeno 20 secondi di riposo trascorrevano tra una prova e l’altra per garantire alle registrazioni EMG di mantenere una linea di base stabile. I soggetti suolati e gli sperimentatori venivano addestrati all’esecuzione del compito prima dell’avvio dell’esperimento. ANALISI DEI SEGNALI E DEI DATI. I segnali grezzi provenienti da ciascuna delle 3 sonde EMG sono stati campionati a una frequenza di acquisizione di 1kHz; risoluzione 16bit e trattati con filtro passa-banda (20-500 Hz Butterworth del 2° ordine) per la rimozione degli artefatti. Sulla base del segnale accelerometrico proveniente dalla IMU (acquisito a frequenza di campionamento di 100Hz) si sono individuate le finestre di movimento: intervalli di tempo in cui la sequenza di movimento veniva effettuata sia nella sessione ES, che nelle due sessioni di MI e AO rispettivamente. Ciascuna delle 5 ripetizioni della sequenza di movimento (della durate di circa 3 secondi) così individuata è stata quindi utilizzata per individuare le porzioni di segnale EMG da elaborare. Su ciascuna delle suddette porzioni di segnale EMG, per sessione (ES, MI e AO) e per ognuno dei 3 muscoli si è applicata un’analisi in frequenza per calcolare lo spettro e le relative componenti associate alla frequenza media e mediana. Analogamente su ciascun file delle 3 prove di Rest, sono state estratte finestre durata media pari a quella individuata come necessaria per effettuare una sequenza di movimento, e su tali porzioni di segnale è stato calcolato lo spettro ed estratte le frequenze medie e mediane. Per verificare le differenze nelle 4 sessioni sulla base dei parametri calcolati si è effettuato un confronto tra gruppi mediante analisi non parametrica (Kruskal Wallis ANOVA one-way) della varianza. Il valore alfa considerato significativo se < .05. I dati verranno rappresentati in termini di mediane e intervalli percentili (25-esimo e 75-esimo) RISULTATI L’analisi tra le 4 sessioni sperimentali ha evidenziato che, omogeneamente tra i soggetti esaminati, le frequenze medie e mediane dello spettro di potenza dell’EMG discriminano chiaramente in ciascun soggetto i tasks di Rest e da quelli ES del movimento (p<.01) per tutti i tre i muscoli monitorati (eccetto la mediana di OID). Le frequenze mediane e medie dei tracciati EMG nelle prove MI ed A0 non differiscono tra loro ma risultano significativamente diverse sia dalla prova Rest che ES (eccetto che per la mediana di OID). La tabella 1 mostra i dati mediani e medi (25th-75th) della frequenza in (Hz) per muscolo rispetto alle prove ed i risultati della statistica comparativa. Rappresentando su un piano i valori della frequenza media e mediana ottenute dai soggetti esaminati nei 4 tasks, si può riscontrare che le prove di MI e AO sono individuate da cluster sovrapponibili tra loro ma nettamente distinti da quelli ottenuti per ES e a riposo. (Figura 4) CONCLUSIONI Questo lavoro pilota propone un protocollo di studio per verificare e confrontare la presenza e la qualità delle attivazioni elettromiografiche nei muscoli coinvolti in prove motorie reali, immaginate o osservate rispetto al riposo ed ha mostrato che durante la MI si osservano attivazioni muscolari, sottosoglia compatibili col compito reale e differenti dal riposo, comparabili con i risultati noti in letteratura. Esso ha inoltre fornito nuovi dati a supporto di una modifica di attività EMGrafica presente durante le prove di AO, la quale appare simili a quella rilevata durante la MI. In base a questi risultati amplieremo la casistica e la ricerca di dati EMG su muscoli di controllo e posturali. REFERENZE BIBLIOGRAFICHE • Guillot A, Lebon F, Rouffet D, Champely S, Doyon J, Collet C. Muscular responses during motor imagery as a function of muscle contraction types. Int J Psychophysiol. 2007 Oct;66(1):18-27. doi: 10.1016/j.ijpsycho.2007.05.009. Epub 2007 May 29. PMID: 17590469. • Gatti R, Tettamanti A, Gough PM, Riboldi E, Marinoni L, Buccino G. Action observation versus motor imagery in learning a complex motor task: a short review of literature and a kinematics study. Neurosci Lett. 2013;12(540):37‐42. • Romano Smith S, Wood G, Coyles G, Roberts JW, Wakefield CJ. The effect of action observation and motor imagery combinations on upper limb kinematics and EMG during dart-throwing. Scand J Med Sci Sports. 2019 Dec;29(12):1917-1929. doi: 10.1111/sms.13534. Epub 2019 Aug 21. Erratum in: Scand J Med Sci Sports. 2020 May;30(5):958. PMID: 31385636.
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L’approccio integrato nella gestione del paziente neuromotorio complesso: case report
L’APPROCCIO INTEGRATO NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE NEUROMOTORIO COMPLESSO: CASE REPORT Gestione multidisciplinare di un paziente oncologico: l’esperienza della Riabilitazione Neuromotoria di Auxologico” Introduzione Gli ependimomi1 sono tumori a crescita lenta che si sviluppano dalle cellule che rivestono gli spazi all’interno dei ventricoli cerebrali e del canale intramidollare. Se il tumore si accresce, può arrivare a comprimere il tronco cerebrale e il cervelletto causando emiatassia, diplopia per interessamento del VI nervo cranico, ipertensione endocranica (che comporta cefalea con nausea e vomito). Inoltre, può determinare compressione anche a livello dei nervi cranici contigui (V e VII, IX). Materiali e Metodi Descriviamo il caso di un paziente di 58 anni, di sesso maschile, con diagnosi di tumore dell’angolo ponto-cerebellare destro all’età di 50 anni, con indicazione a follow-up radiologico perché paucisintomatico e a lenta crescita. Nel 2023 insorgenza di cefalea, nausea e peggioramento degli acufeni con riscontro all’imaging di incremento della lesione espansiva associata a comparsa di idrocefalo. Sottoposto quindi a intervento di exeresi della lesione e posizionamento di derivazione ventricolo-peritoneale. Nel post-operatorio, si evidenziava danno a carico del VI, VII nervo cranico a destra e dei nervi misti con assenza di riflessi di protezioni delle vie aeree. Veniva quindi posizionata cannula tracheostomica, confezionata PEG e veniva impiantato aureo palpebrale per lagoftalmo severo. Trattamento e Risultati All’ingresso si presentava con stato di coscienza conservato, portatore di cannula endotracheale cuffiata per impossibilità a gestire le secrezioni e di PEG per severa disfagia. Successivamente si è provveduto a tappare la cannula per tempi crescenti fino alla rimozione della stessa. Il trattamento2 del deficit deglutitorio ha permesso di ottenere una discreta gestione del semisolido con persistenza però di episodi di penetrazione con semiliquido e aspirazione con liquido, anche a capo flesso. Per tale ragione è stata posta indicazione a proseguire con l’alimentazione via PEG, con possibilità di assumere quantità di cibi semisolidi a scopo edonistico. La gestione Fisiatrica del caso clinico ha racchiuso: management farmacologico, studio e stadiazione della disfagia con Videofluoroscopia3, svezzamento fino a rimozione della cannula endotracheale e conduzione di tutto il team riabilitativo. Conclusioni Dopo un percorso riabilitativo in degenza durato circa 2 mesi, il paziente ha progressivamente recuperato autonomia in tutte le macroaree per le quali era stato impostato il Progetto Riabilitativo2. Attualmente è autonomo nelle attività di vita quotidiana (ADL) e parzialmente nelle IADL. Inoltre, è in carico presso il servizio di MAC (Macroattività Ambulatoriale Complessa) dello stesso nosocomio, con accesso trisettimanale, a completamento del recupero funzionale. Bibliografia • Carlson ML, Link MJ. Vestibular Schwannomas. N Engl J Med. 2021 Apr 8;384(14):1335-1348. doi: 10.1056/NEJMra2020394. PMID: 33826821 • Stubblefield MD. Cancer rehabilitation. Semin Oncol. 2011 Jun;38(3):386-93. doi: 10.1053/j.seminoncol.2011.03.008. PMID: 21600368. • Giraldo-Cadavid LF, Leal-Leaño LR, Leon-Basantes GA, Bastidas AR, Garcia R, Ovalle S, Abondano-Garavito JE. Accuracy of endoscopic and videofluoroscopic evaluations of swallowing for oropharyngeal dysphagia. Laryngoscope. 2017 Sep;127(9):2002-2010. doi: 10.1002/lary.26419. Epub 2016 Nov 15. PMID: 27859291. F D’Auria1; C Chessa2;S Balduzzi2; M Colecchia1; D Marzulli2; C Malfitano2 • Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli studi di Milano • Ospedale Capitanio, Riabilitazione Neuromotoria, Istituto Auxologico Italiano, Milano
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La Buttock claudication: una diagnosi differenziale difficile nella claudicatio intermittens
LA BUTTOCK CLAUDICATION: UNA DIAGNOSI DIFFERENZIALE DIFFICILE NELLA CLAUDICATIO INTERMITTENS Immacolata Murru (1), Federico Frigerio (2), Marcello Meggiolaro (2), Laura Perucca, (3), (4), Antonio Robecchi Majnardi (5) IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Dipartimento Medico Riabilitativo, Milano, Italia (1) – Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Milano, Milano, Italia (2) – Dipartimento Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi Milano, Milano, Italia (3) – IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative (4) – IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative, Ospedale San Luca, Milano, Italia (5) Introduzione I disturbi del cammino riconducibili a claudicatio intermittens rappresentano una sfida diagnostica per il medico fisiatra, chiamato spesso a determinarne la causa. La sintomatologia tipica si manifesta come sensazione di intorpidimento e faticabilità degli arti inferiori (AAII), associata o meno a dolore, a carattere ingravescente secondo l’intensità o la durata dell’attività motoria e che scompare in modo spontaneo a riposo, per poi ripresentarsi dopo uno sforzo della medesima entità. La diagnosi differenziale di questa sintomatologia va individuata tra le due diverse forme di claudicatio: neurogena e vascolare. La claudicatio neurogena, origina dalla compressione delle radici nervose dei nervi degli arti inferiori, associata a una stenosi dei forami di coniugazione o del canale vertebrale, ad opera del plesso venoso epidurale di Batson che, aumentando di volume per il maggior ritorno venoso durante l’attività muscolare, determina conflitto con le strutture nervose. Nella claudicatio vascolare, la sintomatologia compare a causa del ridotto apporto di sangue arterioso dovuto a stenosi a carico dell’asse arterioso degli AAII, che peggiora durante l’attività muscolare, producendo ipossia con conseguente anaerobiosi, accumulo di acido lattico e attivazione dei nocicettori. Un elemento a supporto diagnostico di questa condizione è un Ankle Brachial Index (ABI) < 0,9. [1, 2] Per un corretto inquadramento diagnostico di questa condizione, è imprescindibile il ruolo svolto dalla clinica, come testimonia il caso di recente valutazione di seguito presentato. A fronte di dati strumentali non conclusivi, solo tramite un’attenta valutazione clinica, si è giunti all’approfondimento di secondo livello che ha permesso di documentare una specifica forma di claudicatio vascolare: la “Buttock Claudication”. Materiali e Metodi Una donna di 68 anni, con nota arteriopatia obliterante cronica periferica pluritrattata, è stata inviata dal collega chirurgo vascolare per sospetta claudicatio neurogena, in seguito a comparsa da 3 mesi di rigidità e dolore crampiforme interessante gli AAII ed in particolare la muscolatura glutea, e determinante impotenza funzionale con incapacità nel proseguire la marcia dopo 400 metri su terreno piano. L’insorgenza del disturbo era direttamente correlata all’intensità dello sforzo fisico e si presentava in particolare per compiti motori ad alta intensità (es. salire le scale). L’eziologia vascolare era stata esclusa dopo approfondimento con ecocolordoppler artero-venoso AAII, risultato negativo per segni di sofferenza vascolare in atto dei principali assi arteriosi. Alla valutazione clinica non venivano riscontrati segni o sintomi riconducibili all’eziologia neurologica del disturbo, pur osservandosi all’esame clinico una limitazione articolare del rachide su tutti i piani di movimento associata a una forte dolenzia a carico della muscolatura paravertebrale lombare. La RM lombo-sacrale documentava un quadro potenzialmente compatibile con lombalgia cronica in soggetto sedentario e in linea con la letteratura scientifica (uncoartrosi a livello L5-S1, stenosi foraminale e marcata atrofia con sostituzione adiposa di tutta la muscolatura intrinseca dello stato profondo del tratto lombare) [3]. Risultati Nonostante il dato della RM, la storia clinica della paziente e l’esame obiettivo propendevano per un’origine vascolare del disturbo. Per questo motivo è stato eseguito ulteriore approfondimento con Angio-TC addome e AAII, che ha documentato l’occlusione cronica di entrambe le arterie ipogastriche (principali vasi di irrorazione della muscolatura glutea). Tali riscontri radiologici contestualizzati alla clinica e alla sede riferita del disturbo, hanno potuto confermare l’ipotesi dell’origine vascolare della claudicatio, consentendo di porre diagnosi di “Buttock Claudication”, letteralmente “zoppia glutea”. Conclusioni Nella diagnosi differenziale della claudicatio intermittens non bisogna dimenticare di considerare tra le cause vascolari, la buttock claudication, disturbo infrequente dovuto nella maggior parte dei casi a un’ostruzione a carico dell’aorta addominale o dei vasi iliaci comuni, ma che può altresì interessare in maniera isolata l’asse ipogastrico [2]. Una corretta diagnosi non può quindi prescindere da un’interpretazione critica delle indagini strumentali, che deve essere sempre contestualizzata all’esame clinico e alla storia anamnestica del paziente. Tra le opzioni terapeutiche possibili per questa condizione, in particolare in pazienti non candidabili a un intervento di chirurgia vascolare, gioca un ruolo di primaria importanza la terapia riabilitativa attraverso un adeguato ciclo di rinforzo stenico della muscolatura glutea mediante esercizi di resistenza a bassa intensità, mirati allo sviluppo di circoli collaterali periferici provenienti dai rami arteriosi circostanti irroranti il cingolo pelvico. Bibliografia [1] Martina Arrigo, Francesco Cesare Superchi, Arnaldo Andreoli, Fabrizio Gervasoni, Rossella Pagani, Antonino Michele Previtera. La claudicatio intermittens: eziologia, diagnosi e trattamento. Come distinguere tra la causa neurogena e la causa vascolare. Medicioggi.it - Contributi Scientifici, Fisiatria e Riabilitazione. 11 Aprile, 2020. URL: https://medicioggi.it/contributi-scientifici/la-claudicatio-intermittens-eziologia-diagnosi-e-trattamento-come-distinguere-tra-la-causa-neurogena-e-la-causa-vascolare/ [2] Laslett M. Bilateral buttock pain caused by aortic stenosis: a case report of claudication of the buttock. Man Ther. 2000 Nov;5(4):227-33. doi: 10.1054/math.2000.0368. PMID: 11052902 [3] Goubert D, Oosterwijck JV, Meeus M, Danneels L. Structural Changes of Lumbar Muscles in Non-specific Low Back Pain: A Systematic Review. Pain Physician. 2016 Sep-Oct;19(7):E985-E1000. PMID: 27676689
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Differenze di genere nella biomeccanica dei cambi di direzione a 90° di una popolazione di calciatori under 25
Differenze di genere nella biomeccanica dei cambi di direzione a 90° di una popolazione di calciatori under 25 Ilaria Menditto1, Sara Liguori1, Francesco Della Villa2, Stefano Di Paolo3, Antimo Moretti1 1. Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche, Università degli studi della Campania L. Vanvitelli, Napoli. 2. Education and Research Department, Isokinetic Medical Group, FIFA Medical Centre of Excellence, Bologna. 3. Dipartimento Di Scienze Biomediche e Neuromotorie DIBINEM, Università Di Bologna, Bologna. Introduzione: La lesione del legamento crociato anteriore (LCA) è un infortunio comune negli sport di squadra, come il calcio, ed è una delle lesioni al ginocchio più frequenti nelle azioni sport-specifiche, quali improvvisi cambi di direzione, rapide decelerazioni, atterraggi da salti o colpi di testa, che determinano elevati carichi assiali e torsionali a carico dell’articolazione del ginocchio. L’incidenza delle lesioni del LCA nei giocatori di calcio varia da 0,06 a 10 infortuni per 1000 ore di gioco, con i tassi più alti tra i giocatori professionisti (1). Le giocatrici presentano un rischio da due a tre volte maggiore di infortunio al LCA ed un’età di insorgenza più precoce rispetto ai loro colleghi maschi in ogni sport di squadra (2). Il 68% delle lesioni del LCA si verifica nei primi 45 minuti di un match senza trauma diretto sul ginocchio, a dimostrazione del fatto che la fatigue non sembrerebbe rappresentare un fattore predisponente. Un inadeguato controllo neuromuscolare e le alterazioni della biomeccanica in campo potrebbero essere considerati come fattori di rischio modificabili, che, se individuati, consentirebbero di delineare un corretto programma di prevenzione (3). L’obiettivo di tale studio prospettico è stato quello di analizzare la biomeccanica dei cambi di direzione eseguiti a 90° di una popolazione di giovani calciatori under 25 al fine di rilevare i fattori di rischio predominanti per l’infortunio al LCA e di caratterizzarne le differenze di genere. Materiali e metodi (1) Sono stati inclusi calciatori sani di età compresa tra i 14 e i 25 anni con un livello di attività Tegner>6. Ogni calciatore ha eseguito una serie di cambi di direzione a 90° alla massima velocità possibile in un laboratorio dotato di erba artificiale, di un sistema di tre telecamere e di una piattaforma di forza, al fine di analizzare e registrare la cinematica in 2D (piano frontale e sagittale) e le forze di reazione al suolo, rispettivamente. Per ciascun giocatore sono state raccolte sei prove valide (3 per lato): per ciascuna prova è stata effettuata una valutazione sul piano frontale e sagittale della biomeccanica articolare in due fasi del cambio di direzione, ovvero il contatto iniziale del piede con la piattaforma di forza ed il momento di massima flessione di ginocchio antecedente al cambio di direzione. Materiali e metodi (2) Per ciascuna prova si è tenuto conto di 5 elementi valutati con un punteggio da 0 (basso) a 2 (alto): la stabilità dell’arto, del bacino e del tronco sul piano frontale, l’assorbimento dello shock e la strategia motoria sul piano sagittale. Ad ogni prova si è registrato un punteggio massimo totale di 10. Inoltre per quanto concerne la valutazione della stabilità dell’arto l’attribuzione del punteggio ha tenuto conto anche della posizione del vettore risultante dalle forze di reazione al suolo rispetto al centro del ginocchio. Risultati: Sono stati reclutati 1002 calciatori sani di età media 16.3 ± 2.8 (738 maschi e 264 femmine). Per quanto concerne il punteggio totale medio di ciascun cambio di direzione, nel 70% dei casi è stato ≤4 (calciatrici 3.15 ± 1.9; calciatori 3.57 ± 1.8). Suddividendo la popolazione per genere (Tabella 1), il punteggio totale risultava inferiore per le donne rispetto agli uomini (p<0.001). Tuttavia le calciatrici presentavano punteggi più bassi (0/2) alla stabilità del tronco, all’assorbimento dello shock e alla strategia motoria (p<0.001). Nella valutazione sul piano sagittale, le calciatrici presentavano una peggiore performance in termini di strategia motoria, verosimilmente per una minore flessione dell’anca e minore assorbimento dello shock con conseguente rigidità dell’arto (p<0.001). Inoltre sul piano frontale le calciatrici presentavano un angolo di valgo dinamico maggiore nella fase iniziale del contatto in pedana ed un angolo di valgo dinamico minore nella fase di massima flessione del ginocchio, rispetto ai calciatori (p=0.003). Conclusioni: Dai dati preliminari emersi dal nostro studio, si osserva un'inadeguata capacità di controllare i movimenti del ginocchio sul piano frontale, con un rischio elevato di ginocchio valgo dinamico, fattore di rischio maggiore per le lesioni del LCA. In particolare calciatori che presentano un punteggio totale ≤4 o un angolo di valgo dinamico maggiore di 40° dovrebbero essere considerati a rischio di infortunio. Le femmine, inoltre, presentano una minore stabilità del tronco rispetto ai maschi, ovvero un ulteriore fattore di rischio dal momento che la scarsa stabilità del tronco determina la perturbazione meccanica, responsabile delle lesioni senza trauma diretto. L’acquisizione di dati biomeccanici su un ampio campione di calciatori potrebbe pertanto rappresentare uno strumento utile al fine di individuare percorsi specifici di prevenzione di infortunio del LCA. Bibliografia: 1. Waldén M, Hägglund, Magnusson H, Ekstrand J. ACL injuries in men's professional football: a 15-year prospective study on time trends and return-to- play rates reveals only 65% of players still play at the top level 3 years after ACL rupture. Br J Sports Med. 2016 Jun;50(12):744-50. 2. Waldén M, Hägglund M, Werner J, Ekstrand J. The epidemiology of anterior cruciate ligament injury in football (soccer): a review of the literature from a gender-related perspective. Knee Surg Sports Traumatol Arthrosc. 2011 Jan;19(1):3-10. 3. Della Villa F, Buckthorpe M, Grassi A, Nabiuzzi A, Tosarelli F, Zaffagnini S, Della Villa S. Systematic video analysis of ACL injuries in professional male football (football): injury mechanisms, situational patterns and biomechanics study on 134 consecutive cases. Br J Sports Med. 2020 Dec;54(23):1423-1432.
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Q-Walk – Un dispositivo Indossabile per la Riabilitazione e il Monitoraggio dell’Attività Motoria nella Malattia di Parkinson: Metodologia e Risultati Preliminari dello Studio HOME PD
Q-Walk – Un dispositivo Indossabile per la Riabilitazione e il Monitoraggio dell’Attività Motoria nella Malattia di Parkinson: Metodologia e Risultati Preliminari dello Studio HOME PD Spolaor F.1, Cibin F. 2, Rizzetto A. 3, Guiotto A. 1, Fiorotto A. 3, Ciampa G. 3, Sawacha Z. 1, Volpe D. 3 1Department of Information Engineering, University of Padova, Padova, Italy 2BBSoF srl, Padova 3Fresco Parkinson Center, Villa Margherita, Santo Stefano Riabilitazione, Arcugnano, Vicenza INTRODUZIONE I dispositivi indossabili hanno mostrato risultati promettenti nel monitoraggio e trattamento dei disturbi del cammino nella malattia di Parkinson (MdP) [1,2]. Se opportunamente validati, i dispositivi indossabili potrebbero fornire una valutazione accurata dell’attività motoria dei pazienti al di fuori dell’ambiente clinico e di migliorare i disturbi del cammino [3]. Saranno presentate la metodologia e i risultati preliminari di uno studio multicentrico controllato di fase II, HOME PD. Lo studio mira a valutare efficacia e fattibilità di un programma domiciliare di training del cammino, combinato con l’uso un dispositivo indossabile (Q-Walk), in pazienti con MdP a rischio di cadute causate dal Freezing of Gait (FOG). Sarà inoltre valutata l’accuratezza del dispositivo ai fini del monitoraggio delle attività quotidiane dei pazienti. POPOLAZIONE Studio HOME PD multicentrico (sei Centri della Fresco Network in Italia), in singolo cieco, randomizzato e controllato, di fase II 120 pazienti (20 pazienti/Centro) affetti da MdP (Hoen-Yahr stadio II-III, MMSE>= 26/30), con terapia farmacologica stabile, con presenza di FOG e storia di almeno una caduta in passato. Design dello studio: I pazienti sono suddivisi in un gruppo di intervento (IG, 60 pazienti) e un gruppo di controllo (CG, 60 pazienti). Trattamento: Il trattamento IG e CG consiste nel camminare in ambiente domestico per 28 giorni consecutivi, 1h al mattino e 1h al pomeriggio, 1h dopo l’assunzione del farmaco, indossando Q-Walk. Per IG, Q-Walk emette cue visivi specifici per il paziente (modalità ON); per CG i Q-Walk non emettono cue visivi (modalità OFF). DISPOSITIVO INDOSSABILE Q-Walk è un dispositivo medico (Classe I) per la riabilitazione del cammino, composto da due ginocchiere; ciascuna ginocchiera proietta un cue visivo stabilizzato per indicare al paziente dove appoggiare il piede controlaterale. I cue sono personalizzabili, in termini di lunghezza del passo e di distanza dal piano sagittale. Ogni Q-Walk è dotato di un sensore inerziale che stima i parametri spazio-temporali del cammino. Tramite un’app, i dati vengono inviati in cloud su una piattaforma dedicata, dove possono essere visualizzati dal personale clinico in forma di report automatici. Misurazioni fornite da Q-Walk: distanza percorsa, numero di passi effettuati, lunghezza di passo e semi-passo, cadenza, durata, velocità. Fig.1: Esempio di dispostivo indossato METODI Valutazioni: al tempo T0 (baseline) e al termine del trattamento (T1), dallo stesso operatore clinico, cammino a velocità confortevole e a passi grandi, 6MWT e TUG test, mentre il farmaco è in ON e il dispositivo Q-Walk è in modalità OFF. @ Centro Parkinson Fresco di Villa Margherita a Vicenza i 20 pazienti (10 IG + 10 CG) saranno sottoposti ad analisi cinematica 3D del cammino con valutazione elettromiografica e posturografia. Outcome primari: • FOG-Q; • Diario delle cadute • Fall Efficacy Scale (FES); • punteggi UPDRS (III, Sezione motoria). Outcome secondari: • Berg Balance Scale, • TUG test, • 6MWT, • Diario delle fluttuazioni motorie, • Questionario QoL PDQ-39; • Intervista per il caregiver (Zarit Burden Interview). Analisi statistica: Le valutazioni verranno confrontate tramite test per campioni appaiati non parametrico (Wilcoxon Signed-Rank test). RISULTATI PRELIMINARI su 4 soggetti (età 71±7 anni, BMI 25.5±1.7 kg/m2) mostrano outcome primari e secondari (valore a T0, valore a T1): UPDRS III (27±16, 26±19); BBS (45±14, 48±11); FOG-Q (10±5, 13±7); Quality of Life – PDQ-39 (49±24, 40±23); FES (12±12, 17±12); 6MWT (337±131 m, 381±211 m); TUG (26.7±34.3 s, 17.4±19.9 s). Nell’analisi del cammino si osserva una modifica della cinematica delle articolazioni di anca e caviglia sui piani sagittale e coronale, accompagnato da una riduzione del tempo di appoggio completo a favore di un aumento del tempo di volo (p<0.05). Le misurazioni fornite dal dispositivo Q-Walk (valore a T0, valore a T1) sono: lunghezza del passo (0.8±0.16 m, 0.7±0.17 m), cadenza (0.86±0.24 Hz, 0.87±0.25 Hz), velocità (0.59±0.1 m/s, 0.65±0.13 m/s). CONCLUSIONI Lo studio HOME PD consentirà di validare il potenziale e affidabilità dell’uso di un dispositivo indossabile per la riabilitazione e il monitoraggio dell’attività motoria nella MdP nell’ambiente di vita quotidiana. Sarà possibile valutare su una vasta coorte di pazienti e utilizzando procedure standardizzate per i test e la raccolta dei dati: 1. se l’uso quotidiano del dispositivo indossabile sia utile a ridurre gli episodi di FOG e il numero di cadute in ambiente domiciliare; 2. se il dispositivo indossabile sia in grado di fornire informazioni utili, accurate e affidabili al personale sanitario sull’attività motoria dei pazienti a casa. BIBLIOGRAFIA [1] Barthel C. et al. Neurology. 2018 Jan 9;90(2):e164-e171. [2] Bowman T et al. Sensor 2021 May; 21(10): 3444. [3] M. Encarna Micó-Amigo et al. J Neuroeng Rehabil. 2023; 20: 78.
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PREPARE Rehab: Personalized rehabilitation via novel Artificial Intelligence patient stratification strategies
PREPARE: PERSONALIZED REHABILITATION VIA NOVEL ARTIFICIAL INTELLIGENCE PATIENT STRATIFICATION STRATEGIES Carlotte Kiekens, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milan, Italy Maria Gabriella Ceravolo, Politecnica delle Marche University, Ancona, Italy Marianna Capecci, Politecnica delle Marche University, Ancona, Italy Elisa Andrenelli, Politecnica delle Marche University, Ancona, Italy Mauro Zampolini, Foligno Hospital, USL Umbria2, Perugia, Italy Stefano Negrini, University of Milan & IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milan, Italy PREPARE Group Transforming Rehabilitation: Personalised Care for a Better Quality of Life PREPARE aims at improving the lives of people with chronic noncommunicable diseases by developing tools that will enable patients and their healthcare providers to select optimal therapy strategies. Background Rehabilitation is person-centered (based on prediction and stratification) (1). Validated prediction models are lacking for many health conditions and outcome domains, and developed with simple statistical tools, based on small data sets from single institutions, without external validation. They lack intelligent application programming interfaces (APIs) allowing to be fed with new data and cannot be improved with time as datasets of different origins become available. PREPARE Rehab2 aims to advance rehabilitation care by developing, validating, and implementing robust, clinically relevant, and data-driven computational prediction and stratification tools. Methods PREPARE Rehab is a 4 years HaDEA-Horizon project. We will apply machine learning (ML) techniques on 9 large patient datasets on: (1) Hand and wrist disorders, (2) Scoliosis, (3) Intermittent Claudication, (4) Lower limb loss, (5) Parkinson disease and Parkinsonism, (6) Hip and Knee Arthroplasty, (7) Spine disorders, (8) Temporomandibular disorders, (9) Hypertension. We will treat real-world routinely collected data in a federated way and develop a platform for sharing model results, exploiting the open-science EHDEN platform, using the Observational Medical Outcomes Partnership (OMOP) Common Data Model (CDM) standard. We will develop prediction and stratification ML strategies for rehabilitation data, that will be validated via 9 demonstration pilots. Results The PREPARE Rehab project has been awarded 7 million Euro from the HORIZON EU Research Program, after a selection process that accepted only 3% of the projects. It started in June 2023 and will last four years. The kick off meeting took place in July 2023 in Rotterdam. The expected results are a unified advanced decision-support platform for management of big data and federated access to clinical data which integrate all the developed technologies, compatible with OMOP-CDM, EHDEN; novel patient stratification methods and prediction models enhanced by advanced ML/Artificial Intelligence (AI) tools and clinical data compatible with OMOP-CDM, EHDEN; a Medical Device Regulation roadmap for any (software as a) medical device embedding; AI to support (preparation for) conformity assessment. Deployment and validation of PREPARE tools/applications in realistic operational conditions through pilot cases, with the effective participation of end-users. Conclusion Exploiting the latest advances in clinical, socio-behavioural and public health research, data science, and advanced statistical and AI learning methods, PREPARE Rehab will pave the way to more personalized, reliable, and holistic rehabilitation and care that takes into account external circumstances and patient factors to improve quality of care and life. Reference • Negrini S, Selb M, Kiekens C, Todhunter-Brown A, Arienti C, Stucki G, Meyer T; 3rd Cochrane Rehabilitation Methodology Meeting participants. Rehabilitation definition for research purposes. A global stakeholders’ initiative by Cochrane Rehabilitation. Eur J Phys Rehabil Med. 2022 Jun;58(3):333-341. doi: 10.23736/S1973-9087.22.07509-8. Epub 2022 Mar 21. PMID: 35306803; PMCID: PMC9980575. Note Funded by the European Union. UK participants in Horizon Europe Project PREPARE are supported by UKRI grant number 10086219 (Trilateral Research). Views and opinions expressed are however those of the author(s) only and do not necessarily reflect those of the European Union or European Health and Digital Executive Agency (HADEA) or UKRI. Neither the European Union nor the granting authority nor UKRI can be held responsible for them. Grant Agreement 101080288 PREPARE HORIZON-HLTH-2022-TOOL-12-01
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Correlati neurali TMS-EEG nella Malattia di Parkinson associata a Gambling Disorder
CORRELATI NEURALI TMS-EEG NELLA MALATTIA DI PARKINSON ASSOCIATA A GAMBLING DISORDER Chiara Crotti1, Lina Urh1, Nadia Bolognini1, Alberto Pisoni1, Cecilia Perin1, Carlo Alberto Defanti2, Daniele Piscitelli1 1 Università degli Studi Milano Bicocca; 2 FERB Ospedale Sant’Isidoro, Trescore Balneario INTRODUZIONE Nei pazienti affetti da Malattia di Parkinson (PD) è spesso segnalato lo sviluppo di Gambling Disorder (GD). In particolare, sembra che la compresenza di GD e PD possa essere associata all’uso di terapia dopamino-agonista (DA) 1.  Il fenomeno è piuttosto rilevante se si pensa che circa 1,7% – 7% dei pazienti con PD e che assumono DA sviluppano GD1. Pertanto, individuare possibili correlati neurologici potrebbe avere un impatto certamente rilevante.  FISIOPATOLOGIA • Si ipotizza che il controllo degli impulsi (ICD) e la valutazione delle conseguenze derivanti dalle scelte effettuate siano sottesi principalmente a due aree corticali quali la corteccia prefrontale (PFC) e la corteccia orbitofrontale (OFC) 2. • Questi circuiti chiave sono sostenuti da trasmissioni dopaminergiche e noradrenergiche. Nello specifico, i pathways dopaminergici sono particolarmente importanti nel processo che permette di distinguere le azioni come “gratificanti” o come “non gratificanti”. • In condizioni fisiologiche, questi circuiti sono regolati da livelli oscillanti di dopamina che, tuttavia, risultano alterati sia nelle persone affette da PD che nei soggetti con ICD, sia in coloro che soffrono di dipendenze2,3. In aggiunta, nei casi trattati con somministrazione di DA ciò che si verifica è una perdita di variabilità nei livelli del neurotrasmettitore che diviene quindi monofasico. • Analoga monofasicità di dopamina è stata osservata anche in caso di ICD3. Sembra pertanto che la perdita delle fisiologiche oscillazioni possa concorrere ad una iperattività dei circuiti OFC (“go”) o ad una ipoattività dei circuiti PFC (“stop”) facilitando comportamenti di disinibizione tra i quali il GD.  STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA (TMS) + ELETTROENCEFALOGRAFIA (EEG)  • La metodica combinata TMS-EEG permette, grazie alla registrazione EEG durante stimolazione TMS, di studiare in modo tempo e loco specifico l’eccitabilità corticale di precise aree corticali e di indagare la connettività neurale, altrimenti non visibile tramite solo EEG in stato di riposo. • La scelta di orientarsi sulla tecnica TMS-EEG è supportata anche da evidenze di promettenti risultati ottenuti grazie alla stimolazione della PFC dorsolaterale (DLPFC) nell’ambito del’ICD e delle dipendenze3 OBIETTIVO 
 • Lo scopo di questo lavoro è di indagare, mediante TMS-EEG, il ruolo dei circuiti cortico-sottocorticali striato-frontali nella genesi del GD in pazienti affetti da PD. MATERIALI E METODI 



 • Criteri di inclusione: MMSE ≥ 24, per i pazienti con PD assunzione di DA per almeno 3 mesi al momento dell’arruolamento, GD diagnosticato secondo i criteri del DSM-V per pazienti con PD e GD, assenza di patologie psichiatriche o neurologiche per i soggetti sani  LO STUDIO • Ciascuno dei soggetti arruolati sarà sottoposto ad una batteria di test NPS, inclusi IOWA GAMBLING TASK (IGT) e BALLOON ANALOGUE RISK TASK (BART), prima della sessione TMS-EEG • La seduta di TMS-EEG neuro-navigata prevederà una sola sessione di 170 impulsi singoli TMS somministrati attraverso un coil a 8 in sede di DLPFC sinistra  • I parametri di stimolazione saranno ottimizzati al fine di ottenere una risposta specifica alla TMS (TMS-evoked potential) di almeno 7 µV L’ANALISI La popolazione sarà valutata mediante comparazione delle tre coorti in merito a: • risultati dei test NPS  • dati ottenuti dai tre gruppi all’IGT e BART • dati relativi alle sessioni TMS-EEG RISULTATI ATTESI • Ci si aspetta che le alterazioni dei circuiti DLPFC, correlate all’ICD, possano essere rilevate grazie alla variazione dell’eccitabilità e della connettività dei relativi neuroni corticali stimolati mediante TMS • Si ipotizza dunque che la TMS-EEG possa rendere manifesto un cambiamento nel pattern di risposta corticale, nonché un cambiamento nella diffusione del segnale tra le popolazioni in studio CONCLUSIONI 
 • I risultati ottenuti ai test psicologici e alla TMS-EEG dalle tre popolazioni dovrebbero rispecchiare il ruolo dei circuiti indagati nella genesi di fenomeni come il GD. • Eventuali correlazioni tra performance testistiche e dati EEG, nonchè l’esistenza di un possibile gradiente tra le popolazioni, potrebbero aiutare a chiarire il nesso tra GD, PD e DA. • Migliorare la nostra comprensione di tali meccanismi, coinvolti nello sviluppo dell’ICDi, potrebbe permettere l’identificazione di biomarker che potenzialmente utili nella precoce individuazione del problema e nella personalizzazione della scelta terapeutica e farmacologica nei pazienti affetti da PD. BIBLIOGRAFIA • Weintraub D et al. Clinical spectrum of impulse control disorders in Parkinson’s disease. Mov Disord. 2015 Feb;30(2):121-7. • Salvatore MF et al. Is there a Neurobiological Rationale for the Utility of the Iowa Gambling Task in Parkinson’s Disease? J Parkinsons Dis. 2021;11(2):405-419. • Maldonado R et al. Vulnerability to addiction. Neuropharmacology, 2021;186;108466.
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Idrocefalo e complicanze della DVP nelle GCA – caso clinico
IDROCEFALO E COMPLICANZE DELLA DVP NELLE GCA (Caso Clinico). Dott.ssa Cassio Anna. Neuroriabilitazione Fiorenzuola d’Arda (PC) Le complicanze della derivazione ventricolo-peritoneale (DVP) possono determinare un’evoluzione sfavorevole del recupero dello stato di coscienza, cognitivo-comportamentale e motorio delle GCA. Introduzione Questo caso clinico evidenzia come la presenza di idrocefalo nei casi di GCA post-traumatica o post-emorragica possa determinare la regressione e l’arresto del miglioramento clinico e funzionale (1) La discussione verte sulle problematiche associate al malfunzionamento della DVP (2) Materiali e Metodi Gravità del caso clinico misurata con: Level of Cognitive Function (LCF), Barthel Index (BI), Galveston Orientation Amnesia Test (GOAT) Risultati • 5-11-22: Donna, 60 anni, GCS 3, emorragia sub-aracnoidea in aneurisma AVsx con inondamento ventricolare, coiling e posizionamento DVE • 9-12: per idrocefalo, posizionamento di DVP a destra • 10-1-23: TC encefalo per scarso recupero dello stato di vigilanza, ritaratura della valvola a 120mmH2O • 30-01: TC encefalo (Fig. 1) • 3-02: intervento di sostituzione della porzione distale del catetere della DVP • 13-02: TC encefalo (Fig. 2) nessuna variazione rispetto al preoperatorio • 27-02: TC encefalo: • Dilatazione del sistema ventricolare • Indicazione di rimuovere, bonificare e riposizionare DVP • 14-03: rimozione della DVP, posizionamento di DVE, terapia antibiotica • 4-04: rimozione della DVE e riposizionamento DVP a sinistra, valvola regolata a 140 mmH20 • 25-05: TC encefalo di controllo (Fig. 3) • 29-05: ritaratura della valvola • 12-06 (Fig. 4) e 18-07: TC encefalo • Esiti di craniectomia frontale con derivazione liquorale con estremità nel corno frontale del ventricolo laterale sinistro • Il sistema ventricolare, normoteso, è in asse rispetto la linea mediana con minima dilatazione del corno frontale del ventricolo laterale destro Conclusioni Le complicanze della DVP determinano un’evoluzione sfavorevole del recupero dello stato di coscienza, cognitivo- comportamentale e motorio Le GCA con DVP necessitano di sorveglianza clinica/radiologica, come nei pazienti a rischio di idrocefalo Importante enfatizzare le pratiche che minimizzano il rischio di complicanze della DVP (2) Bibliografia • Kowalski RG, Weintraub AH, Rubin BA, Gerber DJ, Olsen AJ. Impact of timing of ventriculoperitoneal shunt placement on outcome in posttraumatic hydrocephalus. J Neurosurg. 2018 Feb 23:1-12. • Xu H, Dong Y, Bao D, Wei X, Niu C, Liu X. Shunt-Dependent Post-Traumatic Hydrocephalus: Predictors and Long-Term Functional Outcomes. Neurol Ther. 2023 Jun 18.
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Effetto della stimolazione transcranica a corrente continua (TDCS) sulla deambulazione e sulla fatigue nei pazienti affetti da sclerosi multipla: studio randomizzato, in singolo cieco, controllato con sham
Effetto della stimolazione transcranica a corrente continua (tdcs) sulla deambulazione e sulla fatigue nei pazienti affetti da Sclerosi Multipla: studio randomizzato, in singolo cieco, controllato con sham Pettrone G., Marcogiuseppe P., Amoruso L., Stuppiello L., Di bello F., Morrica N., Pennesi A., Ponzio Fuano E., Perrone M., Cardillo R., Marino A., Marotta M., Santamato A. Struttura Complessa di Medicina Fisica e Riabilitazione Universitaria Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa Università degli Studi di Foggia BACKGROUND La sclerosi multipla (SM) è la principale causa di disabilità funzionali progressive negli adulti in età lavorativa. Fino al 70% dei pazienti con SM ritiene che i disturbi della deambulazione alterino la loro qualità di vita. L’approccio non farmacologico più efficace è la pratica dell’esercizio fisico. L’obiettivo dell’intervento riabilitativo è di ridurre le menomazioni motorie e migliorare la funzione motoria. La stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS) è stata teorizzata come strumento di neuro-modulazione che può indurre fenomeni di potenziamento a lungo termine, causando cambiamenti specifici nell’efficacia sinaptica della regione cerebrale bersaglio, promuovendo effetti sinergici se abbinata all’esercizio fisico. Questo studio è volto a valutare se le sessioni di tDCS sulla corteccia motoria primaria (M1) abbinate all’esercizio fisico possono migliorare la deambulazione e ridurre la fatigue nei pazienti affetti da SM. MATERIALI E METODI Sono stati inclusi pazienti con diagnosi di SM, deambulanti autonomamente per almeno 100 mt, sono stati randomizzati in uno dei due bracci dello studio: tutti hanno eseguito 10 sessioni di esercizio fisico di 40 min per 2 settimane. Il gruppo sperimentale ha eseguito tDCS attiva per 22 min somministrata sulla corteccia M1 sinistra, il gruppo controllo ha eseguito tDCS fittizia. Tutti partecipanti hanno eseguito le valutazioni motorie costituite dal 10 mwt e dal 2 mwt. L’efficacia del trattamento sperimentale è stata valutata in termini di miglioramento della velocità, dell’andatura, della lunghezza del passo e della resistenza. I partecipanti inoltre hanno eseguito questionari: MSWS-12, Fatigue Severity Scale, Modified Fatigue Impact Scale. Le valutazioni motorie e i questionari sono stati somministrasti al baseline (T0), alla 10a sessione (T1) e alla visita di follow-up a 4 settimane (T2), al fine di valutare i potenziali effetti acuti e cumulativi del trattamento RISULTATI 17 pazienti sono stati sottoposti allo studio: 11 sono stati sottoposti a tDCS attiva e 6 a tDCS sham. La tDCS attiva rispetto a quella fittizia ha determinato un aumento significativo della velocità del cammino e della lunghezza del passo a T1, beneficio che persiste a 4 settimane dalla fine del trattamento. Nel 10-MWT ci sono stati effetti significativi del tempo sulla lunghezza del passo, sulla velocità dell’andatura, durata del ciclo di andatura e cadenza. Si è verificato un significativo miglioramento della distanza percorsa nel gruppo attivo. Nei questionari auto-riferiti c’è stata una significativa interazione tempo × trattamento nel punteggio totale della MSWS-12. CONCLUSIONI Sessioni di tDCS anodica sulla corteccia M1 sinistra abbinate all’esercizio fisico possono portare a miglioramenti nella velocità del cammino, nella lunghezza del passo e nella resistenza durante la deambulazione nei pazienti affetti da SM deambulanti Bibliografia Oveisgharan S, Karimi Z, Abdi S, Sikaroodi H. L’uso della stimolazione cerebrale nella riabilitazione della disabilità motoria nei pazienti con sclerosi multipla: uno studio clinico randomizzato in doppio cieco . Iran J Neurol 2019; 18 :57–63.  Snook EM, Motl RW. Effetto dell’esercizio fisico sulla mobilità del cammino nella sclerosi multipla: una meta-analisi . Neurorehabil Riparazione neurale 2009; 23 :108-116. 10.1177/1545968308320641 Sánchez‐Kuhn A, Pérez‐Fernández C, Cánovas R, et al. Stimolazione transcranica a corrente continua come strumento di neuroriabilitazione motoria: una rassegna empirica . Biomed Eng Online 2017; 16 ( Suppl 1 ):76 10.1186/s12938-017-0361-8
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Valutazione di efficacia dell’infiltrazione con polinucleotidi e acido ialuronico nel trattamento dell’artrosi di spalla: risultati preliminari
Valutazione di efficacia dell’infiltrazione con polinucleotidi e acido ialuronico nel trattamento dell’artrosi di spalla: risultatti preliminari Mazzilli G., Rastelli V., Amoruso L., Turitto A., Camporeale M., Frisotti D., Amato L., Ingrasciotta G., Grandolfo M., Cavaliere G., Ponzio Furno S., Santamato A. Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica. e Riabilitativa Università degli studi di Foggia 
INTRODUZIONE Nell’ambito della gestione conservativa del trattamento osteoartrosico (OA) della gleno-omerale, il trattamento infiltrativo con acido ialuronico, presenta consolidate prove di sicurezza e discreta efficacia. L’obiettivo dello studio è valutare l’impiego di una combinazione di polinucleotidi e acido ialuronico per infiltrazione intra-articolare nel trattamento del dolore in pazienti affetti da osteoartrosi di spalla. Verrà indagata, inoltre, la diminuzione di assunzione di FANS, la sicurezza e la tollerabilità del dispositivo medico. MATERIALI E METODI Tredici pazienti adulti affetti da artrosi gleno-omerale radiologicamente diagnosticata, dolore e limitazione funzionale da almeno 60 giorni sono stati inclusi in uno uno studio osservazionale, open label. I pazienti sono stati sottoposti ad un ciclo di tre infiltrazioni, una ogni 14 giorni (+-7gg) nella spalla affetta da OA. Strumenti di valutazione a T0 (prima del trattamento), T1 (dopo 3 mesi), T2 (dopo 6 mesi): -American Shoulder and Elbow Surgeon (ASES) score (del clinico e del paziente) per la valutazione del ROM articolare. -Numeric Pain Rating Scale (NPRS) per la valutazione del dolore. zienti reclutati, di età compresa tra i 30 e gli 88 anni, solo quattro al momentoanno c1) RISULTATI Dei tredici pazienti reclutati, di età compresa tra i 30 e gli 88 anni, solo quattro al momento, hanno completato il follow up a 6 mesi. Di questi, tre pazienti hanno riscontrato una riduzione del dolore a T1 e a T2. In uno si è evidenziata una ridotta assunzione di FANS. Inoltre, i valori ASES dimostrano un incremento del ROM, maggiormente in T1. In nessun paziente finora trattato sono verificati effetti collaterali. CONCLUSIONI Seppur in presenza di dati preliminari e ongoing, vi è evidenza a supporto dell’impiego della combinazione di acido ialuronico e polinucleotidi per il trattamento dell’artrosi gleno-omerale. I miglioramenti sono stati evidenziati maggiormente a distanza di tre mesi, in termini di dolore e funzione. Si continuerà a seguire i pazienti nel corso del tempo per ulteriori valutazioni. 
 I Bibliografia 1.Filippo Familiari et al. J Ortop Res . 2023. 2. Jessica Amelinda Mintarjo et al. Cureo . 2023. 

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Studio osservazionale inerente l’introduzione della Rehabilitation Complexity Scale (RCS) nella U.O.C. Riabilitazione Intensiva cod.56 Ospedale di Pergola (AST PU)
Studio osservazionale cross-sectional inerente l’introduzione della Rehabilitation Complexity Scale (RCS) nella U.O.C. Riabilitazione Intensiva cod.56 Ospedale S.S. Carlo e Donnino di Pergola (AST PU) Annarita Borghesi¹, Loredana De Col², Annalisa Carloni¹, Stefania Rasori², Giacomo Maurizi¹ 1. U.O.C. Riabilitazione Intensiva Ospedale di Pergola, Dipartimento Riabilitazione AST Pesaro-Urbino 2. U.O.C. Servizio Professioni Sanitarie AST Pesaro-Urbino INTRODUZIONE Con il D.M. 5 Agosto 2021 “Criteri di appropriatezza dell’accesso ai ricoveri di riabilitazione ospedalieri” si definiscono i criteri dell’accesso ai ricoveri di riabilitazione ospedaliera dei pazienti adulti, codice 28 – 75 e 56 (quest’ultimo di tipo neurologico MDC 1, pneumologico MDC 4, cardiologico MDC 5 e ortopedico MDC 8). Appropriatezza al ricovero significa valutare le menomazioni conseguenti la patologia, i bisogni assistenziali, lo stato di disabilità nell’outcome e l’impatto sociale che ne deriva, con l’obiettivo di rendere efficace il trattamento e razionalizzare le risorse disponibili. Ai fini dell’adozione della SDO-Riabilitativa (SDO_R), in adempimento al Decreto, la U.O.C. Riabilitazione Intensiva Ospedaliera cod.56 dell’Ospedale S.S. Carlo e Donnino di Pergola (AST Pesaro – Urbino) ha introdotto all’interno della cartella clinica integrata un nuovo strumento di valutazione degli outcomes riabilitativi: la scala Rehabilitation Complexity Scale (RCS). Il presente studio ha lo scopo di testare la scala RCS come strumento primario dell’assessment riabilitativo. METODOLOGIA E’ stato condotto uno studio osservazionale cross-sectional, dal 01/01/2023 al 30/06/2023, periodo nel quale è stata somministrata la scala RCS ai pazienti ricoverati, sia in ingresso sia alla dimissione. Inclusione: pazienti adulti con patologie afferenti a MDC (Major Diagnostic Categories) 1-4-5-8 (patologie neurologiche – respiratorie – cardiologiche – ortopediche). Esclusione: pazienti già ricoverati al 1^ Gennaio, per un totale di pazienti esclusi n.16. La compilazione è stata eseguita dal team multidisciplinare: infermieri, fisioterapisti, medici per le varie sezioni di competenza. L’estrapolazione dei dati segue la metodica di valutazione di ogni item relativo alle dimensioni del dominio rapportati al numero totale di MDC oggetto di studio. RISULTATI Totale pazienti: 174. Uomini: 42.2% con età media di 70 anni. Donne: 57.8% con età media di 73 anni. • MDC-1: 13.3% • MDC-8: 82,7%, di cui il 83,3% intervento elettivo artroprotesi anca o ginocchio e il 14,6% frattura di femore • MDC-4: 2% • MDC-5: 2% Di seguito si riportano i maggiori risultati estrapolati dall’analisi degli item relativi alla componente assistenziale (livello di assistenza e di intervento) riferiti alle principali macro aree MDC oggetto di studio: MDC-1, la sfera neurologica e la MDC-8 la sfera muscolo-scheletrica. Il LIVELLO DI ASSISTENZA riportato nel macro dominio CURA O RISCHIO evidenzia: il sottodominio C mostra il punteggio massimo del 52% di C2 (aiuto di 2 persone) e un punteggio pari nel sottodominio R2 (rischio medio). Nel 42% dei casi risulta C3 (richiede l’aiuto di 3 persone per le cure di base). Il maggior risultato riportato nel dominio BISOGNI INFERMIERISTICI nel LIVELLO DI INTERVENTO è 69.5% per N2 (personale infermieristico esperto in Riabilitazione). Il LIVELLO DI ASSISTENZA nel dominio CURA O RISCHIO mostra il risultato maggiore riferito al sottodominio C1 (aiuto di una persona) pari al 57% e il 36.8% per il sottodominio R1 (richiede accompagnamento). Nei BISOGNI INFERMIERISTICI riferiti a MDC-8 il maggior risultato del LIVELLO DI INTERVENTO è di il 64% i N1 (personale infermieristico competente) e il 32% per l’N2 (personale infermieristico esperto in Riabilitazione). Nel grafico di seguito si riporta la specifica delle necessità assistenziali per sottogruppi di MDC-8: esiti di intervento in elezione ed esiti di frattura. Nei pazienti sottoposti ad intervento di artroprotesi anca o ginocchio si evidenzia una necessità assistenziale di tipo N1 pari al 65.8%; mentre per le fratture si evidenzia il 92.3% di bisogni infermieristici N2 (personale infermieristico esperto in Riabilitazione) e l’8.7% di N3 (personale infermieristico altamente specializzato). Nel Grafico DISCIPLINE ASSISTENZIALI si descrive la tipologia di personale che deve assistere il paziente; per cui si individua per ogni MDC la competenza e specializzazione che deve possedere il personale sanitario. Nel grafico si riportano i dati più salienti: • MDC-1: sul totale dei pazienti di classe neurologica risulta essere necessario il 91,6% di infermiere addestrato in riabilitazione e il 95% di personale socio-sanitario . • MDC-8: nel 38% dei casi appare necessario l’infermiere di base e nel 53% dei pazienti la figura dell’infermiere addestrato in riabilitazione; l’operatore socio-sanitario nel 25% dei casi, Il dominio BISOGNO DI CURE MEDICHE evidenziato nelle aree maggiori oggetto di studio (MDC-1 e MDC-8) riportano: • MDC-1: il 50% dei pazienti necessita di indagini/monitoraggi di base (M1) e il 41% di interventi medico-specialistici (M2). • MDC-8: il 64.5% di M1 (indagini/monitoraggi/trattamenti di base) e il 17.4% di M2 (interventi medico-specialistici ). Il dominio NECESSITA’ DI AUSILI mostra: • MDC-1: il 66% di pazienti con E1 (ausili speciali di base) e il 34% per E2 (ausili altamente specializzati). • MDC-8: l’85% di pazienti con E1 (ausili speciali di base). CONCLUSIONI L’obiettivo dello studio è quello di testare la Scala RCS come strumento che dimostra in fase di assessment riabilitativo le diverse complessità/disabilità assistenziali nei pazienti ricoverati in setting riabilitativi codice 56. I due sottogruppi (elezione e fratture) mostrano condizioni cliniche di partenza differenti, sviluppano complessità assistenziali e outcomes riabilitativi non equiparabili: 65.8% di N1 sul totale riconducibile all’intervento in elezione, mentre per le fratture si evidenzia il 92.3% di bisogni infermieristici N2 (personale infermieristico esperto in Riabilitazione) e l’8.7% di N3 (personale infermieristico altamente specializzato). Così come per l’area MDC-8, nell’area MDC-1 risulta evidente come la classificazione del paziente neurologico non può avere una sua standardizzazione di complessità assistenziale/riabilitativa (69.5% di N2 e 20,8% di N3), per un’appropriata definizione dei differenti profili di complessità all’interno della MDC stessa. In conclusione l’analisi dei dati estrapolati dalla compilazione della scala RCS conferma la stessa come strumento identificativo di valutazione della complessità clinico-assistenziale-riabilitativa nei pazienti ricoverati in reparti di Riabilitazione cod. 56. L’integrazione dei risultati della RCS con le diagnosi appartenenti ai DRG (Diagnosis Related Groups) avvalora la profilazione della complessità clinica (cod.56 a – b – c) come definito nel D.M. 05/08/2021 che ne definisce i concetti di appropriatezza, complessità e di peso, come assorbimento delle risorse.
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